Paolo
Cugini
In
un’epoca segnata da profondi cambiamenti sociali, culturali ed economici, la
teologia è chiamata a interrogarsi sul proprio ruolo e sulla propria capacità
di incidere nella realtà. In questo contesto nasce e si sviluppa la cosiddetta
“teologia sovversiva”, una corrente di pensiero che non si limita a
interpretare il mondo, ma mira a trasformarlo, ponendosi come voce critica nei
confronti delle ingiustizie, delle disuguaglianze e delle strutture oppressive.
Ma quali sono i punti fermi di una teologia sovversiva? Quali principi la
animano e la rendono attuale?
Il
primo pilastro di una teologia sovversiva è la ricerca instancabile della
giustizia. Questa teologia assume come criterio fondamentale il grido degli
oppressi, ponendo al centro l’esperienza di chi è escluso, marginalizzato o
sfruttato. Non si tratta solo di una giustizia astratta, ma di una giustizia
concreta, che si traduce in impegno attivo per la liberazione dei poveri e
degli emarginati, in linea con la tradizione profetica biblica e con la pratica
di Gesù di Nazareth. Una teologia sovversiva riconosce nei poveri e nei deboli
il volto stesso di Dio. L’opzione preferenziale per i poveri non è solo una
scelta etica, ma una chiave interpretativa della rivelazione divina. In questo
senso, ogni discorso teologico che non tiene conto delle sofferenze e delle
speranze dei popoli oppressi rischia di essere vuoto e autoreferenziale.
La
teologia sovversiva si distingue per una critica radicale alle strutture di
potere che generano e perpetuano l’ingiustizia. Essa denuncia le connivenze tra
religione e potere politico o economico, e invita le comunità di fede a
prendere posizione contro ogni forma di idolatria del potere, del denaro e del
successo. In questo senso, risuona attuale il monito evangelico: “Non potete
servire Dio e la ricchezza”.
Questa
teologia si nutre del dialogo con le altre discipline, le altre culture e le
altre religioni. L’approccio sovversivo rifiuta ogni forma di dogmatismo e si
apre al confronto, consapevole che la verità non è proprietà esclusiva di
nessuno, ma si costruisce nella relazione, nell’ascolto e nella condivisione.
In questo senso, la teologia sovversiva si fa anche autocritica, pronta a
riconoscere i propri limiti e a lasciarsi interpellare dall’alterità,
aprendosi, in questo modo, ad ogni forma di contaminazione.
La
teologia sovversiva non si limita alla riflessione teorica, ma si traduce in
prassi. “Fede senza opere è morta”, recita la Lettera di Giacomo. Per questo,
ogni elaborazione teologica deve essere accompagnata da scelte concrete che
mirano a cambiare la realtà, a partire dai piccoli gesti quotidiani fino alle
grandi battaglie sociali e politiche. È una teologia che “scende in strada”,
che si sporca le mani, che si mette a servizio di chi lotta per la dignità e la
libertà.
Il
termine “sovversiva” porta con sé un carico semantico importante, evocando
l’idea di rottura, di messa in discussione delle strutture consolidate.
Tuttavia, nella prospettiva teologica, la sovversione non è distruttiva, ma
generativa: si tratta di provocare domande, di aprire spazi di dialogo, di dare
voce a chi storicamente è rimasto ai margini. Questo approccio si ispira
profondamente al messaggio evangelico, che sovverte le logiche del potere per
mettere al centro i piccoli, i poveri, gli esclusi. La relazione tra la
teologia sovversiva e il Magistero della Chiesa non è di mera contrapposizione.
A volte, ciò che sembra minacciare l’ordine costituito può, in realtà, favorire
una trasformazione positiva. La teologia sovversiva interroga il Magistero su
temi cruciali come giustizia, inclusione, dignità, invitando la Chiesa a
rivedere le proprie posizioni e ad aprirsi a nuove prospettive.
Al
cuore della teologia sovversiva c’è il desiderio di una Chiesa “ospitale”,
capace di accogliere tutte le diversità: culturali, sociali, di genere. Questo
abbraccio non è una concessione, ma una risposta autentica al Vangelo, che
invita a fare posto nell’assemblea ecclesiale a tutte e tutti. In tal senso, la
teologia sovversiva si pone come alleata di una Chiesa che vuole essere madre. Nella
storia recente, diversi movimenti e figure hanno incarnato questa tensione
creativa: dalla teologia della liberazione in America Latina, che ha dato voce
ai poveri contro le ingiustizie sociali, alle teologie femministe e queer, che
hanno sfidato la Chiesa a ripensare il proprio linguaggio, i propri riti, le
proprie strutture. Queste esperienze fanno da specchio a una Chiesa in cammino,
chiamata a camminare insieme (sinodalità), come auspicato da Papa Francesco.
La
teologia sovversiva ci invita a camminare insieme, con coraggio e speranza,
verso una società più giusta e solidale.
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