sabato 30 agosto 2025

LA SOLIDARIETA’ SOTTO ATTACCO





 

La strana alleanza tra i cristiani tradizionalisti americani e l’estrema destra

 

Paolo Cugini


Negli ultimi decenni negli Stati Uniti si è osservato il consolidarsi di un’alleanza tra il cristianesimo tradizionalista e le formazioni dell’estrema destra politica. Questo fenomeno può apparire contraddittorio, soprattutto se si considera che molte delle idee cardine del cristianesimo — come la solidarietà, l’accoglienza del prossimo e la carità — sembrano in aperto contrasto con posizioni che, talvolta, respingono o svalutano questi stessi principi. Tuttavia, questa alleanza si fonda su radici culturali, storiche e teologiche profonde. In queste poche righe provo a spiegare perché una parte significativa di cristiani tradizionalisti americani sostiene ideologie e movimenti di estrema destra, che interpretano la solidarietà in chiave negativa.

Per comprendere il fenomeno contemporaneo, occorre risalire alle origini del rapporto tra cristianesimo conservatore e politica americana. Lo storico Kevin M. Kruse, nel suo libro One Nation Under God: How Corporate America Invented Christian America (2015), sostiene che il connubio tra cristianesimo tradizionale e politiche economiche di destra nasce già negli anni Quaranta e Cinquanta quando, imprese e leader religiosi si unirono contro il New Deal e la crescente influenza dello Stato sociale. Secondo Kruse, a partire da quegli anni il cristianesimo venne progressivamente associato ai valori dell’individualismo, della libertà economica e della diffidenza verso l’intervento pubblico, visti come "minacce" alla libertà dell’individuo.

L’antropologa Kristin Kobes Du Mez, in Como o evangelho foi cooptado por movimentos culturais e politicos (2019), mostra come l’evangelicalismo bianco americano abbia promosso una visione del cristianesimo come baluardo di valori conservatori — autorità, ordine, patriottismo — spesso in contrasto con un’idea di solidarietà collettiva o responsabilità sociale e orientato piuttosto alla difesa della "legge e dell’ordine" contro ogni forma di dissenso o rivendicazione dei diritti civili. Per comprendere perché la solidarietà sia vista in chiave negativa da molte formazioni di estrema destra, è utile fare riferimento al pensiero di Patrick J. Deneen, docente di Scienze Politiche a Notre Dame e autore di Cambio di regime. Verso un futuro post-liberale (2025). Deneen spiega come una parte della destra americana ritenga che i progetti sociali collettivi — spesso associati al termine “solidarietà” — abbiano prodotto, in realtà, solo dipendenza e inefficienza, minando la libertà e la responsabilità individuale. Fra le fonti più citate dai tradizionalisti, c’è anche il pensiero di Ayn Rand, benché non cristiana. Rand, in La virtù dell’egoismo. Un concetto nuovo di egoismo (2023) sostiene la superiorità morale dell’individualismo e considera ogni forma di solidarietà obbligata come una minaccia alla dignità umana. Per Rand, la solidarietà imposta dallo Stato corrisponde ad una forma di schiavitù morale, che priva l’individuo della propria autonomia e lo costringe a farsi carico delle necessità degli altri. Molti leader cristiani tradizionalisti americani hanno integrato, in modo paradossale, questa visione nella loro predicazione pubblica, come sottolinea Michael Sandel in Giustizia. Il nostro bene comune (2013).



Un altro elemento decisivo è l’affermarsi, nel secondo dopoguerra, della cosiddetta "teologia della prosperità" (prosperity gospel), secondo cui il benessere personale e materiale è segno della benedizione divina. Secondo Kate Bowler, autrice di Blessed: A History of the American Prosperity Gospel (2013), questa teologia ha portato milioni di cristiani americani a identificare il successo individuale come volontà di Dio, svalutando ogni forma di solidarietà istituzionale e pubblica, vista come intromissione indebita nella relazione privata tra Dio e il credente.

La Guerra Fredda ha avuto un ruolo centrale nel rafforzare la diffidenza del mondo cristiano tradizionalista verso l’idea di solidarietà. Nel contesto americano, infatti, la solidarietà veniva associata al socialismo o, peggio, al comunismo sovietico. Come sottolinea lo storico David W. Swartz in Moral Minority: The Evangelical Left in an Age of Conservatism (2012), ogni progetto di welfare, redistribuzione o protezione sociale veniva attaccato come potenziale "cavallo di Troia" delle ideologie ateiste e totalitarie. Da qui nasce una retorica che identifica la solidarietà con una minaccia diretta alla fede e ai valori fondanti della nazione e, allo stesso tempo, la minaccia di una possibile entrata del comunismo nel Paese.

Negli Stati Uniti contemporanei, secondo Robert P. Jones in The End of White Christian America (2016), molti cristiani tradizionalisti percepiscono una crisi di valori, accentuata dall’aumento della diversità etnica, dalla secolarizzazione e dalla perdita di centralità pubblica della religione. In questo contesto, l’estrema destra offre una narrazione rassicurante, incentrata sulla difesa di un’identità culturale e religiosa minacciata dagli stranieri, nella quale ogni forma di solidarietà universale viene guardata con sospetto, come se celasse una minaccia all’ordine tradizionale. Da qui si comprende la facile entrata nel pensiero comune americano delle idee dell’attuale Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del suo disegno politico di purificare l’America dagli immigrati.

Un ruolo chiave è giocato dai media conservatori, come Fox News o The Christian Broadcasting Network, che promuovono una visione in cui le politiche di solidarietà sono rappresentate come strumenti di controllo statale e di corruzione morale. Secondo il sociologo Arlie Russell Hochschild nel libro: Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima (2016), molti cristiani tradizionalisti si riconoscono in una narrazione che vede l’estrema destra come difensore delle libertà religiose e individuali contro l’oppressivo "politicamente corretto" e le "ideologie globaliste" della solidarietà universale. L’appoggio dei cristiani tradizionalisti americani all’estrema destra che svaluta la solidarietà è il risultato di un intreccio di fattori storici, teologici, sociali e mediatici. Se il cristianesimo delle origini poneva al centro l’amore per il prossimo e la condivisione, quello americano contemporaneo — almeno nella sua versione tradizionalista e politicizzata — ha spesso privilegiato la difesa dell’individuo, della proprietà privata e delle libertà negative, percependo la solidarietà pubblica come minaccia. Preoccupante. 

 

 

martedì 26 agosto 2025

Il campo missionario di otto giovani reggiani nel quartiere Compensa di Manaus

 




Tre settimane di immersione nella realtà amazzonica, tra incontri, difficoltà linguistiche, accoglienza e nuove consapevolezze

 

 

Paolo Cugini

Otto giovani di Reggio Emilia, accompagnati e preparati dal Centro Missionario Diocesano, hanno vissuto tre settimane intense nel quartiere Compensa di Manaus, presso la parrocchia di san Vincenzo di Paola guidata da don Paolo Cugini, prete fidei donum della diocesi reggiana. Un’esperienza che si è conclusa, il 28 agosto 2025, con una verifica collettiva fatta di emozioni, interrogativi e proposte per il futuro.

Elena sottolinea come questa esperienza sia stata una ricchissima occasione di conoscenza, resa ancora più preziosa dall’ospitalità nelle famiglie locali. Tuttavia, la barriera linguistica ha rappresentato una difficoltà concreta: Elena suggerisce con convinzione la necessità di un minicorso di portoghese prima della partenza e desidera che in futuro si possano vivere periodi più lunghi nelle comunità riberinhas, dove il confronto con la realtà locale è ancora più diretto. Una riflessione che la accompagna riguarda la fede profonda degli abitanti, che però spesso si confronta con una povertà culturale dovuta all’assenza di altri libri oltre la Bibbia.



Maya confida che l’impatto iniziale sia stato molto pesante, ma presto la quotidianità condivisa con le famiglie ha permesso di cogliere la bellezza della semplicità e dell’essenzialità. Nascono in lei sentimenti contrastanti: senso di colpa per ciò che la storia europea ha lasciato su questa terra, rabbia per la gestione locale, gratitudine per la libertà e il benessere europeo. Maia riflette su quanto la libertà sia limitata nel quartiere e su come sia necessario vivere questa realtà per comprenderne la profondità. L’importanza di una guida durante l’esperienza viene evidenziata come fondamentale.

Lucia individua nella lingua la barriera maggiore, spesso aggravata dalla difficoltà degli altri a comprendere cosa si cerca di comunicare. Lucia racconta di aver incontrato persone dal passato difficile ma ricco, e nota una differenza di apertura tra Compensa e le comunità riberinhas, dove si percepisce più dialogo. Ciò che più la colpisce è la testimonianza viva della fede, che si concretizza nella vita di tutti i giorni, e l’accoglienza ricevuta, che le insegna a vivere con poco. Le case sulle rive del fiume sembrano lussuose in confronto a quelle del quartiere; la consapevolezza che per molti quella non sia una parentesi ma la vita di sempre la colpisce profondamente.

I giovani con alcune delle famiglie ospitanti


Federica racconta di aver fatto molta fatica a inserirsi e si interroga sulla mancanza di strumenti, nella gente, per porsi domande nuove. Tuttavia, la partecipazione all’incontro dei gruppi giovanili in parrocchia le regala uno dei momenti più intensi, grazie a un coinvolgimento affettivo forte e sentito.

Laura ricorda la paura iniziale e la sensazione di pericolo diffuso, che nel corso delle settimane lascia spazio a una visione più aperta e fiduciosa. L’accoglienza calorosa delle famiglie contribuisce a scardinare molti preconcetti, mentre la lingua resta un ostacolo importante. Laura considera prezioso anche il sostegno della comunità intorno alla parrocchia.

Davide viene colpito dalla sporcizia diffusa e dalla scarsa consapevolezza della stessa da parte della popolazione. Ammira il lavoro del parroco che cerca di rendere concreti gli insegnamenti evangelici nella vita quotidiana. Propone per il futuro maggiore collaborazione pratica con la gente, anche in attività semplici come la preparazione dei pasti.

Visitando una delle zone più degradante del quaritere Compensa 




Giuseppe descrive il clima come pesante e lascia l’Amazzonia con più domande che risposte. Ammira la capacità della comunità di incarnare il Vangelo, che si fa concreto nella solidarietà attorno alla parrocchia. Si interroga su quanto il benessere possa invece rendere le persone diffidenti e distanti e riflette su quanto sia difficile, per sé, abbandonare tutto come suggerisce il Vangelo, meditato con le comunità.

Simone evidenzia come la semplicità della vita e una diffusa ignoranza abbiano avuto su di lui un impatto forte, ma sottolinea anche la grande accoglienza e la differenza nel modo di vivere la fede, dalla messa alla preghiera.

Sulla torre del MUSA dalla quale si vede la foresta amazzonica


Domande, prospettive e sfide future

L’esperienza ha fatto emergere, in tutti i partecipanti, la necessità di una preparazione linguistica più solida. L’incontro con la povertà materiale e culturale, ma anche con la fede viva e la solidarietà concreta, ha lasciato segni profondi e domande aperte: come vivere con meno, come mettere al centro la comunità, come portare a casa uno sguardo nuovo sul benessere e la libertà. Il campo missionario a Manaus si è rivelato un’esperienza trasformante per tutti. Ognuno e ognuna dei giovani ha sperimentato i propri limiti, ha condiviso la vita semplice e autentica della gente di Compensa, ha vissuto il Vangelo incarnato nel quotidiano. E, tornando a casa, porta con sé non solo nuovi pensieri, ma la consapevolezza che il mondo - e il proprio modo di abitarlo - può essere visto con occhi diversi, più aperti e più grati.

 

domenica 24 agosto 2025

La teologia dal basso: una lotta in favore degli esclusi ed emarginati

 




Riflessioni, pratiche e sfide del pensiero teologico che nasce dalla periferia

 

Paolo Cugini

Nell’ambito del pensiero contemporaneo, la teologia dal basso si distingue per il suo approccio radicale e inclusivo. Essa nasce dall’ascolto delle voci che spesso vengono ignorate, dimenticate o volutamente escluse dalle grandi narrazioni religiose: le persone emarginate, i poveri, i migranti, chi vive ai margini economici e sociali. Più che una disciplina accademica, la teologia dal basso è un movimento, una pratica comunitaria che pone al centro dell'indagine teologica le esperienze concrete e sofferte degli ultimi, degli oppressi e degli esclusi. È una teologia dell’ascolto, che pone al centro coro che di solito sono ai margini e si pone in cammino con loro. È importante sottolineare questo approccio esistenziale e relazionale richiede tempo, a volte molto tempo e non è detto che abbia esito. Si tratta, infatti, di avvicinare persone che solitamente non vengono considerate e, per questo, hanno prodotto dinamiche difensive, che ostacolano il dialogo immediato.

La Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane hanno iniziato, seppure tra resistenze e contraddizioni, a riconoscere il valore di questa prospettiva. Si è dovuto, infatti, abbattere quelle resistenze sorte da una relazione conflittuale, dovuto alle dinamiche colonizzatrici messe in atto nel tempo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Creare relazioni di uguaglianza, rompendo il clima di sfiducia che si respira, è il primo passo importante per una relazione che possa produrre una riflessine teologica a partire dagli ultimi. Papa Francesco, con la sua attenzione ai poveri, ai migranti e agli esclusi, rappresenta un esempio di apertura verso una teologia che nasce dalla periferia. Le sue parole invitano a “una Chiesa povera per i poveri”, capace di ascoltare il grido degli oppressi e di agire concretamente contro l’ingiustizia.

È importante segnalare che, in molti contesti, parroci e religiose portano avanti progetti di inclusione, scuole popolari, mense sociali, case di accoglienza, laboratori di formazione. Tuttavia, il cammino è ancora lungo: persistono forti resistenze, discriminazioni, chiusure identitarie. La teologia dal basso rappresenta una sfida costante a non dimenticare il volto di chi soffre. È il cammino, del resto, che lo stesso Gesù ha percorso, il cammino dello svuotamento delle proprie categorie culturali che, per noi occidentali, sono di supremazia sugli altri. Svuotamento che ha come conseguenza immediata il farsi piccolo, servo per creare quella relazione paritaria che è l’unica capace di creare ascolto, attenzione autentica.

Questa prospettiva non è esente da critiche. Alcuni teologi e teologhe temono che il messaggio religioso venga ridotto a semplice azione politica o sociale, perdendo la sua dimensione spirituale e trascendente. Altri contestano la radicalità di alcune posizioni, che possono mettere in discussione dogmi e tradizioni consolidate. La sfida della teologia dal basso è mantenere un equilibrio tra la fedeltà al messaggio evangelico e la capacità di innovare, di reinterpretare la fede alla luce dei nuovi bisogni e delle nuove sofferenze. Serve dialogo, apertura, capacità di ascolto e discernimento. La teologia dal basso invita a ripensare profondamente il senso della spiritualità. Non una spiritualità individualista e ripiegata su sé stessa, ma una spiritualità incarnata, vissuta nella lotta quotidiana per la giustizia, la pace, la dignità. La fede diventa cammino, relazione, incontro: la preghiera si fa gesto concreto, la liturgia si trasforma in azione solidale. In questo senso, la teologia dal basso propone una nuova visione di Dio: non il Dio distante e giudicante, ma il Dio che abita le ferite del mondo, che si fa prossimo agli esclusi, che cammina con chi lotta per la vita, che si fa voce dei senza voce.

La teologia dal basso è molto più di una corrente teologica: è un appello alla responsabilità etica e sociale, una chiamata a trasformare il mondo a partire dalle sue periferie. Essa ci ricorda che la fede autentica si misura sulla capacità di riconoscere e amare il volto degli esclusi ed emarginati, di lottare per la giustizia e di costruire comunità accoglienti. In un’epoca segnata da crisi e disuguaglianze, la teologia dal basso invita a non voltarsi dall’altra parte, a raccogliere il grido degli oppressi e a camminare insieme, con coraggio e speranza, verso un mondo più umano e più giusto.

 

sabato 23 agosto 2025

I VESCOVI DELL’AMAZZONIA SCOMMETTONO NELLA CEAMA

 




Il messaggio finale dei vescovi

Articolo di Luis Miguel Modino

Traduzione: Paolo Cugini

 

Un incontro in cui si è voluto “ascoltare e identificare i processi che, ispirati dal Sinodo dell’Amazzonia e dall’Esortazione Apostolica Querida Amazônia, ci hanno permesso di riconoscere i nostri progressi, resistenze, sfide e speranze”, secondo il messaggio. Il documento ringrazia per le parole inviate da Papa Leone XIV, nelle quali egli indica che “la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini (cf. AG 1), il trattamento giusto verso i popoli che vi abitano e la cura della casa comune”.

L’episcopato amazzonico, che si sente “pastori in una Chiesa sinodale”, ringrazia e riconosce la generosa e rischiosa dedizione di numerosi membri del Popolo di Dio nell’Amazzonia, sottolineando l’esempio dei martiri, “una testimonianza viva che ci incoraggia continuamente nella nostra missione evangelizzatrice”. Allo stesso modo, vengono valorizzati i progressi significativi “nell’ascolto, nell’articolazione delle diocesi, nella rivitalizzazione dei vari consigli, nella pianificazione pastorale e nella formazione teologica, spirituale, ministeriale e pastorale che cerca di rispondere ai segni dei tempi”. Insieme a ciò, “una maggiore consapevolezza in relazione all’ecologia integrale, al bioma, alla difesa del territorio e ai diritti dei suoi abitanti, in particolare dei popoli originari”, affrontando le minacce che subiscono per la loro difesa dell’ecosistema amazzonico, così importante per la vita delle loro comunità.

Resistenze e paure

Il messaggio riflette sulle resistenze e le paure di una Chiesa sinodale con volto amazzonico, che si manifestano nella mancanza di discernimento e in un certo autoritarismo, clericalismo e scarso spirito missionario, nonché nella poca disposizione e audacia ad andare verso le periferie.

I vescovi si sentono spinti a “essere strumenti di comunione, comunicazione e sinodalità” e chiamati a generare priorità sinodali per la regione, oltre che a crescere in spirito profetico. Tutto questo in “una Chiesa centrata sul Battesimo, da cui sono nate tutte le vocazioni e i ministeri”. In essa, i pastori dell’Amazzonia si impegnano ad ascoltare e condividere “con sensibilità le culture e le spiritualità dei popoli che la abitano”. Un atteggiamento che nasce dall’essere terra e dalla crisi climatica generata da un trattamento irresponsabile e irrispettoso. Ciò spinge i vescovi a rinnovare il proprio impegno per l’ecologia integrale e la cura della casa comune, a camminare con le comunità e a imparare dalla saggezza ancestrale dei popoli indigeni. Di conseguenza, il messaggio sottolinea che “l’Amazzonia non è una terra vuota da sfruttare; è una terra abitata, amata e custodita da generazioni, ed è luogo della presenza di Dio”.

Vescovi che camminano con il popolo

Nella Chiesa dell’Amazzonia, i suoi vescovi affermano di camminare insieme, “prendendosi cura dei nostri fedeli ed essendo accuditi da loro”, schierandosi al fianco del popolo, “condividendo le gioie e le sofferenze delle nostre comunità, imparando dalla loro fede semplice e dalla loro testimonianza di essere sale e luce della terra (cf. Mt 5,13-14), lasciandoci sostenere dalla loro vicinanza e dalla loro preghiera”.

L’episcopato amazzonico riconosce la CEAMA come “spazio privilegiato di comunione, discernimento e missione” e si impegna “a farla crescere, rafforzarsi e consolidarsi, affinché sia un’opportunità di servizio e di rinnovamento per ogni comunità cristiana della regione, e segno di speranza per tutta la Chiesa”. Per questo, puntano su programmi di formazione e auspicano di trovare forme di sostenibilità economica. Un impegno che affidano all’intercessione di Maria, Madre dell’Amazzonia.

 

giovedì 21 agosto 2025

BOGOTA': INCONTRO DELLA CONFERENZA ECCLESIALE DELL'AMAZZONIA

 





Articolo di Luis Miguel Modino

Traduzione: Paolo Cugini


Incontro della CEAMA: “le voci dei Vescovi dell’Amazzonia siano accolte, ascoltate e considerate”

La Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA), “uno dei frutti del Sinodo”, secondo l’arcivescovo di Manaus e presidente della Regione Nord 1 della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB Nord 1), ha convocato i vescovi dell’Amazzonia per un incontro dal 17 al 20 agosto, a Bogotá.

Il cardinale di Manaus, Mons Leonardo Steiner considera Querida Amazonia come “un testo straordinario che potrà ancora aiutarci molto in futuro.” Ha sottolineato la necessità della presenza delle chiese particolari nella CEAMA, poiché non può rimanere limitata a un gruppo. Nonostante i progressi, l’arcivescovo di Manaus afferma che “abbiamo ancora molta strada da percorrere affinché diventi davvero una conferenza ecclesiale.” Ecco l’importanza di questo incontro, data la necessità per tutti di entrare nello spirito del Sinodo, lasciare che questo spirito raggiunga le nostre diocesi, le nostre chiese particolari, le nostre comunità.

L’arcivescovo di Manaus ha evidenziato il lavoro sinodale svolto dai vescovi dell’Amazzonia brasiliana. Per questo motivo, “questo nostro incontro è un’occasione per affermare la CEAMA, per consolidarci come una Chiesa realmente ecclesiale, cioè sinodale. Una Chiesa che ascolta le comunità, una Chiesa che sa ascoltare i laici, ascoltare la Vita Religiosa, ascoltare tutti.” Ha riflettuto sulla diversità ecclesiale, che aiuta a costruire la Chiesa sognata da Papa Francesco, una Chiesa che si preoccupa veramente dei piccoli. Una Chiesa che si preoccupa dei popoli originari.



Parimenti, il cardinale Steiner ha sottolineato la necessità di essere sempre più una Chiesa profondamente incarnata. Ha detto ai vescovi che “nelle nostre persone, nel nostro ministero sono presenti le nostre chiese, le nostre comunità. Non saremmo vescovi se non fossimo nelle nostre diocesi, nelle nostre comunità.” Questo fa sì che l’incontro sia un’opportunità affinché la CEAMA sia profondamente sinodale e sia una Chiesa realmente e profondamente ecclesiale. La partecipazione dei laici diventi sempre più profetica, sempre più ministeriale.

Dal canto suo, il prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, cardinale Michael Czerny, ha dichiarato che “la gestazione e la nascita della Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA) sono state un vero miracolo.” Ha sottolineato, nella CEAMA, che la sua missione è stata definita in relazione a una pastorale condivisa e inculturata che si doveva promuovere tra le diocesi amazzoniche.

Da qui la rilevanza di questo incontro dei vescovi dell’Amazzonia, che ha come obiettivo rendere grazie per tutto questo e, allo stesso tempo, approfondire la loro chiamata, riscoprire la loro vocazione e la loro missione in modo più maturo, e stimolare una nuova tappa nel loro cammino. Il cardinale Czerny ha evidenziato che nella CEAMA i suoi membri e partecipanti non sono solo vescovi, ma rappresentano tutte le vocazioni all’interno del Popolo di Dio, essendo “una Chiesa non solo di ministeri, ma anche di carismi”, seguendo la proposta di Aparecida che ha affermato che i laici devono partecipare al discernimento, alle decisioni, alla pianificazione e all’esecuzione” della vita e della missione di tutta la Chiesa.

Una realtà che dimostra “una brillante e creativa accoglienza latino-americana, sia del Concilio Vaticano II, che dei Sinodi sull’Amazzonia (2019) e sulla Sinodalità (2023-2024); abbracciando la diversità e potenziando la complementarità; oltre a invitarci a implementare dinamiche comunicative proprie di una Chiesa sinodale. Ha insistito che il fatto di essere ecclesiale non rende questa conferenza meno episcopale, e ha invitato a concentrarsi sulla Chiesa locale, dove la Chiesa modella “la propria identità nell’ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del territorio”, come indicato in Querida Amazonia.

Il cardinale Czerny ha invitato ad aggiungere alla CEAMA la dimensione pastorale e territoriale, che “significa superare la concezione dell’Amazzonia come mero luogo geografico e iniziare a comprenderla come luogo della presenza e rivelazione di Dio”, il che implica la necessità di una fede che “non è neutra né astratta, ma inculturata.” Insieme a questo, c’è un invito perché la CEAMA, più che fare, assuma il ruolo di coordinare, articolare e facilitare per aiutare le chiese locali ad affrontare le principali sfide pastorali e realizzare la loro missione. È per questo che l’incontro mira a far sì che le voci dei Vescovi dell’Amazzonia siano accolte, ascoltate e considerate, e che la CEAMA ridefinisca la propria traiettoria, rilanciando, accompagnando e aiutando le chiese locali a realizzare la propria missione.

 

sabato 16 agosto 2025

INIZIATI I LAVORI NEL PROGETTO DELLA COMUNITA' CRISTO RE

 




I giovani di Reggio Emilia, preparati dal Centro Missionario per un’estate alternativa, arrivati questa settimana si stanno già dando da fare.

In primo luogo, è bene sottolineare che, la scelta fatta assieme al CMD di trascorrere i 20 giorni non in una struttura, ma vivendo nelle famiglie delle comunità della parrocchia, ha trovato un riscontro favorevole negli stessi giovani che nelle famiglie ospitanti. Che cosa sta dicendo a loro questa esperienza lo scriveranno alla fine. Dalla calorosa accoglienza delle famiglie (ma quanto sono accoglienti i brasiliani!) e delle comunità si capisce che la presenza di questi giovani è colta come un momento molto positivo nelle loro vite.

Sabato mattina si sono trovati a svolgere un lavoro in quella comunità che avevo presentato durante i due mesi trascorsi in Italia: Cristo Re (questo è il link in cui spiegavo il progetto: https://regiron.blogspot.com/2025/06/delle-sale-per-la-comujita-cristo-re.html ). È in questa comunità che, nella parte sottostante alla chiesa, vorremo costruire delle sale che serviranno per la cucina della Caritas e altri progetti sociali, oltre che per la catechesi. Lo spazio era piuttosto in disordine. I giovani del CMD, assieme ad alcune persone della comunità, hanno lavorato sodo per ripulire il territorio e lasciare lo spazio il più possibile pulito per poter iniziare i lavori che dovrebbero partire lunedì.

Qui di seguito alcune foto che testimoniano il prezioso lavoro svolto questa mattina. 












martedì 12 agosto 2025

PRIME IMMAGINI DEI GIOVANI DEL CMD DI REGGIO EMILIA A MANAUS

 


Sul ponte del Rio Negro

colazione in una famiglia della comunità san Pietro

visitando la strada del mercato

davanti alla cappella di Cristo Re prima della distribuzione della zuppa



sul tetto della chiesa di san Pietro









martedì 5 agosto 2025

La liturgia come spazio di contaminazione teologica

 




Dialoghi tra tradizione, cultura e fede nel rito

Paolo Cugini

 

La liturgia, intesa come espressione rituale della fede, rappresenta da sempre uno dei luoghi privilegiati nei quali la teologia prende forma, si trasforma e si confronta con le molteplici dimensioni dell’esperienza umana. In questa prospettiva, la liturgia non è un insieme statico di gesti e parole, ma uno spazio vivo di contaminazione teologica: un crocevia dove le varie tradizioni, sensibilità e riflessioni si incontrano, dialogano e spesso si fondono, generando nuove forme di espressione del sacro e nuove interpretazioni della fede. Questo, perlomeno, è quello che dovrebbe avvenire, vale a dire la possibilità di partecipare a liturgie che sono uno spazio autentico di incontri di cammin diversi e, soprattutto, la possibilità di esprimere il Mistero in un linguaggio che entri in sintonia con coloro che partecipano.

Nel corso della storia, la liturgia ha sempre riflesso una molteplicità di tradizioni teologiche. Già nei primi secoli del cristianesimo, le modalità di celebrare l’Eucaristia, il Battesimo o le Ore liturgiche differivano sensibilmente tra le varie comunità locali, secondo le influenze culturali, linguistiche e teologiche del contesto. Questa pluralità non è mai stata priva di tensioni: le lotte tra le diverse scuole teologiche, i dibattiti dottrinali e le esigenze pastorali hanno costantemente attraversato lo spazio liturgico, generando contaminazioni feconde ma anche conflitti e scismi. La stessa storia della Chiesa - pensiamo al contrasto tra oriente e occidente, tra rito romano e riti orientali, tra protestantesimo e cattolicesimo - può essere letta come una continua dialettica di contaminazioni e separazioni, spesso evidenti proprio nella liturgia.

Parlare di “contaminazione” in ambito liturgico e teologico non significa necessariamente pensare a una corruzione o a una perdita di purezza. Al contrario, la contaminazione può essere intesa come una dinamica positiva, capace di generare vitalità, apertura e creatività all’interno della comunità cristiana. Nel corso dei secoli, la liturgia ha saputo accogliere e integrare elementi provenienti da culture, popoli e tradizioni anche molto diversi tra loro. Le melodie gregoriane hanno dialogato con le scale orientali, i testi liturgici si sono arricchiti di simbolismi e miti locali, le architetture dei luoghi di culto hanno incorporato stili differenti, dando vita a una polifonia che riflette la ricchezza e la complessità della fede vissuta.

Uno dei concetti chiave per comprendere la liturgia come spazio di contaminazione teologica è quello di inculturazione. La liturgia, lungi dall’essere un monolite dogmatico, è spesso il risultato di un processo sincretico in cui elementi precristiani, pratiche popolari e nuove sensibilità spirituali trovano posto accanto ai riti istituzionali. Le riforme liturgiche, come quella promossa dal Concilio Vaticano II, hanno rappresentato momenti cruciali di apertura e dialogo: la traduzione dei testi nelle lingue locali, l’inserimento di musiche e simbolismi tipici delle diverse culture, e la partecipazione più attiva dei fedeli, hanno favorito una contaminazione capace di rinnovare e rendere più autentica la celebrazione.

Se la teologia è riflessione sulla fede vissuta, la liturgia rappresenta il laboratorio in cui questa riflessione trova la sua verifica e la sua espressione concreta. Qui si sperimentano nuove forme di preghiera, si ridefiniscono i simboli, si risemantizzano i gesti tradizionali. La contaminazione teologica diventa così il motore di un processo creativo che rinnova la comprensione del mistero cristiano e lo rende accessibile alle generazioni successive. Un esempio emblematico è quello delle liturgie ecumeniche, in cui cristiani di diverse confessioni si ritrovano a celebrare insieme, integrando elementi delle rispettive tradizioni in un rito comune. In questi contesti, la contaminazione non è solo tollerata, ma ricercata, nella consapevolezza che la diversità arricchisce la comunione e apre nuove strade alla ricerca teologica.

Nel mondo attuale, caratterizzato da una crescente mobilità e mescolanza di popoli e culture, la liturgia è chiamata a confrontarsi con l’interculturalità. Le comunità cristiane si trovano spesso a dover integrare persone di origini, lingue e sensibilità molto differenti, interrogandosi su come celebrare una fede comune senza cancellare le identità particolari. In questo senso, la liturgia diventa uno spazio privilegiato di contaminazione teologica, in cui si sperimentano nuove sintesi tra universalità e particolarità, tra tradizione e innovazione. I canti, i simboli, i gesti e persino la disposizione degli spazi celebrativi possono essere ripensati alla luce delle nuove esigenze pastorali, aprendo la strada a una teologia più inclusiva e dialogica.

Naturalmente, la contaminazione teologica in ambito liturgico non è priva di rischi. Il pericolo di una banalizzazione del sacro, di un sincretismo superficiale o di una perdita di coerenza teologica è sempre presente. È compito della comunità, dei pastori e dei teologi discernere di volta in volta quali elementi possano essere integrati senza tradire il nucleo essenziale della fede cristiana. Il dialogo tra le diverse tradizioni deve essere guidato dal rispetto reciproco, dalla conoscenza profonda delle proprie radici e dalla capacità di riconoscere il valore dell’alterità senza temere l’erosione della propria identità.

La liturgia, intesa come spazio di contaminazione teologica, si configura come un laboratorio vivente dove la fede si incarna nella storia, si apre all’incontro e si rinnova. Essa è il luogo in cui la teologia smette di essere mera speculazione astratta per diventare gesto, parola, canto, relazione. In un tempo in cui le identità sembrano chiudersi su se stesse, la liturgia invita alla contaminazione, al dialogo, all’accoglienza dell’altro. In questo movimento, la Chiesa può riscoprire la profondità del proprio mistero e la ricchezza inesauribile del Vangelo, sempre capace di generare nuove forme di bellezza, di comunione e di senso.

La liturgia come incontro: uno spazio dove la teologia incontra la vita concreta delle persone e delle culture.

La contaminazione come risorsa: un processo dinamico che arricchisce la fede e apre nuove strade al dialogo tra tradizione e innovazione.

La responsabilità comunitaria: Il discernimento necessario per integrare senza perdere l’essenziale.

Così, nella trama infinita della liturgia, ogni contaminazione è occasione di crescita, di ascolto e di riscoperta della presenza viva del mistero cristiano nel cuore dell’umanità.

domenica 3 agosto 2025

La teologia dal basso: orizzonti di contaminazione teologica e culturale

 




Verso una nuova comprensione del sacro attraverso l’incontro tra le differenze

Paolo Cugini

 

La teologia dal basso rappresenta uno degli snodi più significativi e innovativi del pensiero teologico contemporaneo. Non si tratta semplicemente di un movimento, ma di una prospettiva metodologica e antropologica che sceglie di partire dalla vita concreta delle persone, dai margini, dalle periferie, per riflettere sul senso del sacro, sull’agire di Dio nella storia, e sulle forme in cui le comunità umane danno voce alle domande ultime dell’esistenza. In questo senso, la teologia dal basso non si limita a rovesciare la prospettiva tradizionale, spesso “dall’alto”, cioè a partire dalla dottrina o dalla gerarchia, ma apre spazi nuovi di contaminazione teologica e culturale, favorendo un dialogo autentico tra visioni, esperienze e linguaggi differenti.

Al cuore della teologia dal basso sta il riconoscimento della pluralità dei soggetti teologici: chiunque, in virtù della propria esperienza, può essere portatore o portatrice di senso e contribuire alla riflessione comune. Si supera così l’idea di una teologia prodotta dal solo magistero o da una ristretta élite, e si valorizza l’intuizione che la verità si costruisca nel confronto, nell’apertura, nell’ascolto reciproco. Una delle conseguenze più rilevanti dell’approccio dal basso è la possibilità, e al tempo stesso la necessità, di entrare in fecondo dialogo con teologie, spiritualità e tradizioni diverse. La contaminazione teologica si nutre di pluralità e di confronto. Riconosce che la fede, come ogni esperienza umana, è influenzata dal contesto storico, sociale e culturale, e che la ricchezza del pensiero teologico sta anche nella sua capacità di farsi attraversare da voci diverse, accogliere prospettive nuove e lasciarsi provocare dalla differenza. La contaminazione teologica non è qui intesa come confusione o svilimento delle radici, ma come arricchimento, come occasione per scoprire nuove dimensioni del mistero. Il confronto tra cristiani provenienti da contesti sociali e culturali differenti, ad esempio, ha portato a una revisione profonda delle categorie teologiche tradizionali, aprendo la strada a nuovi linguaggi, immagini e narrazioni.

Un ambito privilegiato della contaminazione teologica è il dialogo interreligioso. In un mondo sempre più multiculturale e multireligioso, le comunità di fede sono chiamate a confrontarsi non solo per difendere le proprie identità, ma per scoprire nell’altro una risorsa. Il dialogo con l’islam, l’ebraismo, il buddhismo, l’induismo e tante altre tradizioni non è più una scelta opzionale, ma una necessità per costruire ponti di comprensione, rispetto e collaborazione. Il riconoscimento dell’altro, l’accoglienza delle sue domande, la rilettura del proprio patrimonio alla luce di nuove sfide sono tutti elementi di una teologia contaminata. In questo senso, la contaminazione non è un pericolo, ma una risorsa: permette alla teologia di evolversi, di rinnovarsi e di parlare in modo credibile alle donne e agli uomini del nostro tempo.

In America Latina, la contaminazione con le tradizioni religiose indigene ha dato vita a una teologia inculturata, capace di accogliere simboli, miti, riti e cosmovisioni ancestrali senza rinunciare al messaggio evangelico. Similmente, nei contesti afroamericani, la teologia nera ha saputo valorizzare la ricchezza spirituale e culturale delle esperienze di diaspora e resistenza, fondendo elementi cristiani e africani in nuove forme di spiritualità e prassi sociale.

La teologia dal basso, proprio perché parte dai vissuti, si rivela particolarmente attenta alle dinamiche interculturali. L’esperienza religiosa non è mai neutra rispetto al contesto: essa si plasma nella lingua, nei gesti, nelle musiche, nelle narrazioni di ciascun popolo. Aperta all’ascolto delle storie degli altri, la teologia dal basso favorisce la nascita di ambienti di contaminazione culturale, dove le differenze non sono ostacolo ma risorsa. Nei contesti migratori contemporanei, la fede diventa spesso luogo di incontro tra mondi diversi. Le comunità cristiane che accolgono fedeli provenienti da vari continenti si trovano a vivere una pluralità di pratiche, sensibilità e linguaggi. Questo incontro genera tensioni e domande, ma anche inedite forme di comunione, che arricchiscono il volto della Chiesa e invitano a ripensare il senso stesso dell’appartenenza ecclesiale.

La teologia dal basso si caratterizza anche per la capacità di produrre nuovi linguaggi, più vicini alla vita reale, meno legati alla formalità accademica o all’astrazione dottrinale. In molte esperienze, la narrazione, il racconto personale, la poesia, il canto, il rito condiviso diventano strumenti privilegiati per parlare di Dio e dell’umano. In questo senso, la contaminazione culturale non è solo una questione di contenuti, ma anche di forme espressive. La teologia dal basso attinge alle arti, alla letteratura, alla musica popolare e all’immaginario collettivo per dare voce alle domande di senso che emergono dalle periferie esistenziali. In questo modo, la riflessione teologica diventa più accessibile, coinvolgente, partecipata.

Ogni processo di contaminazione porta con sé una dose di rischio: la paura di perdere la propria identità, di smarrire la purezza della tradizione, di diluire il messaggio. Tuttavia, la teologia dal basso invita a superare la logica della difesa e della chiusura, per accogliere invece la dinamica evangelica dell’ospitalità. L’incontro con l’altro e con la differenza non annulla la specificità di ciascuno, ma la rilancia in un orizzonte più ampio, capace di leggere i segni dei tempi. La teologia dal basso, aprendosi alle contaminazioni culturali e teologiche, non rimane confinata nell’ambito religioso, ma assume un ruolo attivo nella trasformazione sociale. Nel dare voce agli oppressi, nel denunciare le ingiustizie e nel proporre nuove forme di convivenza, essa si fa promotrice di cambiamento. Le pratiche di solidarietà, le lotte per i diritti civili, i percorsi di riconciliazione interculturale trovano nella teologia dal basso una solida base teorica e spirituale.

In un mondo sempre più segnato dalla pluralità e dalla complessità, la teologia dal basso si offre come un laboratorio aperto, un cammino condiviso. La sua forza sta proprio nella capacità di contaminarsi, di lasciarsi interrogare e trasformare dall’incontro con l’alterità. In questo percorso, la fede si fa storia, la dottrina si fa narrazione, la Chiesa si fa popolo in cammino. Solo così, forse, si potrà restare fedeli al Vangelo, che è sempre buona notizia per chi sta ai margini, e che invita a costruire comunità dove tutti e tutte possano trovare casa.