Paolo
Cugini
È già il segno di un grande cammino spirituale ed umano
riuscire a guardare senza paura la ferita che ci brucia dentro l’anima, senza
cercare di nasconderla, come di solito facciamo. Quando poi impariamo a non
identificare la ferita con il tutto della nostra identità vuole dire che di
strada dentro di noi ne abbiamo fatta e tanta. La ferita, infatti, non è il
tuto dell’esistenza, ma un aspetto del cammino. Vincere la tentazione di
lasciare che il sangue della ferita ci devasti di paura richiede molta energia
spirituale. Occorre avere chiaro l’orizzonte della propria esistenza per non
farsi sorprendere dai sentimenti negativi del momento. Ed è proprio in questi
attimi di possibile disperazione che emerge con forza il cammino fatto o non
compiuto. Prendersi tempo per curare la ferita, per lasciarsela curare, per
permettere all’amore di entrare là dove la paura ha preso il sopravvento. Tempo
e amore vanno sempre in compagnia, perché non si ama davvero se non ci si dà il
tempo di amare e lasciarsi amare. Ed è nel tempo che la ferita lentamente si
chiude, lasciando probabilmente una lieve cicatrice, necessaria per ricordarci
chi siamo e da dove veniamo.
La ferita dell’anima è anche sintomo della vita che ci
richiama ad un’armonia infranta. Nel vortice degli eventi della vita quotidiana
a volte ci dimentichiamo di noi stessi. Un giorno, una ferita, ci obbliga a
fermarci, a guardarla e, tanto più è profonda, tanto più necessita di cura.
Benvenute le ferite profonde che ci obbligano a sederci, a piangere dal dolore,
a pensare alle cause, a come è potuto succedere, infine, a pensare un po' a sé
stessi. È curando le ferite che scopriamo che il tempo dedicato a noi stessi,
non è un lusso che ci concediamo, ma un dono che tonifica l’esistenza. E
allora, lentamente, le lacrime si trasformano in sorrisi, il pianto in
allegria, il dolore in amore. Perché, come diceva Gesù, non possiamo amare gli
altri se prima non amiamo noi stessi. Non possiamo chinarci sulle ferite degli
altri, se non abbiamo imparato a curare le nostre.
Grazie, Signore, del dono della ferita. E della gioia della
cura, che riempie il cuore e dona la forza di continuare il cammino con una
maggiore consapevolezza di sé.
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