Paolo Cugini
La comunità che esce per evangelizzare
incontra nel suo cammino realtà culturali differenti. Sul rapporto Vangelo e
cultura Papa Francesco dedica pagine e riflessioni significative sulle quali
vale la pena soffermarsi[1]. Il Papa è consapevole
della diversità dell’annuncio del Vangelo in un contesto in cui lo stesso è già
stato seminato e sta portando frutti, e altri contesti in cui il Vangelo non è
mai arrivato o, se arrivato, ha subito resistenze e rifiuti. Le culture che
sono state evangelizzate posseggono risorse tali di Vangelo che non si possono
identificare con la mera somma dei suoi membri[2]. «Una cultura popolare
evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo
sviluppo di una società più giusta e credente» (EG 68)[3]. Nel percorso di
evangelizzare le culture, nei paesi di tradizione cattolica si tratta di
accompagnare e rafforzare il cammino intrapreso. Papa Francesco è ben
consapevole del processo di secolarizzazione in atto nel mondo Occidentale, per
questo, in queste situazioni l’invito consiste nel pensare e favorire nuovi
processi di evangelizzazione delle culture. Quando si tratta di questi processi
d’inculturazione[4]
non si può avere fretta. Inculturazione, infatti, significa non solo cogliere
il tesoro già presente in ogni cultura per l’azione dello Spirito Santo che
anticipa e accompagna l’annuncio del Vangelo, ma anche valorizzarlo per coglierne
le novità da applicare in ogni campo della spiritualità. Occorre avere cura e
dialogare con ogni forma di cultura popolare incontrata nel cammino, perché: «oltre a costituire il
sostrato che custodisce l’autocomprensione della gente, sono un vero soggetto
di evangelizzazione»[5].
Occorre mettere in rilievo anche le
resistenze e il processo di purificazione degli elementi negativi che ogni
cultura porta con sé. Per Papa Francesco nel mondo Occidentale la cultura deve
ancora purificarsi di alcuni elementi negativi che non solo non corrispondono
la Vangelo, ma anche al rispetto della dignità dell’uomo e della donna. Tra
questi il Papa segnala il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, le
superstizioni e le credenze fatalistiche. Il Vangelo quando è seminato in una
cultura non produce lo stesso modello in tutte le culture. L’inculturazione non
è un processo di riduzione verso l’uniformità e la massificazione. Infatti, il
cristianesimo non dispone di un unico modello culturale. A questo proposito
Francesco cita un passaggio della Novo
Millennio ineunte al numero 40, che vale la pena ascoltare: «Il cristianesimo restando
pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico, e alla
tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei
tanti popoli in cui esso è accolto e radicato« (EG 116).
Se la diversità culturale era ben visibile
nella Chiesa dei primi secoli, diversità che si esprimeva anche nella diversità
di liturgie[6],
non sempre la stessa diversità è stata rispettata. Una certa tendenza ad
uniformizzare le culture incontrate dal Vangelo è emersa nel corso dei secoli
nella storia della Chiesa. Tenendo conto della critica proveniente soprattutto
dal continente Latinoamericano, molto sensibile al rispetto delle diversità
culturali per la presenza di differenti culture esistenti sul territorio,
Francesco sostiene che:
Nell’evangelizzazione di nuove culture o di
culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non è indispensabile
imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con
la proposta evangelica. Il messaggio che annunciamo presenta sempre un qualche
rivestimento culturale, però a volte nella Chiesa cadiamo nella vanitosa
sacralizzazione della propria cultura, e con ciò possiamo mostrare più fanatismo
che autentico fervore evangelizzatore (EG 117).
E’ esplicito in questo passaggio, il
riferimento alle tesi sostenute dalla Teologia della Liberazione[7] che spesso hanno accusato
la curia romana di identificare il messaggio kerygmatico con le forme culturali
greche dei primi secoli, utilizzate per esprimere il nucleo della fede
cattolica. Joseph Ratzinger ha sempre sostenuto che l’incontro del Vangelo con
la filosofia greca è stato provvidenziale e non casuale o accidentale[8]. E’ stato con gli strumenti
della filosofia greca che, nei primi secoli, i Padri hanno potuto strutturare
gli articoli del Credo e, questo dato, secondo la riflessione di Ratzinger. non
può essere considerato casuale, ma provvidenziale. Secondo i teologi della liberazione l’epoca Patristica
ha fornito un bellissimo esempio d’inculturazione del Vangelo[9], ma il Kerygma quando è
annunciato in un contesto culturale, esige di essere espresso con le categorie
di quella specifica cultura. Papa Francesco, nel testo sopra riportato, sembra sostenere
queste tesi, aprendo quindi lo spazio nella Chiesa a forme diverse di esprimere
le verità di fede, a partire dalla cultura che il Vangelo incontrata. In questa
prospettiva, Evangelii Gaudium cita un passaggio dell’esortazione post-sinodale
di Papa Giovanni Paolo II Ecclesia in Oceania, quando sostiene che:
I vescovi dell’Oceania
hanno chiesto che lì la Chiesa sviluppi una comprensione e una presentazione
della verità di Cristo partendo dalle tradizioni e dalle culture della regione
e hanno sollecitato tutti i missionari a operare in armonia con i cristiani
indigeni per assicurare che la fede e la vita della Chiesa siano espresse in
forme legittime appropriate a ciascuna cultura (EG 118).
Questo passaggio dell’Evangelii Gaudium è
in sintonia con il discorso realizzato da Francesco nel gennaio 2018
nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia[10]. In quella circostanza il
Papa sosteneva con non è possibile alcun cammino di evangelizzazione senza il
rispetto delle culture incontrate. Si può entrare nelle culture altre solamente
nel modo in cui Mosè, sollecitato da JHWH, si è avvicinato al roveto ardente:
togliendosi i sandali. Riconoscere la bellezza e della cultura altra,
ringraziando per il contributo apportato, è il primo passo per poter annunciare
la gioia del Vangelo con umiltà e attenzione. Significative e, allo stesso
tempo, indicative di un percorso che la Chiesa dovrebbe compiere ogni volta che
incontra sul proprio cammino un popolo con una propria cultura specifica, sono
le parole iniziali nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia:
Grazie
per la vostra presenza e perché ci aiutate a vedere più da vicino, nei vostri
volti, il riflesso di questa terra. Un volto plurale di un’infinita varietà e
di un’enorme ricchezza biologica, culturale e spirituale. Quanti non abbiamo
queste terre, abbiamo bisogno della vostra saggezza e della vostra conoscenza
per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa
regione[11].
C’è, dunque, nelle parole del Papa, lo
sforzo di creare empatia con la cultura del popolo incontrato, un aggancio che
permetta ad un certo punto del dialogo di annunciare la novità del Vangelo.
Questo sforzo empatico deve poter proseguire seguendo l’esempio del discorso di
Paolo all’Areopago di Atene quando, ad un certo punto del discorso cita una
poesia della cultura greca del popolo al quale stava dirigendo il discorso. Lo
stesso compie Papa Francesco nel discorso citato ai popoli dell’Amazzonia
quando, ad un certo punto, cita uno degli aspetti più significativi della
cultura di una regione dell’Amazonia che si trova nella regione Andina, vale a
dire il: SUMAK KAWSAY,
che tradotto significa Ben vivere. Questa proposta culturale, ripresa in modo
particolare dalla costituzione boliviana, è la concretizzazione
dell’ideale di armonia cosmica, comunitaria e personale, in cui il valore della
vita è il dono maggiore che si deve ricercare non solo per le persone, ma anche
per le piante, gli animali e per la propria terra. In questa proposta,
l’intercambio tra le persone non si misura attraverso i benefici economici
prodotti, ma per la crescita delle relazioni umane, che ci aiutano a diventare
più fratelli e sorelle[12]. L’aggancio con elementi
specifici della cultura con cui si sta dialogando, permette al Papa di muoversi
in due direzioni complementari. La prima, la richiesta agli stati che si
implementino politiche interculturali che tengano conto della realtà e della
visione del cosmo dei popoli, «formando
professionisti della loro stessa etnia che sappiano affrontare la malattia
secondo la propria visione del cosmo»[13].
Il discorso di Francesco riprende in diverse circostanze appelli come questo,
che cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto e allo sviluppo
di quegli aspetti fondamentali della cultura dei popoli amazzonici che ne
permettono la sopravvivenza. In secondo luogo, il richiamo finale di Francesco
è sui valori evangelici e sul ruolo della Chiesa in questa specifica cultura.
Cari
fratelli dell’Amazzonia, quanti missionari e missionarie si sono impegnati con
i vostri popoli e hanno difeso le vostre culture! Lo hanno fatto ispirati dal
Vangelo. Anche Cristo si è incarnato in una cultura, quella ebrea e, a partire
da quella, si è donato a noi come novità per tutti i popoli in modo che
ciascuno, a partire dalla propria identità, si senta autoaffermato in Lui […]
Ogni cultura e ogni visione del cosmo che accoglie il Vangelo arricchisce la
Chiesa con la visione di una nuova sfaccettatura del volto di Cristo. Abbiamo
bisogno che i popoli originari plasmino culturalmente le chiese locali
amazzoniche[14].
Abbiamo analizzato e presentato il discorso
del Papa ai popoli dell’Amazzonia perché, a nostro avviso, rappresenta una
concretizzazione del delicato rapporto tra Vangelo e cultura espresso
nell’Evangelii Gaudium. E’ alla fine che Francesco annuncia il Vangelo, dopo
essersi, per così dire, aperto il varco con una serie di agganci culturali con
i popoli locali, richiamando l’attenzione su quanto andava dicendo. Il Papa si
è sporcato le mani, si è immerso nella cultura del popolo per farsi
riconoscere. Non c’è stato un discorso cattedratico, con l’esplicitazione di
una dottrina e la richiesta di ascoltare e basta. Al contrario, quello che il
Papa ha presentato è il cammino del Vangelo che apre le porte dei cuori e delle
coscienze creando delle sintonie, facendo appello alla comune umanità[15]. Solo incarnandosi, che
in questo caso specifico significa conoscere la cultura dell’altro, è possibile
aprire i cuori all’annuncio del Vangelo, anche nella consapevolezza che non è detto
che il metodo abbia successo, come del resto è accaduto nel caso del discorso
di Paolo all’Areopago di Atene citato sopra.
La comunità in uscita non può, dunque
esimersi di mettersi in ascolto delle culture, degli stili di vita, delle
espressioni esistenziali degli interlocutori che incontra nel cammino e ai
quali desidera annunciare con gioia la Buna novella. E’ un modo per ricordarsi
che lo Spirito Santo è sempre all’opera e continuamente ci precede. Si tratta
allora, del delicato lavoro di ascolto per non correre il rischio di
considerare negativo ciò che lo Spirito ha già operato di buono nelle culture,
in quel processo frettoloso che vuole semplicemente impiantare qualcosa, senza
prima prendersi il tempo di accompagnare, ascoltare e valorizzare ciò che di
buono incontriamo.
[1]
Molto interessante, a
questo proposito, la prolusione che mons. Gianfranco Ravasi ha tenuto alla
Facoltà Teologica del Triveneto il 28 marzo del 2018, in occasione del Dies academicos. Si trova in: http://www.fttr.it/wp-content/uploads/2017/03/Fttr-dies2017-RAVASI.pdf. Sul tema Vangelo e
Cultura di Papa Francesco valgono le citazioni riportate nel paragrafo della
Chiesa Popolo di Dio
[2] Valgono a questo proposito, le
profonde riflessioni di Francesco ancora sul Vescovo Toribio il quale, nelle
sue visite pastorali, volle arrivare non solo all’altra riva geografica, ma
anche culturale. “Fu così che promosse on molti mezzi un’evangelizzazione nella
lingua nativa. Con il terzo Concilio di Lima dispose che i catechismi fossero
tradotti in quechua e in aymara. Spinse il clero a conoscere e studiare la
lingua dei loro fedeli per poter amministrare i sacramenti in modo
comprensibile” (ivi, n. 2).
[3] Lo stesso concetto Francesco lo
ribadisce nel discorso ai partecipanti alla plenaria del pontificio Consiglio
per la promozione della nuova evangelizzazione del 29 settembre 2017, in cui
afferma che: “Da ogni popolo verso cui andiamo emerge una ricchezza che la Chiesa è chiamata a
riconoscere e valorizzare per portare a compimento l’unità di tutto il genere
umano di cui è segno e sacramento (cfr. Lumen Gentium 1) […] La ricchezza che
proviene alla Chiesa dalla molteplicità di buone tradizioni che i singoli
popoli possiedono è preziosa per verificare l’azione della grazia che apre il
cuore ad accogliere l’annuncio del Vangelo”
[4] Cfr. in modo particolare il
documento della Commissione Teologia Internazionale, Fede e inculturazione,
1989. Il testo italiano si trova in Civiltà
Cattolica 140 (1989), I,158-177. Sempre sul tema interessanti anche le
riflessioni del gesuita brasiliano MIRANDA, M.F., Inculturazione della fede. Un approccio teologico, Queriniana, Brescia
2002
[5] Dal
discorso di Papa Francesco ai nuovi vescovi ordinati nel corso dell’ultimo anno
del 14 settembre 2017: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/september/documents/papa-francesco_20170914_nuovi-vescovi.html
[6] Cfr. in modo particolare: E., MAZZA, La mistagogia. Le catechesi liturgiche
della fine del IV secolo e il loro metodo, Edizioni Liturgiche, Roma 1989
[7]
Cfr. in modo particolare: J.M.,VIGIL, «Il paradigma pluralista e i compiti della
teologia. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo», in Concilium 1 (2007) 41-51; L. BOFF, Il Cristo cosmico è più grande
di Gesù di Nazaret?, in Concilium 1
(2007) 74-83
[8] Cfr. J.,
RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le
religioni del mondo, Ed. Cantagalli, Siena 2003
[9] Lo sostiene, tra gli altri, anche
R., CANTALAMESSA, Dal Kerygma al dogma.
Studi sulla cristologia dei Padri, Vita e Pensiero, Milano 2006
[10] http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180119_peru-puertomaldonado-popoliamazzonia.html
[11] Ivi, p.
3
[12]
Sul
concetto di Ben vivere cfr.: A., ACOSTA, «El “buen vivir” para la construcción de
alternativas»,
Conferencia en el Encuentro
Latinoamericano del Foro Mundial de Alternativas, 2008; BENALCAZAR,C., El
buen vivir, más allá del desarrollo: la nueva perspectiva constitucional,
2008.06.11, en: América Lati tina en Movimiento, ALAI.
[http://alainet.org/active/24609&lang=es]; O.,SALAZAR, El principo del buen vivir o Sumak Kawsay
como fundamento para el decrecimiento económico, in: Cuadernos de Filosofía Latinoamericana, Vol. 36 / No. 113 / 2015 /
pp. 83-99; HOUTART, F., «El
concepto de sumak kawsai (buen vivir) y su correspondencia con el bien común de
la humanidad»,
in: ALAI, América Latina en Movimiento 2011-06-02, http://www.dhl.hegoa.ehu.es/ficheros/0000/0738/15._El_concepto_de_sumak_kawsai.pdf
[13] Ivi, p. 3
[14] Ivi, p. 5
[15] Lo stile di Papa Francesco
presentato in questo contesto, mi sembra molto in sintonia con lo stile
dialogico del Concilio Vaticano II così come lo presenta il teologo Theobald.
Non a caso l’autore, nel primo capitolo del libro, fa riferimento proprio a Papa
Francesco sulla questione dello stile. Cfr. C., Theobald
, L’avvenire del Concilio. Nuovi
approcci al Vaticano II, cit. p. 31
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