[1989], Feltrinelli, Milano 1993.
Identità e bene – o, se si preferisce, identità e moralità – sono due termini inestricabilmente legati (15).
L’idea che abbiamo il dovere di ridurre al minimo le sofferenze fa parte integrante della nostra idea attuale di rispetto per le persone (27).
L’affermazione della vita comune è diventata una delle idee più potenti della civiltà moderna. Essa sta alla base della politica “borghese” contemporanea, così attenta al problema del benessere, nonché della più influente ideologia rivoluzionaria del nostro secolo, il marxismo, e della sua esaltazione dell’uomo produttore (27-28).
C’è la percezione del fatto che un quadro di riferimento condiviso da tutti non esiste più (31).
Un quadro di riferimento è ciò che ci consente di dare un senso alla nostra vita spirituale. Non possedere un quadro di riferimento vuole dire cadere in una vita spiritualmente senza senso. La ricerca, quindi, è sempre ricerca di senso […] Trovare il senso della vita vuole dire esplicitarlo. Una vita ha un significato se ha uno scopo; non ce l’ha se non ha uno scopo (32).
Il punto chiave è che la dimensione superiore va cercata non già al di fuori dell’esistenza quotidiana, ma all’interno di essa come modo di vivere questa stessa esistenza (39).
La mia tesi è che il fatto di vivere all’interno di questi orizzonti fortemente qualificati è essenziale all’azione umana e che sottrarsi a questi limiti vorrebbe dire cessare di apparire persone umane integrali, cioè complete (43).
Sapere chi sono vuole dire in un certo senso capire dove sono. La mia identità è definita dagli impegni e dalle identificazioni che costruiscono il quadro e l’orizzonte entro il quale posso cercare di stabilire, caso per caso, che cosa è buono e apprezzabile, che cosa devo fare, che cosa devo avversare o sottoscrivere (43).
C’è un legame essenziale che esiste tra identità ed un certo tipo di orientamento. Puoi dire di sapere chi sei se sai orientarti nello spazio morale (44).
Noi non siamo io nello stesso modo in cui siamo organismi […] Siamo io solo in quanto, quando cerchiamo e troviamo un orientamento al bene, ci muoviamo in un certo spazio problematico (52).
La definizione completa dell’identità di una persona di solito comprende non solo la sua posizione sulle questioni morali o spirituali, ma anche un riferimento a una comunità (54).
La mia tesi è he i beni che definiscono il nostro orientamento spirituale sono quelli in riferimento ai quali noi misureremo il valore della nostra vita (61).
Chi voglia soddisfare il proprio desiderio di pienezza potrà farlo legando la propria vita alla realizzazione di un progetto, a qualche azione eccezionale o cercando di darle un significato straordinario (62).
Noi progettiamo il nostro futuro a partire dalla percezione di quello che siamo diventati, scegliendo all’interno della gamma delle nostre possibilità attuali (67).
Quello che sono è quello che sono diventato (70).
I processi lenti, che si preparano nell’Età moderna, approdano ad una configurazione definitiva nella modernità attraverso le forme di vita materiali e spirituali delle società borghesi e individualiste apparse tra le Rivoluzioni americana e francese di fine Settecento e il nuovo universo delle metropoli ottocentesche.
Tra le fonti dell’identità moderna, Taylor assegna un ruolo particolare alla letteratura.
Il libro di Taylor ci mostra in modo rigoroso come, nel mondo attuale, una discussione approfondita sulla natura e le forme della moralità non può svolgersi senza un riferimento costante alla letteratura.
La valutazione forte è ciò che articola, attraverso le emozioni e il linguaggio che le esprime, l’esperienza del mondo in una molteplicità di livelli non omogenei tra loro e organizzati gerarchicamente. Contro quello che Taylor definisce “l’assunto naturalistico”, queste distinzioni qualitative forti non sono mere proiezioni sul mondo dei nostri impulsi e desideri; esse fungono, invece, da criteri preesistenti al nostro vissuto e, di conseguenza, ci permettono di fissare dei beni e dei fini indipendenti da esso. È la percezione di un bene superiore, realizzabile attraverso le mie azioni, che mi fa ritenere fuorviante il perseguimento di certi desideri ed impulsi.
Come sottolinea Taylor, oggi “un quadro di riferimento condiviso da tutti non esiste più” (11).
“Realizzando la mia natura, io devo definirla, ossia darle una formulazione – e definirla anche in un senso più forte: ossia nel senso che, realizzando questa formulazione, io conferisco alla mia vita una forma definitiva. La vita umana – lungi dal copiare un modello esterno o dall’attuare una formulazione già determinata – rende manifesto un materiale che la manifestazione contribuisce a plasmare.”(15)
La natura non si comporta come una legge universale che l’individuo deve rispecchiare nei suoi atteggiamenti intellettuali e nella sua condotta, bensì come una forza profonda che l’individuo, attraverso un processo interpretativo, traduce in una visione del mondo e in un progetto di vita. In ogni individuo la natura umana si presenta secondo una configurazione unica ed incomparabile, e il nuovo compito etico consiste nella compiuta espressione di tale configurazione. Qui si rende evidente il nesso che il Romanticismo crea tra un’inedita ontologia dell’umano – le differenze individuali sono aspetti essenziali nella determinazione della nostra umanità – e una conseguente prospettiva etica – tali aspetti devono manifestarsi nel progetto di vita personale.
Il nodo concettuale più affascinante e per certi versi più oscuro della tesi espressivista si presenta nell’articolazione tra concezione della natura umana e compito etico. Non è più l’ideale esterno, prodotto dalla ragione distaccata, ad intervenire sulla mia natura, plasmandola e uniformandola a un modello morale condiviso. L’ideale nasce ora dal libero sviluppo di questa mia natura particolare, anche se ciò comporterà il rigetto di tutti i modelli che mi sono offerti dalla tradizione. Per chiarire questo punto Taylor fa ricorso al concetto di “autoarticolazione”. Esso indica che la mia natura non è qualcosa di dato una volta per tutte, né un programma che agisca in me in modo lineare e necessario.
La valorizzazione della svolta espressivista nella modernità ha un ruolo fondamentale nell’argomentazione filosofica di Taylor. Per lui, l’unica possibilità di dare senso al sistema di valori promosso dal liberalismo occidentale, basato sulla difesa di diritti umani universali e sulla giustizia procedurale, consiste nell’esplicitare le premesse antropologiche su cui quel sistema si basa. Queste premesse implicano il riconoscimento di “fonti morali”, ossia di beni nel senso aristotelico del termine, che vanno perseguiti per se stessi. Il rispetto della vita umana e dei diritti fondamentali delle persone non può basarsi su una generica benevolenza verso i miei simili, ma deve fare leva su una concezione dell’integrità della vita umana e dei beni che rappresentano per essa esperienze quali l’autonomia, il possesso, l’espressione di sé.
Alla base del presente lavoro vi è dunque la distinzione tra dimensioni ontologiche e dimensioni storiche nella trattazione tayloriana dell'essere dell'uomo: l'immutabile natura umana, da una parte, e la natura del sé o dell'identità moderna, dall'altra, sono i due poli attorno ai quali ci si muove costantemente in questa ricostruzione del pensiero tayloriano
tutti i capitoli presentano, nel proprio contesto, la polemica che l'autore perpetuamente svolge contro quello che viene denominato, lungo tutto l'arco della sua produzione filosofica, "il naturalismo".
Più nello specifico, il primo capitolo della tesi è inevitabilmente dedicato all'impostazione globale delle riflessioni di Taylor: in esso viene indicata, in linea generale, la dialettica di identità e differenza della natura umana all'opera nella sua antropologia e viene presentato il genere di strategia argomentativa che l'autore ritiene possa sorreggere tale dialettica; in particolare, il problema del rapporto che intercorre nelle riflessioni tayloriane tra verità perenni e caratteristiche contingenti e storiche dell'essere dell'uomo viene dilucidato in riferimento a Sources of the Self, opera che, per la sua stessa configurazione, richiama continuamente l'attenzione del lettore su questo punto, evidenziando sin dall'inizio il vincolo profondo che unisce l'antropologia filosofica di Taylor al suo progetto di interpretazione dell'identità moderna.
rapporto corpo-linguaggio-società che si costituisce non soltanto come il tema capitale della filosofia contemporanea, ma anche come il fulcro attorno al quale ruota l'antropologia di questo autore.
Da una parte, quindi, il capitolo contiene una discussione dei tre aspetti essenziali della natura più propria dell'uomo che confluiscono nell'antropologia filosofica di Taylor: tra questi, è il concetto di persona che determina la propria identità orientandosi in uno spazio morale a configurarsi come il contributo teorico più significativo dell'autore, accanto agli altri due aspetti enunciati, ossia il carattere dialogico dell'identità personale e il suo carattere narrativo. In primo luogo, dunque, avere un'identità o essere un sé significa esistere in uno spazio di questioni che hanno a che fare con come si dovrebbe essere, o che ci rapportano a ciò che è buono, a ciò che è giusto, a ciò che si dovrebbe fare. In secondo luogo, la definizione completa dell'identità di una persona comprende, non soltanto la sua posizione sulle questioni morali e spirituali, bensì anche un riferimento a una comunità, e ciò in un duplice senso: affinché l'elaborazione della propria identità possa aver luogo, si rende infatti necessario sia che gli individui siano originariamente inseriti in quelle che Taylor chiama "reti di interlocuzione", sia che venga riconosciuta l'importanza dell'incessante negoziazione con gli altri, nel corso di una vita, della propria identità. Infine, incontriamo il requisito "narrativo" dell'identità, in virtù del quale vi deve essere una sorta di unità a
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