L’omelia
è un momento importante nella vita di una comunità cristiana. Lo ricorda anche
san Paolo quando nella lettera ai romani ricorda che: “la fede dipende dalla
predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”
(Rom 10,17). Anche Papa Francesco nel suo primo documento ufficiale, vale a
dire l’Evangelii Gaudium, ha ribadito che: “rinnoviamo la nostra fiducia nella
predicazione, che si fonda sulla convinzione che è Dio che desidera raggiungere
gli altri attraverso il predicatore e che Egli dispiega il suo potere mediante
la parola umana” (Evangeli Gaudium, 136).
L’omiletica
è un genere letterario a sé da non confondere con l’esegesi, anche se, senza
dubbio, ha bisogno di alimentarsi nelle ricerche esegetiche per poter elaborare
una riflessione che sappia cogliere l’essenza di un testo della Sacra
Scrittura. Il contenuto dell’omelia nasce da un duplice ascolto: della parola
di Dio e della realtà in cui si vuole comunicare il contenuto. L’attenzione al
contesto è, dunque, di fondamentale importanza. Possiamo parlare di contesto a
diversi livelli di complessità. C’è il contesto in cui vive la comunità, che è
importante conoscere per fare in modo di offrire chiavi di lettura in grado di
leggere il vissuto della comunità. Ogni comunità cristiana è, inoltre, inserita
in un particolare contesto sociale, politico e culturale di una città, una
nazione, che va tenuto in considerazione. C’è infine, un livello maggiore che è
quello della cultura di un’epoca, che influenza le mentalità e le scelte. Oggi
in Occidente viviamo in un contesto culturale post-cristiano. I segni di questo
clima culturale lo tocchiamo con mano tutti i giorni. Lo si coglie dal calo
vertiginoso della richiesta dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, dalla
partecipazione sempre più scarsa alla messa domenicale. La fine della
cristianità è visibile anche nell’assuefazione ai riti e alle celebrazioni
pompose, come i pontificali, le processioni: segni di una visibilità non
ritenuta più necessaria. Come annunciare il Vangelo in questo contesto: è
questo il problema.
La
parola di Dio è il Verbo incarnato nella storia e il suo annuncio non può
essere asettico, imparziale, distaccato: deve avere il sapore del contesto in
cui viene seminato. Proprio per questo, le omelie che propongono qui di
seguito, tengono conto di alcuni aspetti che a mio avviso sono significativi.
Il primo, è l’attenzione alla polemica di Gesù con i capi del popolo. Il
rapporto tra fede e religione, culto e vita sono aspetti che il Vangelo di
Marco accompagna e che in ogni occasione opportuna ho cercato di dare risalto.
È, infatti, a mio avviso, su questo punto che la cultura Occidentale è divenuta
particolarmente sensibile. Nella post-cristianità tutto ciò che è precetto,
imposizione dall’alto è destinata a rimanere disattesa. C’è una sensibilità
particolare nei confronti dei cammini di liberazione, che anche la spiritualità
può offrire. Qui ci troviamo dinanzi ad un paradosso. Se, infatti, la nostra
epoca è segnata da un abbandono sempre maggiore dalle forme di religione
istituzionali come la Chiesa Cattolica, la Protestante e l’Ortodossa,
dall’altra si assiste alla ricerca di esperienze spirituali, di guide alla
meditazione e alla scoperta della vita interiore. Il paradosso è solo apparente
perché cela una critica implicita alle religioni che sembrano ora incapaci di
fornire strumenti per accompagnare la vita spirituale delle persone.
È
l’attenzione a questi aspetti che segnano le riflessioni proposte nelle omelie
dell’anno liturgico B. Un’attenzione che è soprattutto pastorale, perché
nascono all’interno della vita di alcune comunità parrocchiali. Dire attenzione
pastorale significa richiamarsi al contesto, al cammino di fede delle comunità,
per accompagnarle il meglio possibile all’interno del Mistero rivelato da Gesù
Cristo. In realtà, più che vere e proprie omelie, quelle che presentiamo sono
dei canovacci, che offrono degli spunti che possono essere sviluppati come
meglio si crede. Buona lettura.
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