domenica 10 giugno 2018

TABATINGA: UNA PARROCHIA DI FRONTIERA





La comitiva reggiana pronta per la missione



Mons Adolfo, vescovo di Tabatinga



7-9 giugno 2018

Paolo Cugini
Tabatinga è una parrocchia di frontiera nel senso letterale della parola. Confina, infatti, con Perù e Colombia, per cui in pochi metri una persona può calpestare i terreni dei tre paesi citati. Lo abbiamo fatto in questi due giorni di tour de force seguendo Mons Adolfo, un saveriano, vescovo da quattro anni, che ci ha condotti a visitare le comunità sia della città che quelle situate lungo il fiume. Ma andiamo con ordine.

Partenza alla mattina con la barca della diocesi (da lui chiamata lancia, perché non è una barca a remi, ma a motore) verso le comunità ribeirinhe, poste cioè sulla riva del fiume, abitate per lo più da popolazioni indigene. Mentre cerchiamo di raggiungere le comunità, Mons Adolfo ci dice come in realtà le comunità che andremo a visitare, sono ad un livello di evangelizzazione molto superficiale. Da una parte, c’è la difficoltà di raggiungerle, non tanto per le distanze, quanto per la scomodità e il costo. Visitare le comunità con la lancia costa molto, perché ci vuole molta benzina. E’ questo un aspetto non indifferente da tener in conto. Dall’altra, c’è il fatto che per poter seminare il Vangelo e accompagnarlo affinché possa sorgere una comunità che cammini con le proprie gambe, non si può passare una volta all’anno, come succede ora, per celebrare la messa del patrono.

In realtà – continua Mons Adolfo – da quando sono stato nominato vescovo di questa diocesi, vale a dire da quattro anni, rifletto molto sul significato della realtà della prima evangelizzazione. Solo adesso capisco i contenuti del libri che leggevo quando studiavo teologia. La prima evangelizzazione ha un punto di partenza fondamentale: essere presenti. E’ impossibile seminare il Vangelo senza questo primo dato di fatto: essere presenti, toccare la realtà. Solo toccando la realtà possiamo ascoltare Dio che ci parla”. E’ da questa presa di coscienza che il Vescovo Adolfo di 62 anni sta strutturando la sua giovane diocesi. Nelle comunità che abbiamo visitato in questi due giorni, l’idea di fondo era la stessa: trovare dei missionari disposti a vivere in un territorio, a contatto con la gente, per accompagnare l’annunci del Vangelo sino al punto di generare dei responsabili locali. Del resto, per quello che abbiamo potuto vedere, quello che ci comunicava a parole, lo abbiamo toccato con mano nella sua persona. Uomo semplice, sempre sorridente, con uno sguardo che sembra sempre proteso al futuro, a contatto stretto con le persone che incontra: un vero pastore con l’odore delle sue pecore. “Il problema è trovare gente disposta a spendersi per il Signore qui, tra questa gente”. Ripensando al suo stile e alle sue parole, è evidente che ciò che ci ha fatto vedere ed ascoltare non è stato a caso.

Comunità ribeirinha, sulla riva del fiume

Siamo così giunti nella comunità chiamata Città Nuova. Mentre arrivavamo si vedevano da lontano gli uomini della comunità intenti a sistemare la scalinata – chiamiamola così – dissestata a causa delle piogge, per permetterci di salire. Volti sorridenti ci hanno accolto con calore. La comunità Città Nuova è frutto di uno scorporamento da una comunità più numerosa, chiamata Feijoal, la cui popolazione, per la maggior parte evangelica e della comunità denominata Cruzada, rendeva la vita insostenibile ai cattolici. Da quello che si è potuto capire, autrice di questo esodo della ventina di famiglie di cui è attualmente composta Città Nuova, è stata una consacrata italiana, che ha vissuto con loro per circa trent’anni e il cui nome è suor Felicia. Mentre la comitiva parlava, ci siamo avvicinati a quella che era la residenza di suor Felicia. Una casetta come le altre, sobria, di legno. In quella che doveva essere la sua camera da letto, si trovava ancora la chitarra impolverata e, sugli scaffali in cui s’intravedevano alcuni libri in italiano, un quaderno scritto di suo pugno, in cui prendeva nota degli incontri che teneva con i membri della comunità. La storia di questa suora, ritornata in Italia da circa vent’anni e di cui nessuno sa più nulla, profuma di Vangelo. Ha speso gli anni migliori della sua vita per un gruppetto di famiglie di indios, in un villaggio sperduto dell’Amazzonia. Mentre parlavamo ci siamo chiesti più volte: come ha fatto a vivere qui da sola per trent’anni? Che fede aveva? Quanto amore a Gesù ci vuole per vivere in modo così radicale e silenzioso, senza nessuna ostentazione, anzi? Vita nascosta, semplice, condivisa con un popolo fuori dal mondo, per moltissimi anni senza energia elettrica. Suor Felicia è un esempio di Vangelo incarnato, che passa agli altri attraverso l’esempio personale, più che con le parole. Ci siamo poi spostati alla scuola della comunità. Al nostro arrivo il maestro ci ha accolto invitando i bambini a cantare. Ancora alcune battute con gli uomini della comunità per poi riprendere il nostro cammino.

La casa di suor Felicia

Alcune abitazioni della comunità Città Nuova


Siamo così giunti alla comunità di Feijoal, quella da cui Città Nuova si è divisa. Comunità piuttosto numerosa. All’arrivo molti uomini erano intenti a sistemare una casa in un mutirao, vale a dire, un lavoro comunitario gratuito. L’accoglienza è stata piuttosto gelida anche perché, come ci spiegava Mons Adolfo, la maggior parte della comunità appartiene a gruppi religiosi evangelici. A dire il vero, il maggior gruppo religioso della comunità si chiama Cruzada, ed è caratterizzato da una croce rossa situata dinanzi alla cappella. Sono circa 50 le comunità di questo gruppo religioso sparse nella regione di Tabatinga. Loro caratteristica è uno stile di vita piuttosto rigido, tipico dei movimenti di riforma, dalla decima obbligatoria. Il fondatore si chiamava Francesco da Cruz, un laico predicatore, in rotta con la chiesa cattolica, che predicava uno stile di vita di ritorno alle origini. Dopo la sua morte il gruppo religioso quasi si estinse, per ritornare alla ribalta negli ultimi dieci anni grazie all’azione di alcuni suoi seguaci. Secondo il Vescovo Adolfo, se ci fosse una presenza più ferma e costante della Chiesa Cattolica nelle comunità, i fedeli di questo gruppo religioso che, a suo dire, vive di una dottrina piuttosto confusa, in poco tempo ritornerebbero nella Chiesa Cattolica.

Arriviamo così verso le 12, sempre in barca sul fiume Solimoes, nella città di Benjamin Costant, che dista circa 27 Km da Tabatinga e che appartiene alla Diocesi retta da Mons Adolfo. Qui siamo ospitati in casa dei francescani, i responsabili della parrocchia, che ci accolgono in modo davvero francescano, cioè molto bene e offrendoci il pranzo. Il clima socievole ha creato le condizioni per scambiarci le prime impressioni di questo viaggio davvero straordinario, tra le comunità indigene poste sul fiume Solimoes. Il Vescovo Adolfo continua a condividere la sua idea della necessità di una presenza costante, senza la quale diviene difficile costruire comunità.

Nel pomeriggio ci spostiamo sul fiume nella zona del Perù che, di conseguenza, non è sotto la giurisdizione della diocesi di Tabatinga. Il luogo in cui attracchiamo si chiama Islandia. La comunità è posta sulle palafitte, anche le strade sono un intreccio di palafitte e ci conducono alla casa in cui vivono quattro consacrate di tre congregazioni diverse e don Cesare. E’ da più di un anno che è iniziata questa esperienza di frontiera, in una regione molto difficile da tanti punti di vista. La regione conta con circa 40 comunità indigena poste sulle sponde del fiume. Comunità che, a detta di Suor Emilia e suor Zelir, che ci accolgono, sono da tempo abbandonate. “Il nostro lavoro pastorale è un lavoro di équipe. Tutte le settimane ci troviamo noi quattro suore e don Cesare per pianificare l’azione pastorale, che consiste in uscite per le comunità poste sulla riva del fiume. A volte rimaniamo fuori anche una decina di giorni. Non sempre abbiamo un riscontro positivo nel lavoro che realizziamo. E’ successo che, dopo la visita in una comunità in cui ci siamo fatti conoscere, visitando le famiglie e parlando con la gente, sono arrivati due leader di un gruppo pentecostale che ci hanno caldamente invitati ad andarcene subito. Abbiamo fatto notare che era già sera e che è pericoloso andare in barca di notte. Grazie all’intervento di qualcuno della comunità, ci hanno permesso di rimanere a dormire con la promessa che ce ne saremmo andate alla mattina presto”.

Ha ragione suor Emilia, una giovane suora che non dovrebbe arrivare a quarant’anni, a sostenere che non tutti possono reggere questo stile di vita. “Qui è la missione allo stato puro. Se uno è abituato a cercare soddisfazioni personali nel lavoro pastorale, non può venire qui. Le motivazioni non possono che essere personali: è il solo ed esclusivo amore del Signore. Chi non percepisce la sua presenza non è adatto a questa missione di frontiera. Questo è un luogo di missione e qui uno dev’essere ben strutturato affettivamente e psicologicamente”.

La loro casa sobria, essenziale, con al centro la cappella per la preghiera, dice di una chiamata e di un dono che viene da altrove. “Qui non ci sono soddisfazioni – ripete suor Emilia -: la motivazione dev’essere personale”. Qui non si gioca al piccolo missionario: si fa sul serio. Mentre ci porta a visitare la casa, le chiedo se si ritrova nella proposta di Papa Francesco e suor Emilia, con il sorriso sulle labbra risponde: è la nostra fonte d’ispirazione. La comunità inter-religiosa è posta in mezzo alle palafitte, casa tra le case, uguale alle abitazioni di tutti, con la porta sempre aperta, proprio come piace a Francesco. Un esempio così limpido d’incarnazione del Vangelo si trova raramente. Anche qui, come nel caso di suor Felicia della comunità Città Nuova, la vita nascosta, silenziosa e invisibile è l’essenza della loro scelta. Nascoste al mondo e visibili solo a Dio.

La cappella della casa di suor Emilia e suor Zelir

La comunità Islandia dove vivono suor Emilia e suor Zelir

Alla sera, dopo cena, messa in un quartiere della città, in occasione della novena della festa del patrono: san Marcellino, fondatore dei Maristi. La comunità vede infatti, la presenza di un gruppetto di quattro consacrati dell’ordine dei Maristi. La celebrazione si svolge con le caratteristiche tipiche delle comunità di base in America Latina. Prima fra tutte l’accoglienza. Mentre entriamo, alcune persone della comunità ci accolgono con il sorriso e il saluto. Oltre a ciò, il leader della comunità c’introduce alla celebrazione durante la quale ci saranno anche cinque battesimi, con un breve commento. Al momento dell’omelia, alla presenza di cinque sacerdoti e il vescovo locale, a prendere la parola è una donna, una consacrata marista. Vale la pena sottolineare questo episodio, perché dice di uno stile di Chiesa. Il vescovo ha rispettato la programmazione della comunità locale, intervenendo con le sue parole solamente alla fine dell’omelia della donna consacrata. Altri elementi significativi della celebrazione: la cura per il canto guidato da due uomini che suonavano la chitarra e la festina finale fuori della chiesetta.

Omelia della donna consacrata davanti al vescovo e a cinque preti oltre che all'assemblea


Questa mattina visita ad alcune comunità dei quartieri della città di Tabatinga. Ci siamo fermati a vistare la chiesa di san Giuseppe, posta in uno dei tre settori in cui è stata suddivisa la città. Dietro alla struttura della chiesa e attaccata ad essa, Mons Adolfo ci ha mostrato gli spazi con le stanze di quella che potrebbe essere la casa parrocchiale dei missionari che sta aspettando per abitare nel quartiere. Attualmente, infatti, non c’è nessuno. Il quartiere è molto ampio. Vicino ci sono tre occupazione abusive di terre che la popolazione ha preso per costruirci le abitazioni. Le strade del quartiere non sono asfaltate e, a causa delle piogge, sono disastrate e piene di buche. Il vescovo non nasconde l’idea che la nuova équipe di Reggio Emilia potrebbe iniziare una missione proprio in questo quartiere, occupandosi anche delle comunità limitrofe del settore San Raffaele.

Chiesa di san Giuseppe nel settore san Raffaele della città di Tabatinga


Mentre ci porta all’aeroporto per il ritorno a Manaus, Mons Adolfo non nasconde la sua soddisfazione. “Avevo un po’ timore di questa visita, anche perché in due giorni non sapevo bene cosa farvi vedere. Anche ieri mattina era iniziata con la pioggia e poi c’è stata una giornata fantastica. Sono proprio contento di questi due giorni. Adesso avete tutti gli elementi per valutare la missione che potreste iniziare nella diocesi di Tabatinga”.
La prossima settimana sarà lunga. Avremo da visitare le altre tre diocesi sempre mettendo tutto nelle mani del Signore affinché sia Lui a guidarci e così, davvero, si compia la sua volontà.


2 commenti: