venerdì 22 maggio 2020

COME LE POLITICHE D'IMMIGRAZIONE SI SONO REALIZZATE NEI PAESI EUROPEI






Master di secondo livello: Diritto delle migrazioni. Le politiche migratorie. I profili normativi, Bergamo A.A. 2020-2021. 

DIRITTO COMPARATO

LIVIA TURCO
22 maggio 2020

Sintesi; Paolo Cugini


Come le politiche d’immigrazione si sono realizzate nei vari paesi europei. Politica europea sull’immigrazione. Due eventi hanno inciso: la questione siriana e…
Prima fase: avvio informale immigrazione secondo le esigenze di ciascuna nazione.
Seconda fase, crisi economica anni ’70 legata al petrolio. Tre rotte del mediterraneo. Si costruisce un sistema migratorio che riguarda il sud Europa.

Terza fase: anni 2000. Abbiamo vari fenomeni. Aumento flussi migratori. Avviene anche l’allargamento ad Est dell’UE. Abbiamo gli attacchi terroristici dell’estremismo islamico. In Italia a partire dalla vicenda siriana 2014, l’Europa realizza una svolta di contenimento dei flussi migratoria, e una svolta assimilazionista. Emerge che con l’aumento dei flussi migratori l’UE non è riuscita a trovare una linea comune nell’accoglienza e resta debole sul problema asilo. Non è riuscita a modificare l’accordo di Dublino. Questo sistema ha accentuato il carico di responsabilità e manca il principio do cooperazione.

2014-2016: forti flussi migratori con una forte debolezza interna dell’Europa. Reagisce con la parola arginare e difendere le frontiere. Con l’agenda europea del 2015 e la dichiarazione con la Turchia del 2016, cambia l’approccio, il linguaggio della politica europea dell’immigrazione. Adesso sono Turchia e Grecia le nazioni importanti. Esternalizzazione del controllo dei flussi, della protezione, delle pratiche e procedure delle domande di asilo e protezione.

L’approccio globale s’impoverisce perché si concentra sull’obiettivo di prevenire dell’arrivo dei flussi, per misure di rimpatrio. La cooperazione con i paesi terzi si traduce con aiuti a quei paesi per costruire in loco l’arrivo degli stranieri. Vengono costituiti gli hotspot, strutture di prima accoglienza negli stati membri. Si cedono risorse economiche, competenze tecniche perché i paesi diventino capaci di gestire questi flussi. Viene definito il concetto di paese terzo sicuro, che ha dimostrato una capacità di accoglienza dei rifugiati.

È importante l’accordo con la Turchia del 2016 perché cambia la dimensione geografica, la filosofia politica dell’immigrazione. C’è il principio dell’esternalizzazione, coinvolgendo nella responsabilità dei flussi migratori, fornendo ai paesi il materiale per controllare i flussi.

Accordo con la Turchia 2016. Questo accordo ha un riflesso sulle legislazioni nazionali. Avremo un adeguamento di tutte le legislazioni dei paesi europei nella direzione di questo accordo.
Avremo due eccezioni: Germania e Svezia.

Che cosa prevede l’accordo con la Turchia. La Turchia è un luogo di approdo di migliaia di migranti che vogliono venire in Europa. La Turchia è stata una porta verso l’occidente attraverso la Grecia. Alcuni paesi dell’Est hanno chiuso le frontiere. La Turchia viene riconosciuto come paese terzo sicuro. La Turchia decide di collaborare con l’Europa e di farsi carico della gestione degli sfollati siriani. Ciò che chiede in cambio è di riavviare il suo processo per entrare nell’UE e la richiesta di una libanizzazione dei visti per i cittadini turchi. L’accordo coinvolge Grecia e Turchia. L’accordo chiede ad entrambi i paesi di adeguare la loro legislazione alla normativa europea, per impegnarsi a costruire sistemi di accoglienza e di asilo strutturali, in grado di selezionare le domande di ammissione di asilo, di fare gli accordi in loco e di controllare le frontiere. La Turchia deve bloccare l’immigrazione verso l’Europa. Questa azione di accoglienza, protezione, impatta con la realtà nazionale. La Grecia ha aderito alla convenzione di Ginevra ma con delle eccezioni. Coloro che vengono da stati non europei e che hanno il criterio di rifugiato, hanno la possibilità di essere rifugiato condizionato.
Il sistema di accoglienza della Turchia non è strutturato, applica una politica di distribuzione equa dei richiedenti asilo e protezione internazionale e sussidiaria, all’interno del territorio Nazionale, nelle 81 provincie: 61 di queste ha questo compito. Una volta riconosciuto lo stato di rifugiato, la persona deve stare nella provincia assegnata, ha accesso ad alcuni diritti: servizio sanitario, scuola, lavoro in modo differenziato.

Quando arrivarono i siriani, la Turchia preparò 26 campi. Questo sistema di accoglienza per garantire le frontiere sicure all’Europa, ha un impatto particolare sulla Grecia, perché ha il compito di selezionare l’ammissibilità delle domande, che poi devono essere dirottate verso la Turchia, costruire luoghi di accoglienza delle persone, e un compito di avviare gli accordi di riammissione.
Questo lavoro dovrebbe avvenire entro 25 giorni. Le isole in Grecia diventano dei luoghi dove le persone vengono trattenute a lungo, dei campi di reclusione.

Grecia: è un paese di emigrazione. Deve sorvegliare una frontiera marittima e terrestre. Negli anni 90 arrivano in Grecia i primi immigrati. C’è una legge del 91 piuttosto severa. SI tratta di un Paese che ha fatto fatica a costruire un suo sistema organico di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. Questa difficoltà accresce. Negli anni 2000 la Grecia diventa un punto cruciale per il governo dell’immigrazione nell’insieme dell’Europa. Introdurrà un permesso di soggiorni di lunga durata. Si trova con un sistema di accoglienza piuttosto precario. L’adeguamento della Grecia avviene con il Trattato UE e Turchia. Due leggi: 2016 e 2019 che prevedono una novità, il superamento dell’approccio di un’immigrazione temporanea e viene promosso il permesso della residenza a lungo termine. C’è lo sforzo di adeguarsi alle direttive europee. C’è l’istituzione di una procedura di riconoscimento rapido. La difficoltà della Grecia è che ha molti casi pendenti, di persone arrivate prima del 2016 che erano rimaste sulle isole. Smaltimento degli arretrati. Una delle soluzioni è la previsione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Vengono definiti gli strumenti che consentano alla Grecia di realizzare il suo compito. Vengono attivati centri di accoglienza e identificazione per gestire il primo trattamento amministrativo dei centri. (Svolta securitaria).
La legge del 2019 sul diritto di asilo rafforza la limitazione delle domande di ammissione e va a creare nuovi centri che accolgano le persone in attesa di essere valutati. Sono centri chiusi messi non solo sulle isole.

La Grecia porta avanti una sua politica d’integrazione, attraverso l’accesso ai diritti, lavoro, dialogo interculturale, alloggio. Punta allo sviluppo delle competenze per i dipendenti pubblici che si occupano dei migranti.



 È possibile parlare di un modello mediterraneo (Spagna, Grecia, Italia, Portogallo) che si basa su alcuni fattori strutturali: sono paesi che diventano molto rapidamente paesi di immigrazione dopo una lunga tradizione di emigrazione. C’è la presenza in ognuno di questi paesi di lavoro nero e lavoro informale. Sono comuni le sanatorie. Questi paesi del Sud hanno una componente di popolazione anziana elevata. Che ha governato non ha scelto l’immigrazione, come fecero l’Inghilterra, il Belgio perché ne avevano bisogno. I paesi del sud si sono trovati una marea di persona senza averlo scelto.
Spagna. Paese punto di riferimento della rotta del Marocco. Ci sono le isole di Gibilterra, Ceuta e Melilla che accolgono i migranti. È un paese accogliente diffuso nella cultura. La Spagna è stata a lunga dalla dittatura franchista che aveva una politica migratoria propensa all’espulsione.  Interlocutore della Spagna è stato il Marocco. Conferenza del 2006 per tentare una politica di emigrazione controllata, contrasto immigrazione irregolare, tratta essere umani. Accordi bilaterali tra Spagna e Marocco. Si riducono i numeri degli arrivi e la Spagna comincia a dotarsi di una politica organica sull’immigrazione, incentrata sulla rotta sul Magreb, Marocco, Mauritania, Nuova Guinea. Si costruisce una politica di cooperazione che porta al controllo delle frontiere e alla definizione di quote d’ingresso per lavoro. La Spagna si renderà conto di essere un paese d’immigrazione e si doterà di una legge organica sull’immigrazione, che fa leva sulle città, sul welfare comunitario. Modello molto radicato sul territorio e il dialogo con le varie culture dei popoli che arrivano. Anche la Spagna ha modificato la sua legislazione in senso restrittivo, di selezione delle domande. Politiche di ricollocazione tentate a livello europeo. La Spagna ha una sua stabilità delle politiche migratorie. La Spagna ha partecipato attivamente la politica di ricollocazione.

Portogallo. È un paese che diventa rapidamente un paese immigrante. Lo sa governare bene. Arrivano Capo Verde e Nova Guinea costruisce accordi programmati. Il Portogallo è un paese accogliente. C’è un susseguirsi di regolamentazioni prima di stabilizzare gli ingressi. C’è una presenza di cittadini che provengono dall’Europa dell’Est: Moldavia, Ucraina, Romania, per mano d’opera poco qualificata. Il Portogallo ha un modello basato sul dialogo. Anche qui è attivo un welfare comunitario. Stabilisce una forte collaborazione con la Spagna, che assume un ruolo di mediatore con i paesi terzi africani.

Italia. Ci sono delle fasi. Fase pre-unitaria metà ‘800: immigrazione stagionale che riguarda la zona padana. È l’immigrato risorsa. Lo Statuto Albertino era favorevole. Il Risorgimento è stato contro lo straniero, però numerosi stranieri avevano partecipato al Risorgimento, a partire dalle spedizioni dei mille. Unità d’Italia che si libera dagli occupanti e che trovo sostegno in altre parti del mondo. Questa fase vede positivi i flussi migratori.

Fase seconda: dal 1861 al 1915: prima globalizzazione, frutto dell’industrializzazione. Fenomeno enorme dell’emigrazione. 39 milioni di persone sono emigrate in questa seconda fase (Argentina, Brasile, Belgio, Svizzera). È un’Italia migrante, che ha vissuto le fatiche, le discriminazioni. Ci fu un grande scontro tra gli agrari del Sud e le compagnie navali del Nord. I grandi latifondisti del Sud erano contrari a una legge sull’emigrazione, mentre le compagne navali si. Vinse la lungimiranza di Crispi e Cavour che erano favorevoli alle circolazioni. Abbiamo una componente liberale favorevole al processo, perché si è consapevoli che il mondo sta cambiando, che l’Italia deve adeguarsi al tempo. Ci fu la prima legge di tutela delle migrazioni del 1901, che tutelava le condizioni dei migranti sia durante il viaggio e con accordi in cui erano diretti i flussi migratori. Per l’Italia sarà importante gestire le rimesse dei migranti.

 Terza fase: 1914-1945. Contenimento flussi migratori. Crisi del ’29: gli USA limitano gli ingressi, perché si riduce la domanda la forza lavoro. Fra le due guerre c’è il fascismo caratterizzato da una politica demografica, coloniale. Ciò comportò l’immigrazione e l’emigrazione, anche quella interna. La colonia verso l’Africa orientale, con trasferimento di lavoratori.

Quarta fase: 1946-1975. Sono gli anni della grande crescita, del bum economico, che creano le basi dell’emigrazione. Tante industrie manufatturiere saranno quelle che avranno bisogno di mano d’opera. Si forma l’Italia dell’industrializzazione e quella che resta agricola. 1973: crisi petrolifera. Continua la politica di emigrazione in Belgio e Germania. L’Italia sente di dover saldare il debito con gli italiani all’estero e attiva una politica di collaborazione con i paesi coinvolti. Le rimesse degli emigrati sono una delle basi dello sviluppo economico e sociale. C’è una cultura popolare che accompagna l’emigrazione: cinema, canzone, arte. Legge sulla cittadinanza 91/1992, legge ius sanguinis, concedendo il diritto di voto.

Quinta fase: 1976-. Seconda globalizzazione. Passaggio dell’Italia da paese emigrante a paese d’immigrazione. Rapidità del cambiamento: è lo specifico dell’Italia. La presenza della Chiesa e il forte bisogno del lavoro domestico, il bisogno di forza lavoro nelle aziende manufatturiere. Agli inizi degli anni Ottanta l’Italia si trova paese d’immigrazione. Dal 1970 al 2013 l’Italia diventa paese d’immigrazione. La crescita della presenza d’immigrati dal 1991 al 2011 ha poco riscontri nella storia: passa da 356 mila a 4 milioni di unità, con un tasso medio di crescita del 13%. Ciò spiega molto del clima della politica d’immigrazione. L’Italia era un Paese accogliente. La legge Martelli la si fece sull’onda di una manifestazione a favore dei migranti. Alcune costanti: essere tolleranti verso un’immigrazione irregolare; il governo dell’immigrazione con circolari dei ministeri; le sanatorie. 1979 regolarizzazione di colf: 1982: regolarizzazione lavoro subordinato; 1986; legge martelli 218 mila domande tra lavoro autonomo, subordinato, studio; 1995: sanatoria 244 mila domande; 1998 sanatoria 217 mila domande accettate; 2002: 646 mila accettate con la lega al comando: è la sanatoria più grande della storia d’Europa; 2006: decreto flussi che fu insufficiente e si completò con una regolarizzazione; 2008: colf e badanti. Il governo dell’immigrazione si è basata su una serie di Sanatorie. Il merito della legge Martelli ha inciso sul diritto di asilo. Viene recepita la convenzione di Ginevra. Viene tolta la riserva geografica e vengono avviate le prime politiche di accoglienza. La Legge Martelli è del 1990 e negli anni successivi sono gli anni della crescita esponenziale dell’immigrazione. La rapidità ha significato che città – esempio del quartiere san Salvario a Torino - cambiassero radicalmente, scuole e strade pieni d’immigrati. Cresce un sentimento di ostilità legata al trovarsi estraniati, a non capire più il proprio quartiere.



C’era sul tavolo il decreto Dini che aveva previsto misure di contrasto. La politica ha scelto di fare una legge organica sull’immigrazione. Clima di ostilità nel Paese, il flusso migratorio dall’Albania. In quel contesto fu fatta la legge del 1997 che prevedeva il programma triennale sulle politiche migratorie, e le politiche d’integrazione, Figura dello sponsor per la ricerca di lavoro. Diritti sociali basati sulla distinzione: diritti legati alla dignità della persona e i diritti connessi alla residenza. Si prevede il diritto di voto per via ordinaria.

Pilastri: contrasti immigrazione clandestina; vasto programma d’integrazione: diritti e doveri legati alla persona e al legame del territorio. Welfare comunitario era cresciuto nel frattempo in Italia. La legge è nata con il confronto con l’elaborazione degli attori economici sociali. 14/2/1997. L’opposizione fece ostruzionismo. Il percorso legislativo fu rapido grazie a Napolitano. Veniva contestato il trattenimento di 30 giorni per persone che negavano le proprie generalità ai fini dell’identificazione. Fu necessario, costituzionalmente corretto, in una vulgata giuridica e di un mondo associativo è diventato la norma antesignana ai centri s’intrattenimento. Turco è contrario a questa tesi. Ci fu compattezza a sinistra, con la Chiesa-Caritas. Due cose importanti: l’accordo con l’Albania (sul piano di parità per aiutare quel paese a ricostruirsi. Fu un aspetto che proseguì nel tempo. L’accordo bilaterale con l’Albania è una metafora di come devono essere gli accordi bilaterali); l’accordo con la Tunisia di Napolitano. Parte sugli ingressi regolari e politiche sull’integrazione. Quella legge è stata stravolta nella parte sulle espulsioni, dalla cancellazione della protezione umanitaria; sulle norme sull’integrazione. Molte norme sono rimaste: art. 3, sull’assistenza sanitaria, nonostante ci fosse stato il tentativo di cancellare quella norma. Memorabile la testimonianza di tutti i medici italiani che dissero che noi non saremo mai medici spia. Maroni dovette ripristinare quella norma. Della Bossi Fini la Turco riconosce la sottolineatura di formare in loco la formazione di forza lavoro. Così come le norme sul diritto di asilo e nel nostro paese spero che si ritorni ad una politica di accoglienza che abbia l’accoglienza diffusa il suo cardine.

Considerazione: purtroppo un capitolo viene cancellato. Abbiamo assistito alla svolta securitaria con il forte arrivo nel 2014 e 2015. “Mi auguro che la politica europea faccia una politica di equa distribuzione. Insieme a questo vorrei che si discutesse sul tema dell’integrazione. Dobbiamo discutere di quale modello di convivenza”. Nella legge 40 c’era un modello di convivenza basato sulla non discriminazione, sul dialogo tra culture, sul ruolo attivo dei territori. Sono i territori, i comuni, le ong, le imprese che possono costruire quel dialogo e interazione, che si applica là dove si vive. L’interazione presuppone una grande politica nazionale. Oggi il dibattito resta concentrato sull’espulsione.
Quale politiche migratorie hanno realizzato altri paesi? Storicamente i modelli d’integrazione sono stati due: assimilazionista (Francia), multiculturale (Olanda, Svezia). Significativo è quello della Germania. Idea assimilazionista. Conta la residenza, la condivisione dei valori e dello spirito nazionale. La concezione romantica della nazionalità alla base del modello multiculturale mette al centro il legame di sangue: è la mia patria perché ci sono nato. Questo legame di sangue comporta un’elaborazione culturale in cui contano molto le tradizioni, la storia, i valori che sono considerati non negoziabili ad un’interazione pluralista.  

Francia: lo Stato è frutto di un contratto tra la popolazione e il territorio in cui vive. Non basta la convivenza e la permanenza, perché la nazione è un’identità culturale e nazionale. Non conta essere nati nel paese, però conta il legame con la Nazione che è un patrimonio di valori che non è negoziabile e quindi deve assimilarsi. La Francia è da sempre terra d’immigrazione. La necessità di una mano d’opera qualificata fin dall’800 rendeva necessaria la provenienza di persone di altri Paesi. La Francia è uno dei paesi che per primi ha avuto un governo dell’immigrazione con un forte ruolo da parte dello Stato. Cultura affine. All’inizio l’immigrazione fu transfrontaliera (Italia, Belgio). Nel 1918 viene stipulato un accordo con la Polonia e la Francia fece arrivare 500 mila lavoratori polacchi. Nel 1931 raggiunge il 6% sul totale della popolazione. In quegli anni si consolida il Concetto di Stato Nazione e d’identità culturale nazionale: chi nasce e vive in Francia diventa francese. Lo Stato individua nella scuola il vettore per fare apprendere la cultura francese e fare crescere in tutti il sentimento della patria. La scuola laica gratuita viene estesa anche alle colonie. Viene modificato il codice napoleonico inserendo la possibilità dell’acquisizione della cittadinanza francese, prevedendo che uno straniero diventasse francese. La Francia è la patria dello ius soli in Europa. Nel dopoguerra c’è un altro incremento della mano d’opera straniera. Nel dopoguerra della seconda guerra mondiale vengono fatte politiche immigratorie, rendendo ancora più esplicito il ruolo dello Stato in queste politiche immigratorie. 1945: viene istituito l’ufficio Nazionale dell’immigrazione, con il compito di eliminare la competizione dei salari; evitare gli abusi. Il funzionamento di questo ufficio si rivelò burocratico costoso e burocratico. In quegli anni sale l’immigrazione. Arriva la famosa crisi petrolifera che riduce gli ingressi regolari e accentua il carattere selettivo. Nel frattempo i flussi migratori si erano aperti a tutto il mondo. Si pose il criterio delle quote d’ingressi, che avrebbero dovuto essere più selettive. Criterio della vicinanza culturale. In quegli anni ’70 incominciano ad esserci problemi di disoccupazione, cresce un’immigrazione più integrata. Tutti i paesi reclutano forza lavoro straniera, lo fanno secondo i criteri del mercato del lavoro, ma l’approccio utilitarista lascia il posto alla considerazione personalista: i lavoratori hanno moglie e figli, e i lavoratori diventano persone e cittadini e non accettano discriminazioni. C’è il principio della eguaglianza. Esplode il problema della bidonville, alloggio che doveva essere garantito dal datore di lavoro. Gli immigrati non accettano questa situazione sociale. Nasce un movimento che è sostenuto dai sindacati e matura nel mondo politico francese la consapevolezza, che per garantire sicurezza al Paese non solo devi selezionare gli ingressi sulla base della necessità del lavoro, ma occorre avere attenzione alla vita dei migranti. Le politiche d’integrazione diventano importanti.

 È l’epoca del presidente Giscard D’Estaing che istituì la figura che aveva il compito di gestire in modo completo il fenomeno migratorio. Miglioramento condizione lavorativa. Altro passo fu quello di consentire agli immigrati di partecipare alla vita politica, essere eletti delegati sindacali e favorire la cooperazione tra i lavoratori. In questo modo gli immigrati diventano una componente stabile. Un’accelerazione alle politiche d’integrazione avviene al 1981 quando diventa presidente Mitterand. Questo processo già avviato di costruzione di politiche d’integrazione ebbe un’accelerazione. Viene conferito il diritto di associazione degli stranieri. Due sono i provvedimenti importanti:


a.       1981: Zone di educazione prioritaria nelle zone in cui alta era la presenza degli stranieri. Introdurre il principio selettivo sembra in contrapposizione con l’universalismo, ma non è così. È giusto che ci sia un intervento mirato per aiutare i gruppi in difficoltà. (Nel 1984 l’Italia è la scuola di tutti e per tutti è stato il più importante strumento d’integrazione. Anche nella scuola Italiana si sono attivate iniziative specifiche). Per essere aperte a tutti la scuola deve riconoscere le disuguaglianze, le differenze di apprendimento.

b.      Permesso di soggiorno con validità decennale. Richiesta del movimento degli immigrati, con protagoniste le seconde generazioni. Questa proposta fu accolta da Mitterand con un’idea d’integrazione, che più una persona sta sul territorio, maggiormente si integra. Ciò che favorisce l’integrazione è la permanenza sul territorio. In questi anni il tema dell’immigrazione diventa un tema politico, nascono i conflitti. 1983: nasce il Fronte Nazionale de Jean Marie Le Pen, che ottiene il 10% nelle elezioni. Il tema dell’immigrazione diventa importante per i partiti. Sul no agli immigrati nasce un nuovo partito. Questo conflitto politico comincia ad attraversare la società francese.

Nel 1996 vince la Destra che mette al centro la lotta contro l’immigrazione clandestina e, dunque, bisogna velocizzare le espulsioni e che l’immigrazione sia regolare e legale. Nel momento in cui le persone diventano cittadine l’esperienza dimostra che le differenze non si cancellano, ma acquisiscono forza. A fine anni ’80 nasce la questione dell’Islam in Francia. Il tema religioso è molto delicato.

Fatto: novembre 1989 velo islamico, quando tre giovani studentesse mussulmane furono sospese dalla scuola media per aver indossato il velo islamico in classe. La questione del velo è posta da giovani donne che facevano parte delle seconde, terze generazioni. L’Islam e l’esibizione della religione nasce come domanda d’identità, come rivendicazione. Ciò andava contro al valore della laicità, che in Francia è fondamentale. Viene proibita l’esibizione di simboli religiosi. Il Consiglio di Stato non si espresse contro i simboli religiosi, ma indossati in luogo pubblico possono essere considerati come proselitismo, perturbando lo svolgimento dell’insegnamento. I simboli religiosi sono un fatto privato. Questa è la concezione della laicità della Francia. Il parere del Consiglio di Stato fu accolto positivamente da tutte le componenti politiche. Ciò aveva dimostrato la complessità dell’integrazione. Venne costituito un alto Consiglio d’integrazione con esperti. Ci sono delle questioni che la politica non può risolvere da sola. Il clima era cambiato. Il bisogno di maggior controllo sull’immigrazione, sui processi d’integrazione e il tema del dialogo con l’Islam divenne rilevante. Queste innescarono dei conflitti nella società francese che furono cavalcati dal partito politico nato su questi problemi. Viene modificato lo ius soli: occorre aver frequentato un percorso scolastico. Non bastava essere nati sul suolo, ma dimostrare di aver avuto un radicamento con i valori del Paese.

Una svolta in senso restrittivo avvenne con l’arrivo di Nicolas Sarkozy. Fece una legge nel 2006 e la sua azione fu chiara. Dall’immigrazione subita, all’immigrazione scelta. Incentivare l’immigrazione economica; ridurre i ricongiungimenti famigliari. Fu un’epoca in cui si accentuò l’immigrazione che doveva essere facilmente integrabile, che deve corrispondere alle esigenze di sviluppo per la Francia. Sarkozy introdusse il contratto d’integrazione, che doveva essere vincolante per ogni immigrato presente nel territorio francese. Ha il compito di fornire una formazione, civica, linguistica, professionale all’immigrato che entrava in Francia per garantire un pieno processo d’integrazione. Il rinnovo del permesso di soggiorno era vincolato da questo contratto. S’introduce un punto che vedremo essere presente nelle politiche di tutti i paesi europei, in cui la politica d’integrazione non ha valore in quanto politica inclusiva. C’è d’ora innanzi uno strumento selettivo per la permanenza nel territorio. La politica passa da inclusiva a selettiva per decidere la permanenza o l’espulsione dal territorio. È una misura che è rimasta.

Macron ha accentuato la distinzione tra immigrati economici e rifugiati. Sulla base delle politiche europee dell’immigrazione anche per la Francia c’è stata una chiusura. La Francia di Macron si è attivata per la collaborazione con l’Africa. La criticità del modello assimilazionista è che la promessa di eguaglianza non è stata ottenuta. Così come è motivo di discussione il concetto di laicità che esclude dal dialogo la pluralità delle culture. Questo problema appartiene a tutti i paesi europei.

Belgio: ha scelto il modello assimilazionista. Attraeva forza lavoro grazie alla sua economia. Il Belgio è formato da tre regioni indipendenti, che fanno fatica a costituirsi come paese nazionale. Il Belgio si connota per una buona politica d’integrazione. Sono stati attivi i sindacati per promuovere l’integrazione dei lavoratori e delle loro famiglie. Ricongiungimento familiare e scuola sono state due politiche fondamentali. Neutralità religiosa e rispettosa della religiosità come dimensione privata. È un’immigrazione e un’integrazione riuscita, che ha resistito anche attraverso gli attacchi terroristici.

Germania: È un’esperienza positiva. Ha una sua peculiarità, storia che viene da lontano. È sempre stata interessata ai flussi migratori. ius sanguinis, legame di sangue, come l’Italia. Pur avendo attratto persone lavoratori ha coniugato l’immigrazione economica con il mantenimento del legame di sangue, ed ha elaborato la tesi del lavoratore ospite. Ha teorizzato la concezione funzionalista dell’immigrazione Per un lungo periodo i processi d’integrazione sono stati limitati: dormitori vicini ai luoghi di lavoro, investimenti scarsi per l’insegnamento della lingua e ostacolato il ricongiungimento famigliare. Crisi petrolifera: fase recessiva dove vengono chiusi gli ingressi per lavoro. Ci si rende conto che c’erano persone e l’approccio utilitarista venne abbondonato a favore di politiche d’integrazione. Comunità turca. Negli anni 70-80 matura questo cambiamento d’approccio. Vengono promosse politiche d’integrazione: ricongiungimenti familiari. Vengono realizzati investimenti nella scuola. 2000: modifica della legge di cittadinanza, introduce un elemento di jus soli. Viene abbandonato lo ius sanguini. Si può acquisire la cittadinanza dopo un percorso scolastico. Dopo 7 anni si può ottenere la cittadinanza e non più 10. Approccio alla politica d’integrazione basato sulla bi-direzionalità. È un dovere dello Stato ospitante conoscere e rispettare la cultura dell’immigrato. È la nazione più coerente al concetto dell’interazione.

Altra peculiarità: ha un approccio inclusivo nelle politiche dei richiedenti asilo, sollecita il mondo economico e delle imprese, per essere protagonista delle politiche d’integrazione degli immigrati. Ruolo forte dello Stato, ma c’è una promozione di responsabilità da parte di tutti i soggetti culturali, economici e sociali. Riconoscimento del ruolo della religione islamica: viene deciso di stabilire un dialogo permanente dell’islam, per favorire un processo di europeizzazione dell’Islam. Reciproco riconoscimento. Merkel critica il multiculturalismo perché propone una condivisione da separati, tolleranza distaccata, mentre la Germania propone un dialogo permanente. La pratica della bi-direzionalità, dell’interazione con la consapevolezza che bisogna costruire un nuovo noi, è il cammino vincente. Ha puntato sull’immigrazione di qualità. Questo approccio che vede il coinvolgimento delle forze in campo si è visto nel 2016 all’epoca della guerra in Siria. Il Governo Merkel ha realizzato questa accoglienza attivando il ruolo delle imprese, per contribuire ad un’integrazione dei rifugiati fin dall’inizio. Poi ha attivato la società civile attraverso pratiche diverse: appartamenti condivisi, i tutori, ecc. Ciò ha consentito di prevenire i conflitti di ordine culturale. Si è posta il problema della partecipazione politica e civica dei migranti.

Svezia: dopo la II guerra mondiale ha bisogno di forza lavoro. Ha considerato l’immigrazione come una risorsa. Accoglie un gran numero di rifugiati. Anche qui negli anni ’70 abbiano una riduzione delle entrate per lavoro. Nella vicenda della Siria si è dimostrata accogliente. È un paese che ha investito sulla formazione, partecipazione politica, riconoscimento della pluralità religiosa. Ha fatto uno sforzo affinché le pluralità fossero in dialogo fra di loro. Sforzo favorito dalla scuola, dalla partecipazione politica dei migranti.

Olanda: È la patria del multiculturalismo. Fanno parte della sua storia il rapporto con la Turchia, Marocco, Antille e fin dall’inizio i gradi porti Amsterdam, Rotterdam sono punti d’attrazione dell’immigrazione. Dopo la II guerra mondiale ebbe un processo d’industrializzazione e aveva bisogno di forza lavoro. Questo attrae fora lavoro da paesi come la Spagna e altri. Adotta la teoria del lavoratore. È stato un paese ospitale nei confronti dei rifugiati. Le sue politiche d’integrazione, soprattutto negli anni ’90 investe moltissimo nella scuola, a partire dei bambini e promuove l’educazione interculturale, che è rimasta nel tempo. Ha un Welfare gestito dal riconoscimento delle minoranze e attribuisce diritti e protezione alle minoranze. Questo rispetto rende rilevante il principio di tolleranza, che non è sufficiente di costruire convivenza. Questo aspetto di un multiculturalismo gestito come riconoscenza di minoranze è proprio connaturato al sistema di welfare olandese. Succede che alla fine degli anni ’90 da parte della stessa cultura progressista ci s’interroga sulla perdita d’identità in quanto tale: qual è il profilo nazionale del nostro paese? Nasce un partito populista, che si basava sulla critica al multiculturalismo, che non aveva creato un’integrazione, e ha contribuito a far perdere l’identità dell’Olanda. Tutte le forze politiche percepiscono il problema. Il partito populista troverà ampio consenso nel Paese. Problema con gli arrivati di fede mussulmana. Questo porta alla svolta assimilazionista., I governi di centro destra inaugurano le politiche d’integrazione culturale come politiche selettive. La conoscenza dell’Olandese dev’essere conosciuta quando si compila la domanda d’ingresso nel territorio. Test pre-ingresso per selezionare gli immigrati. Altro cambiamento: salvo la scuola pubblica, che viene mantenuta così, ci sarà un giro di vite sui ricongiungimenti familiari. I corsi devono essere pagati dai privati e non più dal welfare. È la svolta assimilazionista che ha lasciato un segno pesante nel dibattitto pubblico europeo. Resta un sistema d’istruzione, di welfare, un sistema di acquisizione della cittadinanza aperto. Questa svolta restrittiva permane anche oggi. Negli ultimi anni, infatti, si è dimostrata resistente nei confronti della modifica del trattato di Dublino.

Riflessione conclusiva. Il successo dell’integrazione si è avuto nei paesi in cui si è applicata l’interrelazione e bi-direzionalità e quando si è sollecitata la partecipazione attiva dei migranti alla vita della comunità. Dobbiamo costruire l’Europa della convivenza e della mescolanza. Troviamo una strada. È importante lavorare per una nuova idea di convivenza, tenendo conto le scelte dei paesi che hanno realizzato politiche che hanno avuto successo. Principio di non discriminazione è fondamentale. È necessaria l’inclusione dei migranti nella ita pubblica. Occorre proporre nella pratica quotidiana la fatica del conoscersi e riconoscersi. Si costruisce convivenza non solo con le leggi, ma anche attraverso il legame umano e sociale, costruendo patti di reciproco riconoscimento nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Non basta stare gli uni accanto agli altri. Occorre fare la fatica del dialogo e della relazione. L’Italia ha un patrimonio di esperienze di buone pratiche, ma un discorso pubblico che non valorizza l’Italia della convivenza. Politiche locali che attivino le associazioni dei migranti ad essere protagonisti nella vita sociale.


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