Autrice:
Marilene Corrêa, Professoressa Ordinaria, Università Federale dell'Amazzonia
(UFAM)
Pubblicato:
27 agosto 2025
Traduzione:
Paolo Cugini
Dall’accelerazione dei
processi di occupazione del nord del Brasile, promossi dallo sviluppo del
governo militare, la violenza cresce in Amazzonia a ogni nuovo ciclo di
appropriazione economica degli spazi e delle risorse naturali. Negli ultimi
decenni del XX secolo, le politiche ambientali create con la
redemocratizzazione del paese e sotto l'atmosfera dell’Eco 92 hanno cercato di
resistere agli attacchi predatori contro la ricchezza mineraria, vegetale e
umana. Tuttavia, nel corso degli anni, anche grazie alle regolamentazioni
fondiarie e all'ambientalismo, i conflitti tra popoli indigeni, piccoli
proprietari e gruppi predatori sono aumentati.
Popoli, territori e
culture amazzoniche sono stati violati fin dalla colonizzazione. Ma la
persistenza di questa violenza in pieno XXI secolo mette in luce la gravità di
un’organizzazione nazionale incompleta e che retrocede davanti a ogni
avanzamento nel controllo ambientale degli spazi naturali e sociali.
Il caso dell’Amazzonia
L’Amazzonia è lo stato
brasiliano con la maggiore estensione di aree protette, custodendo un
patrimonio socioambientale di grande valore globale. La sua vasta area di
territori conservati comprende Unità di Conservazione (UC) che coprono il
30,21% del territorio statale — pari a 47,2 milioni di ettari. Queste aree sono
suddivise tra UC federali (16,96%), come parchi nazionali e riserve estrattiviste;
UC statali (12,05%), gestite dal governo dell’Amazzonia; e UC municipali
(1,19%), con la partecipazione delle amministrazioni locali nella
conservazione.
Le Terre Indigene (TI)
ammontano a oltre 53,7 milioni di ettari, demarcati in 164 territori. Questi
spazi sono essenziali non solo per la conservazione della biodiversità, ma
anche per la sopravvivenza culturale e materiale di 61 popoli indigeni, custodi
di saperi tradizionali e della foresta tropicale. Inoltre, le Unità di
Conservazione dell’Amazzonia ospitano una ricca diversità socioculturale,
accogliendo circa 13.805 famiglie distribuite in 713 comunità. Oltre agli
indigeni, tra questi gruppi figurano i ribeirinhos (villaggi sulla riva del
fiume), i raccoglitori di caucciù e i quilombolas (villaggi formati esclusivamente
da afro-discendenti), le cui modalità di vita si adattano alla logica
sostenibile e rafforzano l’importanza di queste aree per l’equilibrio ecologico
e la giustizia ambientale.
Tra il 2000 e il 2016, lo
stato dell’Amazzonia ha creato una vasta rete di protezione ambientale dei suoi
territori, essenziale per il mantenimento dei servizi ecosistemici (come la
regolazione del clima e la conservazione delle risorse idriche) e per contrastare
i cambiamenti climatici. Il Sistema Nazionale delle Unità di Conservazione
(SNUC) ha creato numerose UC, sia di protezione integrale che di uso
sostenibile. Parchi Nazionali, Riserve Biologiche, Riserve Estrattiviste, Aree
di Protezione Ambientale (APA) sono stati integrati in un sistema statale
intelligente, in cui la gestione ambientale e il supporto di politiche
pubbliche a favore delle popolazioni della foresta hanno ispirato altri stati
amazzonici. Questo clima favorevole di sostegno politico e sociale, locale,
nazionale e internazionale, permetteva allo stato di gestire grandi aree di
protezione ambientale, controllare le pratiche predatorie e i rischi per la
foresta, e integrare municipalità e popolazioni tradizionali nell’orientamento
verso la sostenibilità.
Cambiamento improvviso di
rotta
Il contesto politico di
accoglienza delle politiche ambientali locali è cambiato drasticamente dal
colpo di stato civile contro la presidente Dilma Rousseff, con la limitazione
delle iniziative democratiche e delle buone pratiche ambientali nell’era Temer.
Durante i governi di Michel Temer e Jair Bolsonaro, l’iniziativa di una
politica ambientale promettente perde forza a livello locale e nazionale, e i
territori demarcati non svolgono il loro ruolo. Si osserva l’indebolimento
delle politiche pubbliche di protezione effettiva, la mancanza di vigilanza
adeguata e l’assenza di supporto alle popolazioni tradizionali. Nel 2019, con
l’arrivo di Bolsonaro alla presidenza, ha inizio l’antipolitica ambientale,
segnata dallo smantellamento dei progressi ottenuti e dall’indebolimento, nelle
realtà locali, delle pratiche sostenibili di protezione ambientale. La
letteratura scientifica indica che questo periodo è stato segnato dalla distruzione
dell’assetto istituzionale precedente, e che gli impatti di queste
misure persistono sui territori protetti. Episodi deplorevoli di razzismo e
degrado ambientale hanno esposto l’orrore ambientale vissuto in Amazzonia,
superato solo dal “laboratorio della morte” in cui lo stato si è trasformato
durante l’epidemia di COVID-19.
La disarticolazione delle
politiche di protezione ambientale, l’indebolimento istituzionale delle misure
di controllo degli illeciti e l’autorizzazione, sia esplicita che implicita,
all’invasione dei territori indigeni hanno incentivato la violenza fisica e
ambientale su territori e popolazioni. A questi fattori si aggiunge la
delegittimazione dell’autorità scientifica. Emblematica, ad esempio, la
destituzione del dirigente dell’INPE durante la polemica sui dati sulla
deforestazione in Amazzonia, nel 2019. L’obiettivo principale — la
sostenibilità dei territori e dei popoli amazzonici — ha perso consistenza e
concretezza di fronte all’insicurezza ambientale illustrata dalla recrudescenza
dei conflitti.
Una ripresa turbolenta
L’attuale governo Lula
non ha risparmiato sforzi per imporre il comando e il controllo dello stato
brasiliano contro le aggressioni ambientali, ma gli attori locali ostili e i
loro alleati nazionali sfidano e turbano l’ordine ambientale. Il Rapporto
Conflitti in Campagna della Commissione Pastorale della Terra del 2024
sottolinea che, dal 2023, nello stato dell’Amazzonia si sono verificati 96
conflitti che hanno coinvolto oltre 75 mila persone, tra cui 82 conflitti per
la terra, 4 occupazioni e riprese e 10 conflitti per l’acqua.
Le aggressioni ambientali
deliberatamente prodotte durante il governo Bolsonaro continuano a
rappresentare un fantasma che si aggira sugli ecosistemi e i biomi amazzonici.
L’oscurantismo di quel periodo si prolunga nel tempo e nello spazio: di
recente, ad esempio, nel Congresso, si è manifestato apertamente nel
trattamento misogino riservato alla Ministra Marina Silva e nella recente
approvazione del Progetto di Legge 2159/2021. Un altro aspetto fondamentale dei
conflitti ambientali in Amazzonia riguarda il regime fondiario. Oggi,
l’Amazzonia detiene uno dei più grandi “passivi fondiari” del Brasile, con 58,2
milioni di ettari di terre pubbliche ancora senza destinazione. Questo equivale
al 37,5% del suo territorio, secondo i dati dell’Istituto dell’Uomo e
dell’Ambiente dell’Amazzonia (Imazon) e della Segreteria di Stato dell’Ambiente
(SEMA-AM).
Questa vastità di aree
senza destinazione rappresenta una sfida critica per la governance ambientale e
fondiaria nell’Amazzonia Legale, con implicazioni dirette per la conservazione,
lo sviluppo sostenibile e la riduzione dei conflitti socioambientali. La
priorità della conservazione dovrebbe essere chiara: circa il 56% di queste
terre non destinate si trova in regioni di alta rilevanza ecologica, come le
zone di connettività tra Unità di Conservazione (UC) e Terre Indigene (TI). E
ciò che rende il problema ancora più grave è che circa il 15% di queste aree
(8,5 milioni di ettari) è irregolarmente registrato nel Catasto Ambientale
Rurale (CAR) come proprietà privata. Questo è un chiaro segnale di
accaparramento illegale di terre o sovrapposizione illegale della proprietà,
creando un contesto che alimenta dispute violente per la terra e ostacola
l’attuazione delle politiche pubbliche. Alcuni aspetti della legislazione
contribuiscono ad aggravare i problemi: la mancanza di una scadenza per
l’inizio dell’occupazione in terra pubblica regolarizzabile; l’assenza
dell’obbligo di recupero ambientale prima della titolazione; e la mancanza di
divieto di regolarizzazione a proprietari condannati per pratiche equiparate
alla schiavitù.
La regolarizzazione del
regime fondiario in Amazzonia è una politica vitale per equilibrare la
conservazione ambientale e lo sviluppo sostenibile. Senza progressi concreti,
il rischio è quello di un’intensificazione della deforestazione illegale,
dell’accaparramento delle terre, dell’estrazione illegale delle risorse e della
violenza nelle zone rurali, come si riflette negli alti tassi di conflitti
socioterritoriali e nel numero elevato di omicidi registrati negli ultimi anni.
Mobilitazione sociale
I conflitti
socioterritoriali e ambientali in Amazzonia sono soprattutto di natura
politica. Derivano dal carattere reazionario, negazionista e anti-ambientale
che i periodi Temer-Bolsonaro hanno imposto al Brasile, con effetti perversi e
continui in Amazzonia, la maggiore porzione dell’Amazzonia brasiliana. Spetta
alla comunità scientifica brasiliana accentuare risposte politiche basate sulle
evidenze di questa realtà. La difesa intransigente della democrazia e della
sovranità brasiliana alimenta il dibattito ambientale e mobilita la società
civile. A novembre, Belém ospiterà la COP 30, un altro evento mondiale in cui
la politica ambientale brasiliana cercherà protagonismo e sostegno. Territori,
popoli e culture amazzoniche faranno sentire la propria voce in questo
confronto di idee sul futuro del pianeta. E le manifestazioni sociali a favore
dell’ambiente potranno preparare i brasiliani a future scelte nell’agenda
politica del paese, dell’Amazzonia e dello stato dell’Amazzonia.
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