lunedì 8 settembre 2025

Le politiche di protezione ambientale in Amazzonia continuano a subire gli effetti dello smantellamento del governo Bolsonaro

 



 

 

Autrice: Marilene Corrêa, Professoressa Ordinaria, Università Federale dell'Amazzonia (UFAM)

Pubblicato: 27 agosto 2025

Traduzione: Paolo Cugini

 

Dall’accelerazione dei processi di occupazione del nord del Brasile, promossi dallo sviluppo del governo militare, la violenza cresce in Amazzonia a ogni nuovo ciclo di appropriazione economica degli spazi e delle risorse naturali. Negli ultimi decenni del XX secolo, le politiche ambientali create con la redemocratizzazione del paese e sotto l'atmosfera dell’Eco 92 hanno cercato di resistere agli attacchi predatori contro la ricchezza mineraria, vegetale e umana. Tuttavia, nel corso degli anni, anche grazie alle regolamentazioni fondiarie e all'ambientalismo, i conflitti tra popoli indigeni, piccoli proprietari e gruppi predatori sono aumentati.

Popoli, territori e culture amazzoniche sono stati violati fin dalla colonizzazione. Ma la persistenza di questa violenza in pieno XXI secolo mette in luce la gravità di un’organizzazione nazionale incompleta e che retrocede davanti a ogni avanzamento nel controllo ambientale degli spazi naturali e sociali.

Il caso dell’Amazzonia

L’Amazzonia è lo stato brasiliano con la maggiore estensione di aree protette, custodendo un patrimonio socioambientale di grande valore globale. La sua vasta area di territori conservati comprende Unità di Conservazione (UC) che coprono il 30,21% del territorio statale — pari a 47,2 milioni di ettari. Queste aree sono suddivise tra UC federali (16,96%), come parchi nazionali e riserve estrattiviste; UC statali (12,05%), gestite dal governo dell’Amazzonia; e UC municipali (1,19%), con la partecipazione delle amministrazioni locali nella conservazione.

Le Terre Indigene (TI) ammontano a oltre 53,7 milioni di ettari, demarcati in 164 territori. Questi spazi sono essenziali non solo per la conservazione della biodiversità, ma anche per la sopravvivenza culturale e materiale di 61 popoli indigeni, custodi di saperi tradizionali e della foresta tropicale. Inoltre, le Unità di Conservazione dell’Amazzonia ospitano una ricca diversità socioculturale, accogliendo circa 13.805 famiglie distribuite in 713 comunità. Oltre agli indigeni, tra questi gruppi figurano i ribeirinhos (villaggi sulla riva del fiume), i raccoglitori di caucciù e i quilombolas (villaggi formati esclusivamente da afro-discendenti), le cui modalità di vita si adattano alla logica sostenibile e rafforzano l’importanza di queste aree per l’equilibrio ecologico e la giustizia ambientale.

Tra il 2000 e il 2016, lo stato dell’Amazzonia ha creato una vasta rete di protezione ambientale dei suoi territori, essenziale per il mantenimento dei servizi ecosistemici (come la regolazione del clima e la conservazione delle risorse idriche) e per contrastare i cambiamenti climatici. Il Sistema Nazionale delle Unità di Conservazione (SNUC) ha creato numerose UC, sia di protezione integrale che di uso sostenibile. Parchi Nazionali, Riserve Biologiche, Riserve Estrattiviste, Aree di Protezione Ambientale (APA) sono stati integrati in un sistema statale intelligente, in cui la gestione ambientale e il supporto di politiche pubbliche a favore delle popolazioni della foresta hanno ispirato altri stati amazzonici. Questo clima favorevole di sostegno politico e sociale, locale, nazionale e internazionale, permetteva allo stato di gestire grandi aree di protezione ambientale, controllare le pratiche predatorie e i rischi per la foresta, e integrare municipalità e popolazioni tradizionali nell’orientamento verso la sostenibilità.



Cambiamento improvviso di rotta

Il contesto politico di accoglienza delle politiche ambientali locali è cambiato drasticamente dal colpo di stato civile contro la presidente Dilma Rousseff, con la limitazione delle iniziative democratiche e delle buone pratiche ambientali nell’era Temer. Durante i governi di Michel Temer e Jair Bolsonaro, l’iniziativa di una politica ambientale promettente perde forza a livello locale e nazionale, e i territori demarcati non svolgono il loro ruolo. Si osserva l’indebolimento delle politiche pubbliche di protezione effettiva, la mancanza di vigilanza adeguata e l’assenza di supporto alle popolazioni tradizionali. Nel 2019, con l’arrivo di Bolsonaro alla presidenza, ha inizio l’antipolitica ambientale, segnata dallo smantellamento dei progressi ottenuti e dall’indebolimento, nelle realtà locali, delle pratiche sostenibili di protezione ambientale. La letteratura scientifica indica che questo periodo è stato segnato dalla distruzione dell’assetto istituzionale precedente, e che gli impatti di queste misure persistono sui territori protetti. Episodi deplorevoli di razzismo e degrado ambientale hanno esposto l’orrore ambientale vissuto in Amazzonia, superato solo dal “laboratorio della morte” in cui lo stato si è trasformato durante l’epidemia di COVID-19.

La disarticolazione delle politiche di protezione ambientale, l’indebolimento istituzionale delle misure di controllo degli illeciti e l’autorizzazione, sia esplicita che implicita, all’invasione dei territori indigeni hanno incentivato la violenza fisica e ambientale su territori e popolazioni. A questi fattori si aggiunge la delegittimazione dell’autorità scientifica. Emblematica, ad esempio, la destituzione del dirigente dell’INPE durante la polemica sui dati sulla deforestazione in Amazzonia, nel 2019. L’obiettivo principale — la sostenibilità dei territori e dei popoli amazzonici — ha perso consistenza e concretezza di fronte all’insicurezza ambientale illustrata dalla recrudescenza dei conflitti.




Una ripresa turbolenta

L’attuale governo Lula non ha risparmiato sforzi per imporre il comando e il controllo dello stato brasiliano contro le aggressioni ambientali, ma gli attori locali ostili e i loro alleati nazionali sfidano e turbano l’ordine ambientale. Il Rapporto Conflitti in Campagna della Commissione Pastorale della Terra del 2024 sottolinea che, dal 2023, nello stato dell’Amazzonia si sono verificati 96 conflitti che hanno coinvolto oltre 75 mila persone, tra cui 82 conflitti per la terra, 4 occupazioni e riprese e 10 conflitti per l’acqua.

Le aggressioni ambientali deliberatamente prodotte durante il governo Bolsonaro continuano a rappresentare un fantasma che si aggira sugli ecosistemi e i biomi amazzonici. L’oscurantismo di quel periodo si prolunga nel tempo e nello spazio: di recente, ad esempio, nel Congresso, si è manifestato apertamente nel trattamento misogino riservato alla Ministra Marina Silva e nella recente approvazione del Progetto di Legge 2159/2021. Un altro aspetto fondamentale dei conflitti ambientali in Amazzonia riguarda il regime fondiario. Oggi, l’Amazzonia detiene uno dei più grandi “passivi fondiari” del Brasile, con 58,2 milioni di ettari di terre pubbliche ancora senza destinazione. Questo equivale al 37,5% del suo territorio, secondo i dati dell’Istituto dell’Uomo e dell’Ambiente dell’Amazzonia (Imazon) e della Segreteria di Stato dell’Ambiente (SEMA-AM).

Questa vastità di aree senza destinazione rappresenta una sfida critica per la governance ambientale e fondiaria nell’Amazzonia Legale, con implicazioni dirette per la conservazione, lo sviluppo sostenibile e la riduzione dei conflitti socioambientali. La priorità della conservazione dovrebbe essere chiara: circa il 56% di queste terre non destinate si trova in regioni di alta rilevanza ecologica, come le zone di connettività tra Unità di Conservazione (UC) e Terre Indigene (TI). E ciò che rende il problema ancora più grave è che circa il 15% di queste aree (8,5 milioni di ettari) è irregolarmente registrato nel Catasto Ambientale Rurale (CAR) come proprietà privata. Questo è un chiaro segnale di accaparramento illegale di terre o sovrapposizione illegale della proprietà, creando un contesto che alimenta dispute violente per la terra e ostacola l’attuazione delle politiche pubbliche. Alcuni aspetti della legislazione contribuiscono ad aggravare i problemi: la mancanza di una scadenza per l’inizio dell’occupazione in terra pubblica regolarizzabile; l’assenza dell’obbligo di recupero ambientale prima della titolazione; e la mancanza di divieto di regolarizzazione a proprietari condannati per pratiche equiparate alla schiavitù.

La regolarizzazione del regime fondiario in Amazzonia è una politica vitale per equilibrare la conservazione ambientale e lo sviluppo sostenibile. Senza progressi concreti, il rischio è quello di un’intensificazione della deforestazione illegale, dell’accaparramento delle terre, dell’estrazione illegale delle risorse e della violenza nelle zone rurali, come si riflette negli alti tassi di conflitti socioterritoriali e nel numero elevato di omicidi registrati negli ultimi anni.

Mobilitazione sociale

I conflitti socioterritoriali e ambientali in Amazzonia sono soprattutto di natura politica. Derivano dal carattere reazionario, negazionista e anti-ambientale che i periodi Temer-Bolsonaro hanno imposto al Brasile, con effetti perversi e continui in Amazzonia, la maggiore porzione dell’Amazzonia brasiliana. Spetta alla comunità scientifica brasiliana accentuare risposte politiche basate sulle evidenze di questa realtà. La difesa intransigente della democrazia e della sovranità brasiliana alimenta il dibattito ambientale e mobilita la società civile. A novembre, Belém ospiterà la COP 30, un altro evento mondiale in cui la politica ambientale brasiliana cercherà protagonismo e sostegno. Territori, popoli e culture amazzoniche faranno sentire la propria voce in questo confronto di idee sul futuro del pianeta. E le manifestazioni sociali a favore dell’ambiente potranno preparare i brasiliani a future scelte nell’agenda politica del paese, dell’Amazzonia e dello stato dell’Amazzonia.

 

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