Riflessioni su una fede incarnata nella storia delle
persone
Paolo Cugini
Nell’ampio
panorama del pensiero teologico contemporaneo, si fa sempre più strada la
consapevolezza che la teologia non possa più essere costruita solo “dall’alto”,
come riflessione astratta e distante dai bisogni concreti delle persone. La
richiesta di una “teologia dal basso” nasce dall’esperienza delle comunità,
delle periferie, delle storie vissute spesso segnate da marginalità,
esclusione, sofferenza, ma anche da speranza e resistenza. Questa esigenza non
rappresenta semplicemente una moda passeggera nell’ambito accademico o
pastorale, ma scaturisce da un movimento profondo nella storia della fede, del
cristianesimo e delle religioni, verso una rilettura dell’esperienza di Dio a
partire dalla vita reale di chi crede e di chi cerca.
La
teologia “dal basso” si contrappone a una teologia “dall’alto”, incentrata
spesso su sistemi dottrinali e dogmatici, prodotti da élite religiose e
scolastiche, talvolta lontane dalle dinamiche quotidiane delle persone. “Dal
basso” indica un movimento che parte dal popolo, dall’esperienza concreta, e
dalla lettura della Parola in dialogo con la realtà sociale, culturale,
politica ed economica in cui si vive.
Questa
teologia si nutre dei racconti, delle lotte, dei sogni e delle ferite delle
persone, specialmente di chi si trova ai margini: i poveri, le persone escluse,
le vittime delle ingiustizie, le persone LGBTQIA+, le donne. Prende in
considerazione anche quelle che la società dichiara come minoranze, come le
popolazioni indigene, le diverse etnie vittime sterminio, ma anche i senza
tetto, i nomadi, gli zingari. C’è tutto un mondo che vive nel sottosuolo della storia
che viene escluso sistematicamente non solo dalla società che si narra dal
proprio centro, ma anche dalla chiesa, dalle comunità cristiane vittime di una
narrazione teologica. Non si tratta di sostituire una visione all’altra, ma di
integrare la prospettiva della vita vissuta nella riflessione su Dio, sulla
Chiesa, sul senso ultimo dell’esistenza.
La
tradizione biblica stessa mostra come Dio si manifesti spesso a chi si trova
nelle situazioni più difficili: Abramo chiamato dal deserto, Mosè che libera un
popolo schiavo, i profeti che danno voce a chi non ne ha. Il Vangelo di Gesù è
profondamente segnato da incontri con donne e uomini esclusi, ammalati, poveri,
stranieri. La croce di Cristo è la massima espressione di un Dio che si unisce
all'umanità ferita.
Nella
storia della Chiesa, la tensione tra una teologia “ufficiale” e una fede
popolare, vissuta nella concretezza della vita quotidiana, è sempre stata
presente. Basti pensare alle devozioni popolari, ai movimenti di riforma, alle
lotte per la giustizia sociale.
Negli
ultimi decenni, esperienze come la teologia della liberazione in America Latina
hanno reso evidente quanto la riflessione su Dio debba partire dall'esperienza
concreta dei poveri e degli oppressi. Allo stesso modo, le teologie femministe,
quelle queer, le teologie indigene e post-coloniali ci ricordano che ci sono
molte voci, spesso taciute, che hanno qualcosa da dire sul mistero di Dio.
Viviamo
in un’epoca attraversata da crisi multiple: crisi sociale, economica,
ambientale e anche una profonda crisi di senso. In molte parti del mondo le
istituzioni religiose sembrano lontane dalle reali esigenze delle comunità. In
questo scenario, una teologia dal basso diventa non solo opportuna, ma urgente.
Essa permette una rinnovata credibilità dell’annuncio cristiano, perché pone la
persona – con la sua storia, le sue sofferenze e speranze – al centro
dell’attenzione. Attraverso l’ascolto reale delle domande, delle inquietudini e
delle attese che emergono dalla vita concreta, la riflessione teologica si fa
più umana, più accessibile e più profetica. Una teologia dal basso offre
inoltre uno spazio di riconoscimento alle esperienze di chi, per motivi di
origine, classe sociale, etnia, orientamento sessuale o condizione economica, è
stato storicamente escluso dai processi decisionali e dalla produzione
teologica stessa.
Le
esperienze di teologia dal basso hanno già prodotto frutti straordinari:
maggiore attenzione all’inclusione, rilettura della Scrittura con occhi nuovi,
dialogo interreligioso e interculturale, impegno per la giustizia sociale e per
la pace. Si sono sviluppate prassi pastorali più attente alla partecipazione di
tutte e tutti, valorizzando la ricchezza di esperienze differenti. Questa
prospettiva non abbandona la ricerca della verità teologica, ma la radica
nell’esperienza della comunità, nella condivisione, nel servizio concreto,
nell’ascolto reciproco. In questo modo, la teologia smette di essere solo
parola, diventando gesto, azione e scelta quotidiana.
Se
da un lato la teologia dal basso apre nuovi orizzonti, dall’altro comporta
delle sfide. La prima è evitare la frammentazione: ascoltare molteplici voci è
ricchezza, ma richiede anche un lavoro di sintesi e discernimento. Inoltre,
bisogna fare attenzione a non contrapporre in maniera radicale “alto” e
“basso”, ma piuttosto alimentare un dialogo fecondo tra riflessione accademica
e vita quotidiana. Un’altra sfida è il rischio del relativismo: porre al centro
l’esperienza potrebbe portare a una dispersione di significato. Ma una teologia
dal basso che si fonda sulla Scrittura, sulla tradizione viva e sul
discernimento comunitario può mantenere saldo il proprio orientamento.
Guardando
avanti, la teologia dal basso è chiamata a essere sempre più dialogica,
plurale, attenta ai segni dei tempi. È una teologia che ascolta il grido della
terra e dei poveri, come ricordava da Papa Francesco. È capace di assumere le
domande delle nuove generazioni, delle minoranze, dei migranti, dei popoli
indigeni, delle donne e delle persone LGBTQIA+. Sarà sempre più importante
formare comunità capaci di discernimento e di ascolto, dove la riflessione su
Dio nasca dal confronto e dall’esperienza condivisa, non solo dall’autorità o
dalla dottrina. Una teologia dal basso non è una moda, né una semplice opzione
tra le tante: è la risposta a un bisogno profondo delle nostre comunità e
società. È un modo per ridare significato e forza all’annuncio cristiano, per
costruire Chiese e società più giuste, aperte e accoglienti. Solo ascoltando
chi cammina ai margini della storia, la teologia può davvero diventare parola
viva, capace di cambiare il mondo.