martedì 29 aprile 2025

PIOVE SUL BAGNATO. Inondazione in una delle zone più povere di Manaus

 

La zona di Manaus colpita dall'inondazione causata dalla pioggia



Paolo Cugini


Domenica 27 di aprile dopo una giornata di forti piogge in una zona della parrocchia di san Vincenzo di Paolo, nella periferia di Manaus, in cui molte case sono state costruite sui due lati di una grande canale fognario a cielo aperto. Per l’ennesima volta l’acqua fognaria è salita ed ha invaso le case con le conseguenze che possiamo immaginare. Sono anni che molte famiglie vivono in questa situazione. Per questo motivo, con alcuni componenti del Movimento fede e cittadinanza della parrocchia, abbiamo deciso non solo di visitare le famiglie colpite dall’alluvione, ma di raccogliere le firme di proteste e di presentarle al sindaco di Manaus. Mentre passavamo per la raccolta di firme, le persone in un primo momento ci guardavano con sospetto, ma in seguito, dopo aver ascoltato di che cosa si trattava, condividevano i momenti di disperazione vissuti. “Padre, l’acqua entrava da tutte le parti – mi raccontava una signora, madre di quattro figli, uno di questi che sta trattando un tumore -. Guardi qua, la parete si è aperta e dobbiamo andare via al più presto, perché, la prossima volta la casa ci può cadere addosso”. Il problema, infatti, è che, oltre ad essere state costruite sulle rive del canale fognario, sono state costruite senza molto criterio, tirate su un tanto al braccio. 

Menbri del Movimento Fede e Cittadania mentre raccolgono le firme di protesta



Nel pomeriggio di lunedì 28 aprile, mentre con il gruppo del Movimento raccoglievamo le firme di protesta, dall’altra parte del canale, un gruppo di abitanti ha buttato il pattume raccolto per liberare il canale in mezzo alla strada. L’obiettivo è stato quello di richiamare l’attenzione delle istituzioni e del potere pubblico, che sembra disinteressarsi totalmente di questa zona povera della città. Alla sera nella Facoltà Cattolica ho incontrato uno degli assessori del comune e gli ho spiegato la situazione e anche che avremo bisogno del suo appoggio per fare giungere la raccolta di firme che stiamo realizzando nelle mani del sindaco. 

La fogna a cielo aperto


L’altro problema gravissimo è che, proprio in questo ampio territorio fognario, ha messo radici il traffico di droga. Del resto, è nella logica. Nelle zone torbide di una città, il torbido sguazza. Mentre oggi pomeriggio passavamo a raccogliere le firme, abbiamo intravisto diversi personaggi che, Raimundo, un signore di sessant’anni che vive nel territorio, ha identificato immediatamente come persone appartenenti al traffico. Vivere tutti i giorni sulle rive di un merdaio e controllati dai trafficanti di droga, che non ci mettono due minuti a sparare se non si rispettano le loro regole, non dev’essere facile. A questo quadro già squallido, se si aggiunge il totale abbandono da parte delle istituzioni pubbliche in cui queste famiglie vivono, il quadro è completo. Per questo, un pò di attenzione da parte della Chiesa è il minimo che possiamo fare. 





giovedì 24 aprile 2025

SINODO: OLTRE LE PAROLE

 




La fatica di democratizzare le relazioni nella Chiesa


Paolo Cugini

Il processo sinodale della Chiesa, avviato da qualche anno da Papa Francesco, oltre ai tanti momenti positivi vissuti soprattutto all’interno dei partecipanti dei due Sinodi, ha mostrato alcune ferite che la Chiesa si trascina da anni, anzi da secoli. Si avverte una duplice fatica. La prima, riguarda la difficoltà di chi detiene il compito di guida della comunità e che fanno parte della così detta gerarchia ecclesiastica, di sentirsi parte della comunità e non separati da essa. L’altra fatica, riguarda il modo davvero imbarazzante con cui la Chiesa si muove nei confronti delle donne. In questo poche righe provo a dire qualcosa sulla prima fatica. Ancora oggi nella Chiesa, purtroppo, le dinamiche relazioni sono segnate da una profonda disuguaglianza, che minaccia dall’interno la bontà del cammino ecclesiale. Come si fa, infatti, ad andare avanti, a dar continuità ad un cammino che parte male, perché segnato dalla paura di lasciare le comunità ecclesiali più libere di esprimersi, più autonome e meno soggiogate da un’autorità che sembra venga da un altro pianeta, nel senso che non sembra appartenere al mondo reale? 

Sarebbe tutto più facile e più logico se, coloro che nella Chiesa hanno il compito di guida pastorale, rimanessero in costante contatto con coloro che vivono il vissuto quotidiano nelle comunità. Quello che da anni si avverte nel cammino della Chiesa è una grande, a volte, enorme distanza tra le comunità ecclesiali e le loro guide, i pastori, i vescovi e, con essi, i documenti che vengono emanati. Questo aspetto è strano, perché deturpa il significato autentico del servizio che, nel senso evangelico, dovrebbe offrire chi è chiamato a svolgere un ruolo di guida nella comunità cristiana. Vengono sempre alla mente le parole di Papa Francesco quando, nell’Evangeli Gaudium, sosteneva il primato della realtà sull’idea. La sensazione che si ha, leggendo le relazioni che escono dalle fasi del Sinodo, è la difficoltà di ascoltare la realtà e, allo stesso tempo, la distanza della dottrina elaborata rispetto al vissuto quotidiano delle comunità. Si avverte una specie di distonia tra la vita e la dottrina, nel senso che, quest’ultima, non sembra in grado di leggere il vissuto e, per questo, a volte quello che viene scritto nei documenti ufficiali della Chiesa, stride in modo drammatico con il sentire del santo popolo di Dio, come direbbe sempre Papa Francesco. Da una parte, si percepisce la gioia della scoperta del Vangelo, della proposta sconvolgente di Gesù, che invita le comunità a mettersi con coraggio vicino ai poveri, agli esclusi della società, per pensare insieme cammini di giustizia e di pace, in questo mondo violento e aggressivo. In questi cammini comunitari, si percepisce la grande forza che lo Spirito del Concilio Vaticano II ha dato al cammino di tutta la Chiesa, facendone riscoprire la bellezza di essere il popolo di Dio, chiamato ad essere segno di contraddizione nel mondo. È a questo livello che si coglie l’idiosincrasia, il contrasto, che si manifesta nell’incapacità di accogliere come buono ciò che dalle comunità viene indicato come dato da ascoltare per elaborare, in seguito, una dottrina che sappia di “pecora”, per dirla sempre come Papa Francesco.

Del resto, non ci si può stupire di questa difficoltà nell’ascolto di chi vive nella base della comunità e di prendere sul serio le loro indicazioni. Da una parte, c’è stato nei secoli uno sviluppo spropositato del ministero petrino, che ha progressivamente distanziato la figura del Papa non solo dalla gente, ma anche e soprattutto, dall’origine. Il Vaticano II ha dovuto lavorare parecchio per tentare di sistemare un po' il disastro istituzionale venutosi a creare nel tempo. In primo luogo, ricollocando tutta la gerarchia all’interno del popolo di Dio, e non al di sopra. In secondo luogo, recuperando il compito dei vescovi all’interno del cammino ecclesiale, compito che, nei secoli, si era offuscato dietro ai riflettori puntati tutti sulla figura sempre più eccentrica e totalitaria del Papa. Infine, passo notevole del Concilio, è stato quello di parlare e valorizzare il laicato, mostrandone i carismi, il sacerdozio comune, la partecipazione al triplice munus profetico, regale e sacerdotale. È vero che, come afferma l’epistemologo Thomas Khun, le grandi rivoluzioni esigono per radicarsi, un bel po' di tempo, ma è altrettanto vero che l’impulso del cambiamento portato dal Vaticani II si è fatto sentire a vari livelli. 

Siamo consapevoli che non bastano parole e frasi altisonanti, per sradicare una prassi che dura da secoli e ha passato molte stagioni. La prassi che fa prevalere la dottrina sulla coscienza personale, l’imposizione e la richiesta dell’obbedienza ossequiosa, più che lo stimolo allo sviluppo della libertà personale.  Basterebbe sfogliare alcuni documenti ecclesiali o alcune encicliche del 1800 per capire il livello del problema. Sia la Mirari Vos di Grgorio XVI nel 1832, che il Sillabo di Pio IX nel 1864, solo per fare qualche esempio, condannavano la libertà di coscienza e la libertà di stampa. Sembra incredibile, ma c’è proprio scritto così in questi due documenti. Sono testi, comunque, che indicano la logica conseguenza di quelle proibizioni di leggere la Bibbia da parte dei laici nelle lingue vernacolari, emanate da Papa Pio IV nel 1564, a conclusione del Concilio di Trento. Proibizioni che rivelano il timore di una interpretazione individuale della Scrittura, di un’autonomia nei confronti del Testo Sacro, che possa risultare in contrasto con la lettura ufficiale della Chiesa. La paura nei confronti della libertà di coscienza è il sintomo di un sovvertimento radicale nei confronti della proposta di Gesù che, durante la sua vita pubblica, ha fatto di tutto per aiutare i suoi discepoli e discepole ad avere una visione critica sulla religione, a non fidarsi dei ciarlatani di turno, per cercare uno sguardo più autentico sulla realtà. Sappiamo che, questo clima di sfiducia nei confronti di un possibile modo individualista di leggere la Sacra Scrittura, fu incentivata dalla polemica con Lutero e con la sua affermazione del: sola Scriptura. In ogni modo, andando a ritroso nel tempo, scopriamo che le proibizioni nel leggere la Scrittura si trovano già nel VII secolo d. C., subito dopo il crollo dell’Impero Romano e la distruzione delle grandi biblioteche dell’Occidente cristiano. L’imbarbarimento culturale ha aperto la strada, da una parte all’espansione del devozionismo religioso e, dall’altra, di un’istituzionalizzazione della Chiesa in senso politico più che evangelico. 

La paura dell’autonomia dei laici e delle comunità cristiane da parte della gerarchia ecclesiale, viene, dunque, da molto lontano e non si estirpa da un giorno all’altro. Questa paura indica l’incapacità di pensare ad un cammino ecclesiale che sappia valorizzare i carismi di tutti e tutte, come ci suggeriva san Paolo. Significa, anche, distanza infinita del progetto di Gesù di una comunità di discepoli e discepole uguali. Per questo motivo è importante stare molto attenti ai concetti che vengono proposti dalla gerarchia ecclesiale per indicare il cammino da intraprendere. Ho imparato, infatti, a sospettare di quei vescovi che parlano molto di comunione, ma che poi, nella pratica, intendono la comunione come una sottomissione alla loro volontà, e non come una condivisone di opinioni conforme al principio di uguaglianza. Del resto, conosciamo molto bene la storia del Sinodo straordinario dei vescovi a Roma nel 1985, che ha portato alla sostituzione dell’idea conciliare di Chiesa come popolo di Dio, con quella di Chiesa comunione. Nulla da ridire sulla bontà del concetto di comunione, che però funziona, ecclesialmente parlando, se mantenuto in relazione con quello di popolo di Dio. Il rischio, che poi si è avverato, consiste nel riportare dentro al dinamismo ecclesiastico in modo delicato dalla finestra, quell’autoritarismo clericale che il Concilio Vaticano II aveva decisamente messo fuori dalla porta. 

Ripartire dal battesimo, come ci suggeriva il numero 32 della Lumen Gentium, è il dato importante da riprendere per costruire comunità in cui tutti e tutte si siedono attorno allo stesso tavolo con il diritto di parlare e di esprimere la propria opinione. Occorre fare di tutto per recuperare il dato fondamentale del principio di uguaglianza, che in molte comunità già si vive, ma che diventa complicato quando al tavolo si siede qualcuno che pensa di avere più diritti degli altri. Questa dissonanza, che spesso si traveste di prepotenza, rivela un cammino ecclesiale fatto di clericalismo, di autoritarismo senza alcun fondamento evangelico. Gesù aveva detto che tra noi discepoli e discepole lo stile è quello del servizio umile, della ricerca dell’ultimo posto e non del primo, come avviene nelle logiche del mondo. “Tra di voi non è così” (Mc 10,43). Democratizzare le relazioni dentro la Chiesa sarebbe un segno profetico di grande valore, in questo tempo segnato dalla nostalgia dei totalitarismi.



Progetto Luminose crepe

 




Una rete di  associazioni/gruppi/singole  ha dato il via al Progetto  Luminose crepe,  un ciclo di incontri on line e in presenza su libri (saggistica, narrativa, poesia), articoli,  film/docufilm, testi su cui sostare come stimolo per approfondimenti sulle tematiche in cui l’OIVD è impegnato. 

Il focus del ciclo è infatti il tema “donne e fedi/religioni/spiritualità”. 

Le associazioni/gruppi che hanno aderito sono: 


1. FDEI - Federazione donne evangeliche in Italia

2. Donne per la chiesa

3. Religions for Peace- Italia  sezione Donne di fede

4. Alcune donne dei Gruppi donne Cdb e molte altre (comunità di San Paolo- Roma)

Il materiale verrà letto o visto precedentemente da chi lo desidera. È importante sottolineare che il progetto non è orientato ad una comunicazione di tipo pragmatico, semplicemente informativa, che lascia spesso passive le persone che partecipano all’evento. 

Il progetto mira piuttosto ad un coinvolgimento attivo, con la creazione di uno spazio dove le soggettività e la intersoggettività sono elementi essenziali, dove ognuna/o metterà in gioco il proprio parere/ sentire/ punto di vista anche discordante da quello di altre/i e potrà esprimere le proprie idee/impressioni non omologate. 

L’obiettivo è che la singolarità soggettiva di ciascuna/o possa trovare in questa attività (dove l’attenzione è più al processo che al risultato) l’ambiente per incontrare la singolarità soggettiva dell’altro/a e sentire di trovare agio nelle dinamiche dialogiche.   

 

Partiremo con il libro Donne Religioni in Italia, analisi tra teoria ed empirismo. Studio su cattolicesimo, islam, e altre fedi. A cura di Stefania Palmisano e Alberta Giorgi. Ed. Il Mulino,  2024-  24,00 € . 

Il libro sarà visitato da noi in più appuntamenti,  il primo dei quali è per il giorno 11 giugno alle ore 18:00.

https://us06web.zoom.us/j/88683916731?pwd=xg62MRq2fBwZTUDY66s3I 


Vi aspettiamo

Paola, Gabriella, Floriana 


martedì 15 aprile 2025

IL NOME DI DIO NON E’ PIU’ DIO: recensione di un caro amico

 



         



Una recensione ruspante, firmata da un inguaribile bibliofilo non teologo.


“Una recensione e non un riassunto!”



Quel “piu” in piu’ rispetto al titolo “Il nome di Dio non e’ Dio” che Don Paolo, di seguito A.,  mi aveva proposto in origine (o “in principio”…?) devo dire che mi ha spaesato in prima battuta: cosa voleva dire? Che dapprima il nome di Dio era Dio e poi aveva smesso di esserlo?! E perche’ mai ??

Poi, una volta ricompostomi, ho deciso di andare oltre il titolo; e di applicare una tecnica recensoria gia’ sperimentata in passato con altri tomi o articoli, magari di Medicina, materia piu’ attinente alla mia professione: una sorta di tecnica inversa consistente nel prima leggere tutto e tutto d’un fiato, ma parola per parola, e solo dopo skimmare ossia rileggere, scorrendo il testo e saltellandoci dentro, soffermandomi soprattutto sui passaggi evidenziati nella prima lettura ( di solito faccio il contrario).

E l‘ho fatto.


Prima ancora di rimboccarmi le maniche per analizzare lo scritto mi sono ovviamente dovuto chiedere, conoscendo A.:”Chissa’ cos’altro di sovversivo avra’ escogitato stavolta il Nostro?!”.

Nessuna escogitazione, invece, piuttosto un profluvio di “incogitazioni”, mai contorte, sempre dannatamente energiche e purtuttavia dannatamente accettabili, incogitazioni incardinate si badi bene nel pivot noetico centrale che sorregge tutto cio’ che A. scrive fin dai tempi del suo percorso formativo seminariale: il paradosso, certamente intrippante e per alcuni imbarazzante, del prete che dice male, senza pero’ “male-dirla”, della Chiesa alla cui struttura egli stesso appartiene!


Ed eccola qui la mia libera ANALISI TESTUALE.


I refusi sono ubiquitari nelle produzioni letterarie di A.: non e’ infatti il suo primo libro che leggo. Ce ne sono parecchi qui, specie all’inizio.  Refusi veniali, intendiamoci, ma sempre refusi.

I refusi sono la sua firma.

Dunque sopprimo ed archivio l’impulso ad offrirmi volontario per la correzione di bozze del prossimo libro che son sicuro A. ci sfornera’ tra non molto tempo se e ‘ vero che l’altro suo distintivo personologico e’ l’incontenibile graforrea: perche’ mai impedire la sua firma ?!


Le citazioni dei versetti biblici arrivano subito e lasciano un segno diverso ( oggigiorno citare la Bibbia e’ divenuto un “esercizio letterario diffuso” tra intellettuali, vedi Massimo Recalcati con la sua comunque interessante uscita “bibbiofila” in questi giorni nelle edicole) perche’ capisci bene che qui esse sgorgano dal di dentro della sua esperienza “in trincea”. Citazioni viscerali e collaudate; non libresche, insomma.

Idem per le metafore che “attaccano” nel senso di fare presa perche’ anche loro sono DENTRO il racconto. Sono citazioni e metafore  a mio avviso provviste di uno stile  e finanche di una sostanza di gran lunga piu’ convincenti rispetto ad altri Biblisti e divulgatori di chiara fama. Mi viene in mente il Mons. Ravasi ad esempio della sua comunque splendida “Breve storia dell’anima” : li’ la metafora del fiume non funziona e le citazioni delle Sacre Scritture risultano appropriate ed incontestabili si’, ma un po’ freddine.


La parola “cammino” ricorrente piu’ e piu’ volte in tutto il testo non trova a mio avviso corrispondenza con il RITMO del testo, un ritmo house con rewind tanto improvvisi quanto bruscamente godibili; sono rewind o sterzate che ti fanno sentire su di una bicicletta piu’ che a piedi. Una bici muscolare, sibbene ( e questo richiama il suo peculiare dato biografico di prete pedalante fuor di metafora in qualunque strada del Mondo terreno … e pedalera’ siam sicuri anche nell’Aldila’, tra molti decenni …). Una bici non certo elettrica, ma caso mai “eclettica”, rigorosamente adoperata rifuggendo la pedalata normale e prediligendo l’impennata.

Sempre dritti, su di una ruota sola.

Ma il libro in parola a ben vedere e’ tutto un’impennata !

Anche quando A. ci tiene per mano, all’inizio , sulla riva del fiume e nel camminare sente sul suo volto il fruscio del vento, quel fruscio lo sente si’, ma non perche’ cammina, ma perche’, e noi lo sappiamo, lui  sta pedalando, veloce, inarrestabile…


Nel capitolo 2  eccoci regalata un minimo di alfabetizzazione; e allora e’ preziosa la definizione dell’Intuizione come “partecipazione alla forza creatrice” (e qui a me non puo’ non tornare in mente C.G. Jung ed il suo conoscere prima di sapere). A seguire qualche discrasia: a pagina 39, nona riga, quel “visoni” non piacera’ agli animalisti, ok (!). E poi alla pagina successiva, in fondo, ho sperato davvero (solo per pochi secondi perche’ ho capito ben presto che non sarebbe arrivato) nell’aneddoto, che avrebbe certamente spezzato una dissertazione teoretica credo un po’ troppo lunga. Dopo quel promettente “un giorno” sarebbe bastato insomma un aneddotino,  una metaforina... e invece niente di niente! Sigh!!

A pagina 41 l’invocazione implicita: i limiti non solo non maltrattiamoli, ma ...AMIAMOLI! Caspita: ce ne vuole di coraggio, pero’!

E poi la magia irrompe al paragrafo successivo con la scommessa di “sopravvivere alle ferite mortali”, impresa per definizione inesorabilmente impensabile perche’ se e’ mortale muori, punto!

Di seguito colpisce il caveat pedagogico sull’allevare giovani “smidollati “ “nel mondo della borghesia” ed altre immagini forti cone le “idee anchilosate”; e poi il warning sui social che, gioco di parole, “non ti fanno stare nel sociale”.

Il Capitolo 4 tratta delle sovrastrutture sociali e lo fa pero’ con una brutta partenza laddove ad A. scappa l’espressione eccessivamente pantoclastica e un pelino birichina del “perdersi nell’entusiasmo della demolizione”. Poi A. si ravvede ed usa opportunamente la diplomazia camuffando le parole demolizione/distruzione con “decostruzione”, lemma che riprende e sviluppa egregiamente piu’ avanti: ok, perdonato !

E’ nel Capitolo 1 della II parte che si raggiunge l’acme della profondita’ teologica almeno per chi teologo non e’, io penso. Li’ si giunge alla negazione della negazione: “la negazione della dimensione personale di Dio non conduce all’ateismo”.

D’accordo.

E’ da pagina 88 a 93 che troviamo il nucleo del libro: sono pagine dense, da leggere 2 volte se si eà digiuni di Teologia (io le ho lette 3 volte). Ma se lo fai poi vai in discesa.

Qui la  crisi inarrestabile del clero viene ben descritta, senza pieta’ ne’ peli sulla lingua, da chi di clero ne sa qualcosa, anzi di “cleri” ne sa qualcosa per averne girati ed abitati, tra gioie e sofferenze, di tutti i colori: cleri occidentali e cleri latino-americani, a volonta’. Viene descritta detta crisi da chi non inorridisce affatto di fronte all’ipotesi di potenziare le “guide di comunita’”, di eleggere direttamente i Vescovi partendo dalla base ossia dal Popolo di Dio, ecc. ecc.

Il Capitolo successivo, il “Mondo Interconnesso”, cala la Teologia nel mondo reale.

Vi sono recuperati e posti l’uno accanto all’altro pensatori classici Ellenici, Autori innovativi come Leonardo Boff e si cita, per me a sorpresa, il grande (e cinico) “non Teologo” Eduardo Galeano (pagina 160, cit.2); sempre li’, spinti dall’amore per un sapere (la filosofia) che e’ anche sapere scientifico-astronomico-fisico, si toccano argomenti affascinanti come l’infinitezza dell’Universo.

Ci si avvia, con qualche ripetizione di concetti teorici pero’ cosi’ potenti e cosi’ dirompenti che la loro ripetizione non solo giova, ma piace pure, verso il secondo ganglio vitale del libro, quello che dalle pagine 202 in avanti tratta dei concetti di sinodo e di misericordia in chiave dichiaratamente Bergogliana.

Ed e’ a questo punto, conoscendo Don Paolo, che aumenta la suspence: quanto sara’ grande  e nel contempo acuminata la sua sintesi, o meglio  il superamento alias “momento speculativo” Hegeliano (l’Aufhebung) del dilemma sollevato finora ?

Quale esattamente sara’ in concreto la sua proposta di riforma della Chiesa Cattolica, una riforma che indoviniamo sara’ ponderata, ma inevitabilmente concreta nonche’ fortemente innovativa ?

Beh, diciamolo subito e a gran voce: nessuna delusione, perche’ la soluzione eco-teologicamente sostenibile, esposta energicamente alla fine del testo, insiste niente di meno e niente di piu’ che nel raccoglimento, nel ritorno alle origini.

Bisogna leggerle bene le ultime pagine del libro e beninteso  avendo prima assimilato il distillato ideico di quelle precedenti per poter cogliere appieno una proposta “altro che dirompente” ! Francamente deflagrante, esplosiva se letta nel senso del modello alternativo al modo di fare Chiesa e possibilmente di essere Chiesa oggi nel nostro paese; e comunque conturbante ed impegnativa  se considerata invece solo come stimolo non a sostituire, ma a curare, arricchendola, umanizzandola ed integrandola, una Chiesa stanca e davvero, come A. ripete fino all’ultimo, in via di estinzione.

La declinazione “nel nome di Dio” del cambiamento della Chiesa che alberga nella testa di A. non e’ utopistica: rivoluzioni come l’abolizione da una parte della gerarchia ecclesiastica e delle relative  cointeressenze , direi, con le Istituzioni “materiche” e con le leve del potere politico, e dall’altra dei divieti di includere frange marginali di un Popolo di Dio che comunque non puo’ piu’ essere recintato solo nelle Parrocchie comunemente intese, sono rivoluzioni realizzabili.

Lo sono e lo saranno, e pare di intendere che sia questo il messaggio che Don Paolo Cugini ci chiede di portare a casa, a patto che ci convinciamo profondamente, e questo suo libro col faticoso, ma proficuo rovistamento nel profondo della nostra coscienza che ci impone ci da’ una grossa mano  a farlo, che la nostra Chiesa piu’ che di una stampella ha un bisogno sanguinante di una solida e  nuova architrave.



Reggio Emilia 15 aprile 2025                                         Fulvio Fantozzi

                                                              esperto in Medicina Legale e Medicina delle Dipendenze

                                                                               flu_fantibus@libero.it






giovedì 10 aprile 2025

PERCHE’ È COSI’ DIFFICILE ACCETTARE LA DIVERSITA’? In cammino per un mondo accogliente



Paolo Cugini

Tutti i giorni assistiamo non solo nei dibattiti pubblici sul tema delicato dell’accoglienza dei migranti, ma anche nelle discussioni quotidiane tra persone amiche o conoscenti, ad una recrudescenza dell’intolleranza nei confronti di chiunque si presenti come diverso dai modelli stereotipati che abbiamo in mente. Sembra difficile pensare ad un mondo in cui ci sia spazio per tutti. Soprattutto, però, sembra difficile pensare nella costruzione di un mondo in cui chi è povero sia percepito con la stessa dignità di chi è ricco. 

Uno dei maggiori problemi che l’occidente sta vivendo in questo delicato passaggio epocale consiste nella difficoltà non solo di convivere con la diversità, ma di considerarla naturale. Sfogliando le pagine dei libri di storia si comprende molto bene l’origine di questo malessere, di questa incapacità. Veniamo da molti secoli in cui c’è sempre stato qualcuno – un re, un popolo, una tribù, ecc. – che ha voluto imporsi sugli altri. La storia dell’Occidente la si può leggere come una sequenza in cui si sono alternati imperi, usurpatori, imperatori e re. Questa successione è avvenuta attraverso violenze, guerre, imposizioni di qualcuno sugli altri. In questo processo storico di violenze e soprusi, tutte le realtà sono state coinvolte: economia, arte, educazione, politica e religione. 

La proposta di Gesù consiste nel riportare ad una dimensione umana il progetto di un’umanità in cui la diversità più che essere un problema da affrontare è un valore, anzi è il senso della storia. Il Regno di Dio, che è il centro del messaggio di Gesù, è l’umanità in cui chiunque trova spazio accogliente e in cui nessuno viene escluso, perché tutti siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Il cammino che Gesù ha tracciato nella sua vita è il cammino dell’amore, che si manifesta nella relazione con gli altri, nell’accoglienza di tutti. 

Il desiderio è discutere su questi temi e dei contenuti di alcuni libri pubblicati in questi ultimi due anni:

1. La fuga di Elia. Riflessioni postmoderne sulla religione e il senso della vita. Reggio Emilia: Edizioni San Lorenzo 2020.

2. Visoni postcristiane. Dire Dio e la religione nell’epoca del cambiamento. Bologna: Edizioni Dehoniane 2019. 


I testi sono disponibili in Internet (Feltrinelli, IBS, Amazon, ecc.)




martedì 1 aprile 2025

IL VERGOGNOSO ASSENTEISMO DEI CONSIGLIERI COMUNALI DI MANAUS

 


 

Camera Municipale di Manaus

 


Paolo Cugini

La settimana scorsa si sono svolte due udienze pubbliche presso il Consiglio comunale di Manaus. La prima, il 27 marzo 2025, in occasione della presentazione della Campagna di Fraternità sul tema: Ecologia Integrale. Tra le varie autorità presenti e i rappresentanti di alcuni movimenti sociali che operano nella città, c'era anche il cardinale di Manaus Mons. Leonardo Steiner. In questa occasione erano presenti solo due consiglieri su 41: José Ricardo e Pai Amado. 

Il secondo evento tenutosi il 31 marzo è stata un'udienza pubblica organizzata dal consigliere José Ricardo, per discutere la riscossione delle tariffe fognarie. Si tratta di un tema di grande importanza per la popolazione che, in molti casi, come segnalato da alcuni residenti presenti alla Camera, riceve la fattura per il pagamento della quota, ma senza usufruire del servizio. Erano presenti cinque consiglieri: José Ricardo, Pai Amado, Rodrigo Guedes, Paulo Tayrone, Sergio Baré. 

Nelle ultime elezioni comunali, svoltesi lo scorso anno, sono stati eletti 41 consiglieri. Come affermato sul sito web della Corte Elettorale Superiore del Brasile: “ Ogni consigliere è eletto direttamente tramite voto, diventando un rappresentante della popolazione. Pertanto, deve proporre progetti che siano in accordo con gli interessi e il benessere delle persone.” Questo è il punto delicato su cui voglio richiamare l'attenzione. 

Alcuni membri del Movimento Fede e Cittadinanza presenti agli eventi realizzati
nella Camera Municipale di Manaus


Tutti ricordiamo il grande lavoro svolto lo scorso anno dai candidati consiglieri, che hanno fatto di tutto per essere eletti. Durante i raduni sono state fatte molte promesse. Ci sono state anche tante strette di mano, sorrisi e abbracci. Molte persone, in un modo o nell'altro, hanno contribuito a far sì che, i candidati da loro sostenuti, venissero eletti. Gruppi di strada e persino gruppi religiosi si sono riuniti per vedere il proprio candidato sedere in uno dei 41 preziosi seggi del Consiglio comunale di Manaus. Ciò è encomiabile perché, se l'assessore, come afferma la Costituzione, rappresenta il popolo ed è chiamato a proporre progetti nell'interesse e nel benessere del popolo, per poi redigere le leggi – altro compito importante del Consigliere Comunale –, è di fondamentale importanza che qualcuno del popolo sieda nel Consiglio comunale, per lavorare a favore del popolo.

La sensazione che abbiamo avuto questa settimana, partecipando a questi due eventi pubblici è che, in realtà, alla maggior parte dei Consiglieri eletti, non importa nulla delle persone. Sembra che abbiano fatto di tutto lo scorso anno, non per lavorare quattro anni  vicini alla gente,  pensando con la gente a come migliorare le loro vite, ma il loro unico interesse sembra essere stato quello di intascare una buona somma di denaro senza fare assolutamente nulla. A proposito di soldi, vale la pena ricordare che, l'8 gennaio 2025 è stato pubblicato un articolo sul quotidiano Globo in cui si afferma che, a partire dal 2025, i consiglieri di Manaus riceveranno lo stipendio più alto tra i legislatori comunali del Brasile, a pari merito con i parlamentari di San Paolo. Il sussidio, come ricorda sempre Globo, è stato fissato a 26.080 reais al mese (circa 4500 euro), in linea con il tetto massimo stabilito dalla legge per la città più popolosa. A ciò si aggiungono altri benefici che, sempre secondo i calcoli riportati nell'articolo del Globo, raggiungono la sbalorditiva cifra di 98.000 reais al mese (circa 16 mila euro). Questo fatto accresce ancora di più la nostra (dei membri del Movimento Fede e Cittadinanza) delusione e indignazione. 

Striscioni di protesta della popolazione di un quartiere di Manaus 


Non essere presenti a un evento in cui i Consiglieri comunali sono chiamati a rappresentare il popolo, pagati oltre ogni immaginazione, per dimostrare la propria solidarietà con la povera gente, che subisce ingiustizie, rivela la mancanza di impegno e di responsabilità della maggioranza dei consiglieri di Manaus.

Il Movimento Fede e Cittadinanza della Chiesa Cattolica, presente nella parrocchia di San Vicente de Paulo, manterrà uno sguardo aperto e attento, registrando tutto ciò che di buono e di cattivo sta accadendo e accadrà nella casa del popolo, con i Consiglieri come nostri rappresentanti. 

L'obiettivo del nostro lavoro è quello di accumulare materiale sufficientemente documentato per orientare meglio le persone nella scelta dei nostri rappresentanti nelle prossime elezioni, affinché siano realmente al servizio delle cause popolari, e non alla ricerca dei propri interessi.