Paolo Cugini
C’è un tema che il sinodo
Panamazzonico, che si svolgerà a Roma nel mese di ottobre, porta alla ribalta
non solo della Chiesa, ma anche dell’opinione pubblica ed è la situazione dei
popoli indigeni. Il processo di evangelizzazione nella grande regione
panamazzonica presenta un aspetto di grande originalità rispetto ad altre
regioni nel mondo, per la sua vasta gamma di popoli indigeni con le loro
specifiche lingue, culture religioni. Come ricorda il Documento preparatorio: “Nei nove Paesi
che compongono la regione panamazzonica si registra la presenza di circa tre
milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità
differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni
specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio
Indigeno Missionario del Brasile - CIMI) e altre, fra i 110 e i
130 Popoli Indigeni in Isolamento
Volontario (PIAV) o popoli liberi”[2].
Varietà di popoli significa, da un punto
di vista antropologico, una grande ricchezza culturale, che si manifesta nella
grande varietà di idiomi. Secondo le stime,
c’erano 1500 idiomi in Brasile prima dell’arrivo dei colonizzatori. Oggi è
rimasto il 10% delle lingue. Il luogo in cui si sono mantenute la maggior parte
di lingue è l’Amazzonia, anche perché è una regione che non fu molto
colonizzata a causa della difficoltà di vivere. Oggi si calcola che ci siano
nella regione panamazzonica 200 lingue parlate. Molti popoli
indigeni, che vivono fuori dalle terre indigene, vale a dire che vivono nelle
grandi città, non parlano la lingua originale, ma conoscono appena il portoghese.
Il 37% degli indigeni parlano in casa la propria lingua. Nel 1758 il Brasile
proibì l’uso della lingua Tupì, che era la lingua generale brasiliana. La
stessa popolazione non riconosce il valore delle lingue dei popoli indigeni,
chiamandole dialetti. C’è, quindi, una grande discriminazione nei confronti dei
popoli indigeni nello stesso Brasile. Solo 5 delle 180 lingue indigene parlate
in Brasile ha più di 10000 parlanti (Tikuna 34 mila; Guaranì 26 mila). Ci sono,
dunque, molte lingue vicino all’estinzione, lingue con meno di 10 persone
parlanti l’idioma[3].
Per questo motivo, i
popoli indigeni nel sinodo panamazzonico devono essere interlocutori
indispensabili, perché vivendo da millenni in questa regione, conoscono il
territorio amazzonico più di qualsiasi altro popolo. Come ricorda il Cardinale
Claudio Humes: “la loro visione del mondo
e la loro vita religiosa si è modellata a partire dalla loro esistenza
millenaria nella foresta amazzonica, insieme a quella immensità di acque in
fiumi incredibilmente grandi, convivendo con una biodiversità affascinante.
Loro sono i saggi guardiani di questo ecosistema privilegiato”[4].
Evangelizzare
nel territorio panamazzonico significa anche riconoscere che tutta questa
ricchezza culturale e religiosa dei popoli indigeni è oggi più che mai
minacciata. Lo ha ricordato papa Francesco durante il viaggio in Cile del
gennaio 2018 nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia[5]. I popoli indigeni sono
stati perseguitati, cacciati, schiavizzati e sterminati sin dall’epoca
dell’arrivo dei colonizzatori europei. I popoli che incontriamo oggi nel
territorio amazzonico rappresentano una piccola minoranza che cerca di
sopravvivere. Il processo di persecuzione, infatti, non si è mai arrestato. I
popoli indigeni sono aggrediti, espulsi dalle loro terre, sfruttati e molti
continuano ad essere uccisi. A causa di questa persecuzione alcuni popoli si
sono isolati all’interno della foresta, isolandosi persino dalle loro stesse
etnie. Sono i così detti popoli denominati “Popoli Indigeni in Isolamento
Volontario” (PIAV). Oltre a ciò, il processo di evangelizzazione nel territorio
amazzonico deve tener conto delle minacce che i popoli indigeni stanno subendo
nel territorio brasiliano dall’attuale Governo. Solo per citare alcune scelte
realizzate dagli ultimi due presidenti del Brasile:
a. l’ex presidente Temer con
il parere
n. 001/2017: parere che obbliga l’amministrazione pubblica federale ad
applicare, a tutte le terre indigene del paese, condizionanti che il Supremo
Tribunale Federale stabilì nel 2009 quando ha riconosciuto la costituzionalità
della demarcazione della Terra Indigena Raposa Serra do Sol, in
Roraima. Ciò significa non riconoscere il carattere tradizionale
dell’occupazione indigena quando la comunità non stava nella terra data dalla
promulgazione della Costituzione. Oltra a ciò, afferma che non si possono
correggere i limiti delle terre demarcate e anche la possibilità di decidere
senza ascoltare la comunità nel caso di alcuni progetti e di problemi
d’infrastruttura.
b. L’attuale presidente
Bolsonaro con la MP
870/2019 ha cambiato l’organogramma delle responsabilità in riferimento delle
terre indigene. D’ora innanzi la responsabilità che era della FUNAI, è di
responsabilità del ministero dell’agricoltura. La FUNAI diventa integrata nel
ministero della Famiglia e diritti umani e non più della Giustizia. Il problema
sono i ministri di questi ministeri che si trovano agli antipodi delle
problematiche dei popoli indigeni, per non dire contro. Bolsonaro ha già
dichiarato che non demarcherà un solo cm di terra indigena e cercherà di
rivedere le demarcazioni delle terre. C’è quindi una strumentalizzazione degli
organi politici responsabili per l’udienza dei popoli indigeni. Altro dato
significativo e drammatico, in questa direzione, è il fatto di aver collocato
un Generale come presidente della FUNAI (è l’organismo ufficiale del Governo
che si occupa della delimitazione delle terre indigene). Si tratta di una
strategia messa in atto dall’attuale governo brasiliano che minaccia e
destabilizza economicamente i popoli indigeni con la destrutturazione degli
organi responsabili per la protezione di questi popoli attraverso il taglio dei
versamenti e l’estinzione degli incarichi e delle unità amministrative[6].
Tener
conto della situazione socio politica nel processo di evangelizzazione del
territorio panamazzonico significa riflettere sui processi d’inculturazione da
mettere in atto. Ne aveva già parlato papa Francesco nell’Evangeli Gaudium
quando affermava che: “E’ indiscutibile
che un’unica cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo” (EG,
118). Non è possibile pretendere che tutti i popoli dei vari continenti imitino
le modalità di fede adottate dai popoli europei in un determinato momento della
storia. “La fede non può essere confinata
dentro i limiti della comprensione e espressione di una cultura” (EG, 118).
Inculturazione richiama lo sforza di ascolto e valorizzazione delle culture
locali, che conduce alla capacità di lasciarsi contaminare, di permettere nuovi
cammini di trasmissione della fede, di liturgie che riescano ad esprimere i
contenuti evangelici attraverso il materiale emerso nel processo
d’inculturazione. Questo processo promuove la diversità nell’unità, assume
volti diversificati secondo la cultura nella quale s’incultura[7]. Il documento preparatorio
al sinodo panamazzonico parla esplicitamente di un cammino di Chiesa dal volto
amazzonico e indigeno, richiamando le parole di papa Francesco nel già citato
discorso ai popoli dell’Amazzonia: “Abbiamo
bisogno che i popoli indigeni plasmino culturalmente le chiese locali
dell’Amazzonia […] Aiutate i vostri vescovi, aiutate i vostri missionari e le
vostre missionarie a farsi una cosa sola con voi e così, dialogando con tutti,
potete plasmare una Chiesa dal volto amazzonico e una chiesa dal volto
indigeno. Con questo spirito ho convocato un sinodo per l’Amazzonia”[8].
Credo
che sia quest’aspetto che rende significativo anche per la Chiesa in Occidente
il sinodo Panamazzonico. Come ha riconosciuto il cardinal Claudio Hummes
commentando il testo citato, occorre riconoscere che sino ad ora si è fatto
poco nel cammino di un’evangelizzazione inculturata[9]. Anche il teologo
brasiliano Paolo Suess, in un’intervista rilasciata alla rivista Unisinos[10], afferma la stessa cosa,
pur riconoscendo differenti gradi di approssimazione tra la Chiesa Cattolica e
i popoli indigeni. Il problema, sostiene Paolo Suess, si riscontra già nei
processi di formazione dei futuri leaders della Chiesa, vale a dire preti e
vescovi. Oltre, infatti, all’esigenza del celibato che poco s’inquadra nella
cultura indigena, “la stessa formazione
accademica è culturalmente inadeguata ed economicamente inaccessibile per i
popoli indigeni”. Non esistono strutture formative nella Chiesa Cattolica
che tengano conto della ricchezza culturale dei popoli indigeni: tutto viene
ridotto agli insegnamenti che provengono dalla teologia elaborata in Occidente.
Non sappiamo che cosa un sinodo possa proporre a questo livello specifico. Sta
di fatto che la Chiesa, per uscire dalle belle parole, deve poter offrire
spunti capaci d’innestare processi in grado di mettere in condizione la Chiesa
dell’Amazzonia di assumere un volto proprio e specifico: una Chiesa dal volto
indigeno. Secondo Paolo Suess il primo passo da compiere in questa direzione
consiste nel mettere in grado le popolazioni locali di avere presbiteri
indigeni. La grande varietà di lingue dei popoli indigeni non permette al
missionario di parlare la lingua del popolo al quale rivolge l’annuncio del
Vangelo, Questo comporta “l’incapacità di
comprendere il loro passato, il loro cibo e comprendere il loro pensiero”. C’è
uno stile di Chiesa in Amazzonia che deve sempre di più assumere le forme della
cultura indigena, del loro modo di pensare e intendere Dio. A questo proposito,
in
un’intervista del giornalista Luis
Miguel Modino a Miguel Castro Piloto,
componente del popolo Baniwa, nel municipio San Gabriele ddella
Cachoeira, alla frontiera con la Colombia
vicino ai fiumi Içana e Ayari, Miguel
Castro sosteneva che per i popoli indigeni Dio è la natura e il popolo indigeno
ringrazia la natura, perché è da lì che viene l’alimentazione, ma anche la
malattia e la salute. “E’ Dio la vera
vita per questo i popoli indigeni valorizzano la natura e la proteggono. La
nostra religione dice che tu sei castigato se non vivi ben, anche l’indigeno è
castigato se non rispetterà la natura. Per capire questi aspetti importanti
della nostra religione i preti devono vivere in mezzo a noi”[11].
Già
Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris
Missio (1990) sosteneva la necessità di un’evangelizzazione sempre più
inculturata perché è questo processo a produrre “l’intima trasformazione dei valori culturali autentici, per la loro
integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie
culture” (RM, 52). Nello sviluppo dell’evangelizzazione delle culture,
queste passano per un processo pasquale; vengono infatti, purificate dai loro
errori e mali. In questo modo, sostiene il cardinal Hummes, le culture muoiono,
ma i loro valori, in termini di verità e bene, sono aperti a nuovi orizzonti di
espressione più alta e, così, risuscitano per una piattaforma nuova e
trascendente con espressioni nuove e più ricche. In questo modo le culture non
sono distrutte, ma trasformate ed elevate. Le sementi della verità e del bene,
che tutte le culture posseggono, dimostrano che Dio è sempre stato presente e
si manifesta. Sono tracce di Dio che gli evangelizzatori scoprono. “Questa presenza di Dio nelle culture dei
popoli mostra che egli è sempre stato presente nella loro vita e loro storia,
li ha protetti e, in qualche modo, si è a loro rivelato”[12].
Il
Sinodo per l’Amazzonia, che avrà luogo a Roma nel mese di ottobre, offre dunque
anche per la Chiesa Occidentale molti spunti di riflessione. L’attenzione ad
un’evangelizzazione inculturata con i popoli indigeni, interpella anche il modo
di fare pastorale in un contesto che vede la presenza sempre maggiore di popoli
diversi. Forse, dal sinodo usciranno idee che potranno ispirare il nostro
cammino di Chiesa, per una pastorale non a senso unico, ma maggiormente attenta
alle diversità presenti sul territorio.
[1]
Partecipante del Corso sulla
realtà amazzonica, svoltosi a Manaus nel mese di febbraio 2019.
[2] Amazzonia,
nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Documento
preparatorio, in: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/06/08/0422/00914.html.
[3]
Dati raccolti nel Corso sulla realtà amazzonica, tenutosi
nel mese di febbraio 2019 a Manaus.
[5] Viaggio
Apostolico in Cile. Incontro con i popoli dell’Amazzonia. Discorso del Santo
Padre,19/01/2018,
in: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180119_peru-puertomaldonado-popoliamazzonia.html
[6] Dati forniti al Corso sulla realtà amazzonica tenuto nel
mese di febbraio 2019 a Manaus.
[7] Su questo tema cfr.: C. HUMES, O
sínodo para a Amazônia, cit., p. 46.
[8] Viaggio Apostolico in Cile. Incontro con i popoli
dell’Amazzonia. Discorso del Santo Padre,19/01/2018, in: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180119_peru-puertomaldonado-popoliamazzonia.html
[10] Por uma Igreja com rosto amazônico e com rosto indígena. O
sínodo panamazônico e a busca de um novo paradigma de Evangelização. Entrevista
especial com Paulo Suess, in Revista
IHU, 11/05/2018 on line, http://www.ihu.unisinos.br/159-noticias/entrevistas/578822-por-uma-igreja-com-rosto-amazonico-e-com-rosto-indigena-o-sinodo-pan-amazonico-e-a-busca-de-um-novo-paradigma-de-evangelizacao-entrevista-especial-com-paulo-suess.
[11] Padres tem que conhecer
melhor as culturas indígenas. Intervista de Miguel Modino com o professor
indígena Miguel Piloto, in Revista IHU on line,
19/02/2019, http://www.ihu.unisinos.br/78-noticias/586780-padres-tem-que-conhecer-melhor-as-culturas-indigenas-entrevista-com-o-professor-indigena-miguel-piloto.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaL’unità nella varietà e la varietà nell’unità... perché ogni differenza è una risorsa e la famiglia dei credenti in Gesù, la Chiesa, non può avere come cifra caratterizzante l’omologazione!
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