mercoledì 6 giugno 2018

Vangelo e Cultura nella riflessione di Papa Francesco




Paolo Cugini

    La comunità che esce per evangelizzare incontra nel suo cammino realtà culturali differenti. Sul rapporto Vangelo e cultura Papa Francesco dedica pagine e riflessioni significative sulle quali vale la pena soffermarsi[1]. Il Papa è consapevole della diversità dell’annuncio del Vangelo in un contesto in cui lo stesso è già stato seminato e sta portando frutti, e altri contesti in cui il Vangelo non è mai arrivato o, se arrivato, ha subito resistenze e rifiuti. Le culture che sono state evangelizzate posseggono risorse tali di Vangelo che non si possono identificare con la mera somma dei suoi membri[2]. «Una cultura popolare evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente» (EG 68)[3]. Nel percorso di evangelizzare le culture, nei paesi di tradizione cattolica si tratta di accompagnare e rafforzare il cammino intrapreso. Papa Francesco è ben consapevole del processo di secolarizzazione in atto nel mondo Occidentale, per questo, in queste situazioni l’invito consiste nel pensare e favorire nuovi processi di evangelizzazione delle culture. Quando si tratta di questi processi d’inculturazione[4] non si può avere fretta. Inculturazione, infatti, significa non solo cogliere il tesoro già presente in ogni cultura per l’azione dello Spirito Santo che anticipa e accompagna l’annuncio del Vangelo, ma anche valorizzarlo per coglierne le novità da applicare in ogni campo della spiritualità. Occorre avere cura e dialogare con ogni forma di cultura popolare incontrata nel cammino, perché: «oltre a costituire il sostrato che custodisce l’autocomprensione della gente, sono un vero soggetto di evangelizzazione»[5].

    Occorre mettere in rilievo anche le resistenze e il processo di purificazione degli elementi negativi che ogni cultura porta con sé. Per Papa Francesco nel mondo Occidentale la cultura deve ancora purificarsi di alcuni elementi negativi che non solo non corrispondono la Vangelo, ma anche al rispetto della dignità dell’uomo e della donna. Tra questi il Papa segnala il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, le superstizioni e le credenze fatalistiche. Il Vangelo quando è seminato in una cultura non produce lo stesso modello in tutte le culture. L’inculturazione non è un processo di riduzione verso l’uniformità e la massificazione. Infatti, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale. A questo proposito Francesco cita un passaggio della Novo Millennio ineunte al numero 40, che vale la pena ascoltare: «Il cristianesimo restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico, e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui esso è accolto e radicato« (EG 116).
    Se la diversità culturale era ben visibile nella Chiesa dei primi secoli, diversità che si esprimeva anche nella diversità di liturgie[6], non sempre la stessa diversità è stata rispettata. Una certa tendenza ad uniformizzare le culture incontrate dal Vangelo è emersa nel corso dei secoli nella storia della Chiesa. Tenendo conto della critica proveniente soprattutto dal continente Latinoamericano, molto sensibile al rispetto delle diversità culturali per la presenza di differenti culture esistenti sul territorio, Francesco sostiene che:

 Nell’evangelizzazione di nuove culture o di culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica. Il messaggio che annunciamo presenta sempre un qualche rivestimento culturale, però a volte nella Chiesa cadiamo nella vanitosa sacralizzazione della propria cultura, e con ciò possiamo mostrare più fanatismo che autentico fervore evangelizzatore (EG 117).

    E’ esplicito in questo passaggio, il riferimento alle tesi sostenute dalla Teologia della Liberazione[7] che spesso hanno accusato la curia romana di identificare il messaggio kerygmatico con le forme culturali greche dei primi secoli, utilizzate per esprimere il nucleo della fede cattolica. Joseph Ratzinger ha sempre sostenuto che l’incontro del Vangelo con la filosofia greca è stato provvidenziale e non casuale o accidentale[8]. E’ stato con gli strumenti della filosofia greca che, nei primi secoli, i Padri hanno potuto strutturare gli articoli del Credo e, questo dato, secondo la riflessione di Ratzinger. non può essere considerato casuale, ma provvidenziale.  Secondo i teologi della liberazione l’epoca Patristica ha fornito un bellissimo esempio d’inculturazione del Vangelo[9], ma il Kerygma quando è annunciato in un contesto culturale, esige di essere espresso con le categorie di quella specifica cultura. Papa Francesco, nel testo sopra riportato, sembra sostenere queste tesi, aprendo quindi lo spazio nella Chiesa a forme diverse di esprimere le verità di fede, a partire dalla cultura che il Vangelo incontrata. In questa prospettiva, Evangelii Gaudium cita un passaggio dell’esortazione post-sinodale di Papa Giovanni Paolo II Ecclesia in Oceania, quando sostiene che:

 I vescovi dell’Oceania hanno chiesto che lì la Chiesa sviluppi una comprensione e una presentazione della verità di Cristo partendo dalle tradizioni e dalle culture della regione e hanno sollecitato tutti i missionari a operare in armonia con i cristiani indigeni per assicurare che la fede e la vita della Chiesa siano espresse in forme legittime appropriate a ciascuna cultura (EG 118).

    Questo passaggio dell’Evangelii Gaudium è in sintonia con il discorso realizzato da Francesco nel gennaio 2018 nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia[10]. In quella circostanza il Papa sosteneva con non è possibile alcun cammino di evangelizzazione senza il rispetto delle culture incontrate. Si può entrare nelle culture altre solamente nel modo in cui Mosè, sollecitato da JHWH, si è avvicinato al roveto ardente: togliendosi i sandali. Riconoscere la bellezza e della cultura altra, ringraziando per il contributo apportato, è il primo passo per poter annunciare la gioia del Vangelo con umiltà e attenzione. Significative e, allo stesso tempo, indicative di un percorso che la Chiesa dovrebbe compiere ogni volta che incontra sul proprio cammino un popolo con una propria cultura specifica, sono le parole iniziali nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia:

Grazie per la vostra presenza e perché ci aiutate a vedere più da vicino, nei vostri volti, il riflesso di questa terra. Un volto plurale di un’infinita varietà e di un’enorme ricchezza biologica, culturale e spirituale. Quanti non abbiamo queste terre, abbiamo bisogno della vostra saggezza e della vostra conoscenza per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione[11].

    C’è, dunque, nelle parole del Papa, lo sforzo di creare empatia con la cultura del popolo incontrato, un aggancio che permetta ad un certo punto del dialogo di annunciare la novità del Vangelo. Questo sforzo empatico deve poter proseguire seguendo l’esempio del discorso di Paolo all’Areopago di Atene quando, ad un certo punto del discorso cita una poesia della cultura greca del popolo al quale stava dirigendo il discorso. Lo stesso compie Papa Francesco nel discorso citato ai popoli dell’Amazzonia quando, ad un certo punto, cita uno degli aspetti più significativi della cultura di una regione dell’Amazonia che si trova nella regione Andina, vale a dire il: SUMAK KAWSAY, che tradotto significa Ben vivere. Questa proposta culturale, ripresa in modo particolare dalla costituzione boliviana, è la concretizzazione dell’ideale di armonia cosmica, comunitaria e personale, in cui il valore della vita è il dono maggiore che si deve ricercare non solo per le persone, ma anche per le piante, gli animali e per la propria terra. In questa proposta, l’intercambio tra le persone non si misura attraverso i benefici economici prodotti, ma per la crescita delle relazioni umane, che ci aiutano a diventare più fratelli e sorelle[12]. L’aggancio con elementi specifici della cultura con cui si sta dialogando, permette al Papa di muoversi in due direzioni complementari. La prima, la richiesta agli stati che si implementino politiche interculturali che tengano conto della realtà e della visione del cosmo dei popoli, «formando professionisti della loro stessa etnia che sappiano affrontare la malattia secondo la propria visione del cosmo»[13]. Il discorso di Francesco riprende in diverse circostanze appelli come questo, che cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto e allo sviluppo di quegli aspetti fondamentali della cultura dei popoli amazzonici che ne permettono la sopravvivenza. In secondo luogo, il richiamo finale di Francesco è sui valori evangelici e sul ruolo della Chiesa in questa specifica cultura.
Cari fratelli dell’Amazzonia, quanti missionari e missionarie si sono impegnati con i vostri popoli e hanno difeso le vostre culture! Lo hanno fatto ispirati dal Vangelo. Anche Cristo si è incarnato in una cultura, quella ebrea e, a partire da quella, si è donato a noi come novità per tutti i popoli in modo che ciascuno, a partire dalla propria identità, si senta autoaffermato in Lui […] Ogni cultura e ogni visione del cosmo che accoglie il Vangelo arricchisce la Chiesa con la visione di una nuova sfaccettatura del volto di Cristo. Abbiamo bisogno che i popoli originari plasmino culturalmente le chiese locali amazzoniche[14].

    Abbiamo analizzato e presentato il discorso del Papa ai popoli dell’Amazzonia perché, a nostro avviso, rappresenta una concretizzazione del delicato rapporto tra Vangelo e cultura espresso nell’Evangelii Gaudium. E’ alla fine che Francesco annuncia il Vangelo, dopo essersi, per così dire, aperto il varco con una serie di agganci culturali con i popoli locali, richiamando l’attenzione su quanto andava dicendo. Il Papa si è sporcato le mani, si è immerso nella cultura del popolo per farsi riconoscere. Non c’è stato un discorso cattedratico, con l’esplicitazione di una dottrina e la richiesta di ascoltare e basta. Al contrario, quello che il Papa ha presentato è il cammino del Vangelo che apre le porte dei cuori e delle coscienze creando delle sintonie, facendo appello alla comune umanità[15]. Solo incarnandosi, che in questo caso specifico significa conoscere la cultura dell’altro, è possibile aprire i cuori all’annuncio del Vangelo, anche nella consapevolezza che non è detto che il metodo abbia successo, come del resto è accaduto nel caso del discorso di Paolo all’Areopago di Atene citato sopra.
    La comunità in uscita non può, dunque esimersi di mettersi in ascolto delle culture, degli stili di vita, delle espressioni esistenziali degli interlocutori che incontra nel cammino e ai quali desidera annunciare con gioia la Buna novella. E’ un modo per ricordarsi che lo Spirito Santo è sempre all’opera e continuamente ci precede. Si tratta allora, del delicato lavoro di ascolto per non correre il rischio di considerare negativo ciò che lo Spirito ha già operato di buono nelle culture, in quel processo frettoloso che vuole semplicemente impiantare qualcosa, senza prima prendersi il tempo di accompagnare, ascoltare e valorizzare ciò che di buono incontriamo.



[1] Molto interessante, a questo proposito, la prolusione che mons. Gianfranco Ravasi ha tenuto alla Facoltà Teologica del Triveneto il 28 marzo del 2018, in occasione del Dies academicos. Si trova in: http://www.fttr.it/wp-content/uploads/2017/03/Fttr-dies2017-RAVASI.pdf. Sul tema Vangelo e Cultura di Papa Francesco valgono le citazioni riportate nel paragrafo della Chiesa Popolo di Dio

[2] Valgono a questo proposito, le profonde riflessioni di Francesco ancora sul Vescovo Toribio il quale, nelle sue visite pastorali, volle arrivare non solo all’altra riva geografica, ma anche culturale. “Fu così che promosse on molti mezzi un’evangelizzazione nella lingua nativa. Con il terzo Concilio di Lima dispose che i catechismi fossero tradotti in quechua e in aymara. Spinse il clero a conoscere e studiare la lingua dei loro fedeli per poter amministrare i sacramenti in modo comprensibile” (ivi, n. 2).
[3] Lo stesso concetto Francesco lo ribadisce nel discorso ai partecipanti alla plenaria del pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione del 29 settembre 2017, in cui afferma che: “Da ogni popolo verso cui andiamo emerge una ricchezza che la Chiesa è chiamata a riconoscere e valorizzare per portare a compimento l’unità di tutto il genere umano di cui è segno e sacramento (cfr. Lumen Gentium 1) […] La ricchezza che proviene alla Chiesa dalla molteplicità di buone tradizioni che i singoli popoli possiedono è preziosa per verificare l’azione della grazia che apre il cuore ad accogliere l’annuncio del Vangelo”

[4] Cfr. in modo particolare il documento della Commissione Teologia Internazionale, Fede e inculturazione, 1989. Il testo italiano si trova in Civiltà Cattolica 140 (1989), I,158-177. Sempre sul tema interessanti anche le riflessioni del gesuita brasiliano MIRANDA, M.F., Inculturazione della fede. Un approccio teologico, Queriniana, Brescia 2002
[5] Dal discorso di Papa Francesco ai nuovi vescovi ordinati nel corso dell’ultimo anno del 14 settembre 2017: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/september/documents/papa-francesco_20170914_nuovi-vescovi.html

[6] Cfr. in modo particolare: E., MAZZA, La mistagogia. Le catechesi liturgiche della fine del IV secolo e il loro metodo, Edizioni Liturgiche, Roma 1989
[7] Cfr. in modo particolare: J.M.,VIGIL, «Il paradigma pluralista e i compiti della teologia. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo», in Concilium 1 (2007) 41-51; L. BOFF, Il Cristo cosmico è più grande di Gesù di Nazaret?, in Concilium 1 (2007) 74-83
[8] Cfr. J., RATZINGER,  Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Ed. Cantagalli, Siena 2003
[9] Lo sostiene, tra gli altri, anche R., CANTALAMESSA, Dal Kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei Padri, Vita e Pensiero, Milano 2006
[11] Ivi, p. 3
[12] Sul concetto di Ben vivere cfr.: A., ACOSTA, «El “buen vivir” para la construcción de alternativas», Conferencia en el Encuentro Latinoamericano del Foro Mundial de Alternativas, 2008; BENALCAZAR,C., El buen vivir, más allá del desarrollo: la nueva perspectiva constitucional, 2008.06.11, en: América Lati tina en Movimiento, ALAI. [http://alainet.org/active/24609&lang=es]; O.,SALAZAR,  El principo del buen vivir o Sumak Kawsay como fundamento para el decrecimiento económico, in: Cuadernos de Filosofía Latinoamericana, Vol. 36 / No. 113 / 2015 / pp. 83-99; HOUTART, F., «El concepto de sumak kawsai (buen vivir) y su correspondencia con el bien común de la humanidad», in: ALAI, América Latina en Movimiento 2011-06-02, http://www.dhl.hegoa.ehu.es/ficheros/0000/0738/15._El_concepto_de_sumak_kawsai.pdf

[13] Ivi, p. 3
[14] Ivi, p. 5
[15] Lo stile di Papa Francesco presentato in questo contesto, mi sembra molto in sintonia con lo stile dialogico del Concilio Vaticano II così come lo presenta il teologo Theobald. Non a caso l’autore, nel primo capitolo del libro, fa riferimento proprio a Papa Francesco sulla questione dello stile. Cfr. C., Theobald , L’avvenire del Concilio. Nuovi approcci al Vaticano II, cit. p. 31

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