martedì 25 novembre 2025

PUNTI FERMI DI UMA TEOLOGIA SOVVERSIVA

 




 

Paolo Cugini

 

 

In un’epoca segnata da profondi cambiamenti sociali, culturali ed economici, la teologia è chiamata a interrogarsi sul proprio ruolo e sulla propria capacità di incidere nella realtà. In questo contesto nasce e si sviluppa la cosiddetta “teologia sovversiva”, una corrente di pensiero che non si limita a interpretare il mondo, ma mira a trasformarlo, ponendosi come voce critica nei confronti delle ingiustizie, delle disuguaglianze e delle strutture oppressive. Ma quali sono i punti fermi di una teologia sovversiva? Quali principi la animano e la rendono attuale?

Il primo pilastro di una teologia sovversiva è la ricerca instancabile della giustizia. Questa teologia assume come criterio fondamentale il grido degli oppressi, ponendo al centro l’esperienza di chi è escluso, marginalizzato o sfruttato. Non si tratta solo di una giustizia astratta, ma di una giustizia concreta, che si traduce in impegno attivo per la liberazione dei poveri e degli emarginati, in linea con la tradizione profetica biblica e con la pratica di Gesù di Nazareth. Una teologia sovversiva riconosce nei poveri e nei deboli il volto stesso di Dio. L’opzione preferenziale per i poveri non è solo una scelta etica, ma una chiave interpretativa della rivelazione divina. In questo senso, ogni discorso teologico che non tiene conto delle sofferenze e delle speranze dei popoli oppressi rischia di essere vuoto e autoreferenziale.

La teologia sovversiva si distingue per una critica radicale alle strutture di potere che generano e perpetuano l’ingiustizia. Essa denuncia le connivenze tra religione e potere politico o economico, e invita le comunità di fede a prendere posizione contro ogni forma di idolatria del potere, del denaro e del successo. In questo senso, risuona attuale il monito evangelico: “Non potete servire Dio e la ricchezza”.

Questa teologia si nutre del dialogo con le altre discipline, le altre culture e le altre religioni. L’approccio sovversivo rifiuta ogni forma di dogmatismo e si apre al confronto, consapevole che la verità non è proprietà esclusiva di nessuno, ma si costruisce nella relazione, nell’ascolto e nella condivisione. In questo senso, la teologia sovversiva si fa anche autocritica, pronta a riconoscere i propri limiti e a lasciarsi interpellare dall’alterità, aprendosi, in questo modo, ad ogni forma di contaminazione.

La teologia sovversiva non si limita alla riflessione teorica, ma si traduce in prassi. “Fede senza opere è morta”, recita la Lettera di Giacomo. Per questo, ogni elaborazione teologica deve essere accompagnata da scelte concrete che mirano a cambiare la realtà, a partire dai piccoli gesti quotidiani fino alle grandi battaglie sociali e politiche. È una teologia che “scende in strada”, che si sporca le mani, che si mette a servizio di chi lotta per la dignità e la libertà.

Il termine “sovversiva” porta con sé un carico semantico importante, evocando l’idea di rottura, di messa in discussione delle strutture consolidate. Tuttavia, nella prospettiva teologica, la sovversione non è distruttiva, ma generativa: si tratta di provocare domande, di aprire spazi di dialogo, di dare voce a chi storicamente è rimasto ai margini. Questo approccio si ispira profondamente al messaggio evangelico, che sovverte le logiche del potere per mettere al centro i piccoli, i poveri, gli esclusi. La relazione tra la teologia sovversiva e il Magistero della Chiesa non è di mera contrapposizione. A volte, ciò che sembra minacciare l’ordine costituito può, in realtà, favorire una trasformazione positiva. La teologia sovversiva interroga il Magistero su temi cruciali come giustizia, inclusione, dignità, invitando la Chiesa a rivedere le proprie posizioni e ad aprirsi a nuove prospettive.

Al cuore della teologia sovversiva c’è il desiderio di una Chiesa “ospitale”, capace di accogliere tutte le diversità: culturali, sociali, di genere. Questo abbraccio non è una concessione, ma una risposta autentica al Vangelo, che invita a fare posto nell’assemblea ecclesiale a tutte e tutti. In tal senso, la teologia sovversiva si pone come alleata di una Chiesa che vuole essere madre. Nella storia recente, diversi movimenti e figure hanno incarnato questa tensione creativa: dalla teologia della liberazione in America Latina, che ha dato voce ai poveri contro le ingiustizie sociali, alle teologie femministe e queer, che hanno sfidato la Chiesa a ripensare il proprio linguaggio, i propri riti, le proprie strutture. Queste esperienze fanno da specchio a una Chiesa in cammino, chiamata a camminare insieme (sinodalità), come auspicato da Papa Francesco.

La teologia sovversiva ci invita a camminare insieme, con coraggio e speranza, verso una società più giusta e solidale.

 

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