Master di secondo livello: Diritto delle migrazioni. Le politiche
migratorie. I profili normativi, Bergamo A.A. 2020-2021.
DIRITTO
COMPARATO
LIVIA
TURCO
22
maggio 2020
Sintesi; Paolo Cugini
Come
le politiche d’immigrazione si sono realizzate nei vari paesi europei. Politica
europea sull’immigrazione. Due eventi hanno inciso: la questione siriana e…
Prima
fase: avvio informale immigrazione secondo le esigenze di ciascuna
nazione.
Seconda fase, crisi economica anni ’70 legata al petrolio. Tre
rotte del mediterraneo. Si costruisce un sistema migratorio che riguarda il sud
Europa.
Terza
fase: anni 2000. Abbiamo vari fenomeni. Aumento flussi migratori.
Avviene anche l’allargamento ad Est dell’UE. Abbiamo gli attacchi terroristici
dell’estremismo islamico. In Italia a partire dalla vicenda siriana 2014, l’Europa
realizza una svolta di contenimento dei flussi migratoria, e una svolta assimilazionista.
Emerge che con l’aumento dei flussi migratori l’UE non è riuscita a trovare una
linea comune nell’accoglienza e resta debole sul problema asilo. Non è riuscita
a modificare l’accordo di Dublino. Questo sistema ha accentuato il carico di
responsabilità e manca il principio do cooperazione.
2014-2016:
forti flussi migratori con una forte debolezza interna dell’Europa. Reagisce
con la parola arginare e difendere le frontiere. Con l’agenda europea del 2015
e la dichiarazione con la Turchia del 2016, cambia l’approccio, il linguaggio della
politica europea dell’immigrazione. Adesso sono Turchia e Grecia le nazioni
importanti. Esternalizzazione del controllo dei flussi, della protezione, delle
pratiche e procedure delle domande di asilo e protezione.
L’approccio
globale s’impoverisce perché si concentra sull’obiettivo di prevenire dell’arrivo
dei flussi, per misure di rimpatrio. La cooperazione con i paesi terzi si
traduce con aiuti a quei paesi per costruire in loco l’arrivo degli stranieri. Vengono
costituiti gli hotspot, strutture di prima accoglienza negli stati membri. Si
cedono risorse economiche, competenze tecniche perché i paesi diventino capaci
di gestire questi flussi. Viene definito il concetto di paese terzo sicuro, che
ha dimostrato una capacità di accoglienza dei rifugiati.
È
importante l’accordo con la Turchia del 2016 perché cambia la dimensione geografica,
la filosofia politica dell’immigrazione. C’è il principio dell’esternalizzazione,
coinvolgendo nella responsabilità dei flussi migratori, fornendo ai paesi il
materiale per controllare i flussi.
Accordo
con la Turchia 2016. Questo accordo ha un riflesso sulle
legislazioni nazionali. Avremo un adeguamento di tutte le legislazioni dei
paesi europei nella direzione di questo accordo.
Avremo
due eccezioni: Germania e Svezia.
Che
cosa prevede l’accordo con la Turchia. La Turchia è un
luogo di approdo di migliaia di migranti che vogliono venire in Europa. La
Turchia è stata una porta verso l’occidente attraverso la Grecia. Alcuni paesi
dell’Est hanno chiuso le frontiere. La Turchia viene riconosciuto come paese
terzo sicuro. La Turchia decide di collaborare con l’Europa e di farsi carico
della gestione degli sfollati siriani. Ciò che chiede in cambio è di riavviare
il suo processo per entrare nell’UE e la richiesta di una libanizzazione dei
visti per i cittadini turchi. L’accordo coinvolge Grecia e Turchia. L’accordo
chiede ad entrambi i paesi di adeguare la loro legislazione alla normativa
europea, per impegnarsi a costruire sistemi di accoglienza e di asilo
strutturali, in grado di selezionare le domande di ammissione di asilo, di fare
gli accordi in loco e di controllare le frontiere. La Turchia deve bloccare l’immigrazione
verso l’Europa. Questa azione di accoglienza, protezione, impatta con la realtà
nazionale. La Grecia ha aderito alla convenzione di Ginevra ma con delle eccezioni.
Coloro che vengono da stati non europei e che hanno il criterio di rifugiato,
hanno la possibilità di essere rifugiato condizionato.
Il
sistema di accoglienza della Turchia non è strutturato, applica una politica di
distribuzione equa dei richiedenti asilo e protezione internazionale e sussidiaria,
all’interno del territorio Nazionale, nelle 81 provincie: 61 di queste ha
questo compito. Una volta riconosciuto lo stato di rifugiato, la persona deve
stare nella provincia assegnata, ha accesso ad alcuni diritti: servizio
sanitario, scuola, lavoro in modo differenziato.
Quando
arrivarono i siriani, la Turchia preparò 26 campi. Questo sistema di accoglienza
per garantire le frontiere sicure all’Europa, ha un impatto particolare sulla
Grecia, perché ha il compito di selezionare l’ammissibilità delle domande, che
poi devono essere dirottate verso la Turchia, costruire luoghi di accoglienza
delle persone, e un compito di avviare gli accordi di riammissione.
Questo
lavoro dovrebbe avvenire entro 25 giorni. Le isole in Grecia diventano dei
luoghi dove le persone vengono trattenute a lungo, dei campi di reclusione.
Grecia:
è un paese di emigrazione. Deve sorvegliare una frontiera marittima e terrestre.
Negli anni 90 arrivano in Grecia i primi immigrati. C’è una legge del 91 piuttosto
severa. SI tratta di un Paese che ha fatto fatica a costruire un suo sistema
organico di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. Questa difficoltà
accresce. Negli anni 2000 la Grecia diventa un punto cruciale per il governo
dell’immigrazione nell’insieme dell’Europa. Introdurrà un permesso di soggiorni
di lunga durata. Si trova con un sistema di accoglienza piuttosto precario. L’adeguamento
della Grecia avviene con il Trattato UE e Turchia. Due leggi: 2016 e 2019 che prevedono
una novità, il superamento dell’approccio di un’immigrazione temporanea e viene
promosso il permesso della residenza a lungo termine. C’è lo sforzo di
adeguarsi alle direttive europee. C’è l’istituzione di una procedura di riconoscimento
rapido. La difficoltà della Grecia è che ha molti casi pendenti, di persone
arrivate prima del 2016 che erano rimaste sulle isole. Smaltimento degli arretrati.
Una delle soluzioni è la previsione del permesso di soggiorno per motivi
umanitari. Vengono definiti gli strumenti che consentano alla Grecia di
realizzare il suo compito. Vengono attivati centri di accoglienza e
identificazione per gestire il primo trattamento amministrativo dei centri. (Svolta
securitaria).
La
legge del 2019 sul diritto di asilo rafforza la limitazione delle domande di
ammissione e va a creare nuovi centri che accolgano le persone in attesa di
essere valutati. Sono centri chiusi messi non solo sulle isole.
La
Grecia porta
avanti una sua politica d’integrazione, attraverso l’accesso ai diritti,
lavoro, dialogo interculturale, alloggio. Punta allo sviluppo delle competenze
per i dipendenti pubblici che si occupano dei migranti.
È possibile parlare di un modello
mediterraneo (Spagna, Grecia, Italia, Portogallo) che si basa su alcuni
fattori strutturali: sono paesi che diventano molto rapidamente paesi di
immigrazione dopo una lunga tradizione di emigrazione. C’è la presenza in ognuno
di questi paesi di lavoro nero e lavoro informale. Sono comuni le sanatorie. Questi
paesi del Sud hanno una componente di popolazione anziana elevata. Che ha
governato non ha scelto l’immigrazione, come fecero l’Inghilterra, il Belgio perché
ne avevano bisogno. I paesi del sud si sono trovati una marea di persona senza
averlo scelto.
Spagna.
Paese punto di riferimento della rotta del Marocco. Ci sono le isole di Gibilterra,
Ceuta e Melilla che accolgono i migranti. È un paese accogliente diffuso nella
cultura. La Spagna è stata a lunga dalla dittatura franchista che aveva una politica
migratoria propensa all’espulsione. Interlocutore della Spagna è stato il Marocco.
Conferenza del 2006 per tentare una politica di emigrazione controllata,
contrasto immigrazione irregolare, tratta essere umani. Accordi bilaterali tra Spagna
e Marocco. Si riducono i numeri degli arrivi e la Spagna comincia a dotarsi di
una politica organica sull’immigrazione, incentrata sulla rotta sul Magreb,
Marocco, Mauritania, Nuova Guinea. Si costruisce una politica di cooperazione
che porta al controllo delle frontiere e alla definizione di quote d’ingresso
per lavoro. La Spagna si renderà conto di essere un paese d’immigrazione e si
doterà di una legge organica sull’immigrazione, che fa leva sulle città, sul welfare
comunitario. Modello molto radicato sul territorio e il dialogo con le varie
culture dei popoli che arrivano. Anche la Spagna ha modificato la sua
legislazione in senso restrittivo, di selezione delle domande. Politiche di
ricollocazione tentate a livello europeo. La Spagna ha una sua stabilità delle
politiche migratorie. La Spagna ha partecipato attivamente la politica di
ricollocazione.
Portogallo.
È un paese che diventa rapidamente un paese immigrante. Lo sa governare bene. Arrivano
Capo Verde e Nova Guinea costruisce accordi programmati. Il Portogallo è un
paese accogliente. C’è un susseguirsi di regolamentazioni prima di stabilizzare
gli ingressi. C’è una presenza di cittadini che provengono dall’Europa dell’Est:
Moldavia, Ucraina, Romania, per mano d’opera poco qualificata. Il Portogallo ha
un modello basato sul dialogo. Anche qui è attivo un welfare comunitario. Stabilisce
una forte collaborazione con la Spagna, che assume un ruolo di mediatore con i
paesi terzi africani.
Italia.
Ci sono delle fasi. Fase pre-unitaria metà ‘800: immigrazione stagionale che
riguarda la zona padana. È l’immigrato risorsa. Lo Statuto Albertino era favorevole.
Il Risorgimento è stato contro lo straniero, però numerosi stranieri avevano
partecipato al Risorgimento, a partire dalle spedizioni dei mille. Unità d’Italia
che si libera dagli occupanti e che trovo sostegno in altre parti del mondo. Questa
fase vede positivi i flussi migratori.
Fase
seconda: dal 1861 al 1915: prima globalizzazione,
frutto dell’industrializzazione. Fenomeno enorme dell’emigrazione. 39 milioni
di persone sono emigrate in questa seconda fase (Argentina, Brasile, Belgio,
Svizzera). È un’Italia migrante, che ha vissuto le fatiche, le discriminazioni.
Ci fu un grande scontro tra gli agrari del Sud e le compagnie navali del Nord.
I grandi latifondisti del Sud erano contrari a una legge sull’emigrazione,
mentre le compagne navali si. Vinse la lungimiranza di Crispi e Cavour che erano
favorevoli alle circolazioni. Abbiamo una componente liberale favorevole al
processo, perché si è consapevoli che il mondo sta cambiando, che l’Italia deve
adeguarsi al tempo. Ci fu la prima legge di tutela delle migrazioni del 1901,
che tutelava le condizioni dei migranti sia durante il viaggio e con accordi in
cui erano diretti i flussi migratori. Per l’Italia sarà importante gestire le
rimesse dei migranti.
Terza fase:
1914-1945. Contenimento flussi migratori. Crisi del ’29: gli USA limitano gli
ingressi, perché si riduce la domanda la forza lavoro. Fra le due guerre c’è il
fascismo caratterizzato da una politica demografica, coloniale. Ciò comportò l’immigrazione
e l’emigrazione, anche quella interna. La colonia verso l’Africa orientale, con
trasferimento di lavoratori.
Quarta
fase:
1946-1975. Sono gli anni della grande crescita, del bum economico, che creano le
basi dell’emigrazione. Tante industrie manufatturiere saranno quelle che
avranno bisogno di mano d’opera. Si forma l’Italia dell’industrializzazione e
quella che resta agricola. 1973: crisi petrolifera. Continua la politica di
emigrazione in Belgio e Germania. L’Italia sente di dover saldare il debito con
gli italiani all’estero e attiva una politica di collaborazione con i paesi
coinvolti. Le rimesse degli emigrati sono una delle basi dello sviluppo
economico e sociale. C’è una cultura popolare che accompagna l’emigrazione:
cinema, canzone, arte. Legge sulla cittadinanza 91/1992, legge ius sanguinis,
concedendo il diritto di voto.
Quinta
fase: 1976-. Seconda globalizzazione. Passaggio dell’Italia
da paese emigrante a paese d’immigrazione. Rapidità del cambiamento: è lo
specifico dell’Italia. La presenza della Chiesa e il forte bisogno del lavoro domestico,
il bisogno di forza lavoro nelle aziende manufatturiere. Agli inizi degli anni
Ottanta l’Italia si trova paese d’immigrazione. Dal 1970 al 2013 l’Italia
diventa paese d’immigrazione. La crescita della presenza d’immigrati dal 1991
al 2011 ha poco riscontri nella storia: passa da 356 mila a 4 milioni di unità,
con un tasso medio di crescita del 13%. Ciò spiega molto del clima della
politica d’immigrazione. L’Italia era un Paese accogliente. La legge Martelli
la si fece sull’onda di una manifestazione a favore dei migranti. Alcune costanti:
essere tolleranti verso un’immigrazione irregolare; il governo dell’immigrazione
con circolari dei ministeri; le sanatorie. 1979 regolarizzazione di colf: 1982:
regolarizzazione lavoro subordinato; 1986; legge martelli 218 mila domande tra
lavoro autonomo, subordinato, studio; 1995: sanatoria 244 mila domande; 1998
sanatoria 217 mila domande accettate; 2002: 646 mila accettate con la lega al
comando: è la sanatoria più grande della storia d’Europa; 2006: decreto flussi
che fu insufficiente e si completò con una regolarizzazione; 2008: colf e
badanti. Il governo dell’immigrazione si è basata su una serie di Sanatorie. Il
merito della legge Martelli ha inciso sul diritto di asilo. Viene recepita la
convenzione di Ginevra. Viene tolta la riserva geografica e vengono avviate le
prime politiche di accoglienza. La Legge Martelli è del 1990 e negli anni successivi
sono gli anni della crescita esponenziale dell’immigrazione. La rapidità ha
significato che città – esempio del quartiere san Salvario a Torino -
cambiassero radicalmente, scuole e strade pieni d’immigrati. Cresce un sentimento
di ostilità legata al trovarsi estraniati, a non capire più il proprio
quartiere.

C’era
sul tavolo il decreto Dini che aveva previsto misure di contrasto. La politica ha
scelto di fare una legge organica sull’immigrazione. Clima di ostilità nel Paese,
il flusso migratorio dall’Albania. In quel contesto fu fatta la legge del 1997
che prevedeva il programma triennale sulle politiche migratorie, e le politiche
d’integrazione, Figura dello sponsor per la ricerca di lavoro. Diritti sociali basati
sulla distinzione: diritti legati alla dignità della persona e i diritti
connessi alla residenza. Si prevede il diritto di voto per via ordinaria.
Pilastri:
contrasti immigrazione clandestina; vasto programma d’integrazione: diritti e
doveri legati alla persona e al legame del territorio. Welfare comunitario era
cresciuto nel frattempo in Italia. La legge è nata con il confronto con l’elaborazione
degli attori economici sociali. 14/2/1997. L’opposizione fece ostruzionismo. Il
percorso legislativo fu rapido grazie a Napolitano. Veniva contestato il
trattenimento di 30 giorni per persone che negavano le proprie generalità ai
fini dell’identificazione. Fu necessario, costituzionalmente corretto, in una
vulgata giuridica e di un mondo associativo è diventato la norma antesignana ai
centri s’intrattenimento. Turco è contrario a questa tesi. Ci fu compattezza a
sinistra, con la Chiesa-Caritas. Due cose importanti: l’accordo con l’Albania
(sul piano di parità per aiutare quel paese a ricostruirsi. Fu un aspetto che
proseguì nel tempo. L’accordo bilaterale con l’Albania è una metafora di come
devono essere gli accordi bilaterali); l’accordo con la Tunisia di Napolitano.
Parte sugli ingressi regolari e politiche sull’integrazione. Quella legge è
stata stravolta nella parte sulle espulsioni, dalla cancellazione della protezione
umanitaria; sulle norme sull’integrazione. Molte norme sono rimaste: art. 3,
sull’assistenza sanitaria, nonostante ci fosse stato il tentativo di cancellare
quella norma. Memorabile la testimonianza di tutti i medici italiani che
dissero che noi non saremo mai medici spia. Maroni dovette ripristinare quella
norma. Della Bossi Fini la Turco riconosce la sottolineatura di formare in loco
la formazione di forza lavoro. Così come le norme sul diritto di asilo e nel
nostro paese spero che si ritorni ad una politica di accoglienza che abbia l’accoglienza
diffusa il suo cardine.
Considerazione:
purtroppo un capitolo viene cancellato. Abbiamo assistito alla svolta securitaria
con il forte arrivo nel 2014 e 2015. “Mi auguro che la politica europea
faccia una politica di equa distribuzione. Insieme a questo vorrei che si
discutesse sul tema dell’integrazione. Dobbiamo discutere di quale modello di
convivenza”. Nella legge 40 c’era un modello di convivenza basato sulla non
discriminazione, sul dialogo tra culture, sul ruolo attivo dei territori. Sono
i territori, i comuni, le ong, le imprese che possono costruire quel dialogo e
interazione, che si applica là dove si vive. L’interazione presuppone una
grande politica nazionale. Oggi il dibattito resta concentrato sull’espulsione.
Quale
politiche migratorie hanno realizzato altri paesi? Storicamente i modelli d’integrazione
sono stati due: assimilazionista (Francia), multiculturale (Olanda, Svezia). Significativo
è quello della Germania. Idea assimilazionista. Conta la residenza, la
condivisione dei valori e dello spirito nazionale. La concezione romantica
della nazionalità alla base del modello multiculturale mette al centro il
legame di sangue: è la mia patria perché ci sono nato. Questo legame di sangue
comporta un’elaborazione culturale in cui contano molto le tradizioni, la
storia, i valori che sono considerati non negoziabili ad un’interazione
pluralista.
Francia:
lo Stato è frutto di un contratto tra la popolazione e il territorio in cui
vive. Non basta la convivenza e la permanenza, perché la nazione è un’identità
culturale e nazionale. Non conta essere nati nel paese, però conta il legame
con la Nazione che è un patrimonio di valori che non è negoziabile e quindi deve
assimilarsi. La Francia è da sempre terra d’immigrazione. La necessità di una
mano d’opera qualificata fin dall’800 rendeva necessaria la provenienza di persone
di altri Paesi. La Francia è uno dei paesi che per primi ha avuto un governo
dell’immigrazione con un forte ruolo da parte dello Stato. Cultura affine. All’inizio
l’immigrazione fu transfrontaliera (Italia, Belgio). Nel 1918 viene stipulato
un accordo con la Polonia e la Francia fece arrivare 500 mila lavoratori
polacchi. Nel 1931 raggiunge il 6% sul totale della popolazione. In quegli anni
si consolida il Concetto di Stato Nazione e d’identità culturale nazionale: chi
nasce e vive in Francia diventa francese. Lo Stato individua nella scuola il
vettore per fare apprendere la cultura francese e fare crescere in tutti il
sentimento della patria. La scuola laica gratuita viene estesa anche alle
colonie. Viene modificato il codice napoleonico inserendo la possibilità dell’acquisizione
della cittadinanza francese, prevedendo che uno straniero diventasse francese.
La Francia è la patria dello ius soli in Europa. Nel dopoguerra c’è
un altro incremento della mano d’opera straniera. Nel dopoguerra della seconda
guerra mondiale vengono fatte politiche immigratorie, rendendo ancora più
esplicito il ruolo dello Stato in queste politiche immigratorie. 1945: viene
istituito l’ufficio Nazionale dell’immigrazione, con il compito
di eliminare la competizione dei salari; evitare gli abusi. Il funzionamento di
questo ufficio si rivelò burocratico costoso e burocratico. In quegli anni sale
l’immigrazione. Arriva la famosa crisi petrolifera che riduce gli ingressi
regolari e accentua il carattere selettivo. Nel frattempo i flussi migratori si
erano aperti a tutto il mondo. Si pose il criterio delle quote d’ingressi, che
avrebbero dovuto essere più selettive. Criterio della vicinanza culturale. In
quegli anni ’70 incominciano ad esserci problemi di disoccupazione, cresce un’immigrazione
più integrata. Tutti i paesi reclutano forza lavoro straniera, lo fanno secondo
i criteri del mercato del lavoro, ma l’approccio utilitarista lascia il posto
alla considerazione personalista: i lavoratori hanno moglie e figli, e i
lavoratori diventano persone e cittadini e non accettano discriminazioni. C’è
il principio della eguaglianza. Esplode il problema della bidonville, alloggio
che doveva essere garantito dal datore di lavoro. Gli immigrati non accettano
questa situazione sociale. Nasce un movimento che è sostenuto dai sindacati e
matura nel mondo politico francese la consapevolezza, che per garantire
sicurezza al Paese non solo devi selezionare gli ingressi sulla base della
necessità del lavoro, ma occorre avere attenzione alla vita dei migranti. Le
politiche d’integrazione diventano importanti.
È l’epoca del presidente Giscard
D’Estaing che istituì la figura che aveva il compito di gestire in modo
completo il fenomeno migratorio. Miglioramento condizione lavorativa. Altro
passo fu quello di consentire agli immigrati di partecipare alla vita politica,
essere eletti delegati sindacali e favorire la cooperazione tra i lavoratori. In
questo modo gli immigrati diventano una componente stabile. Un’accelerazione
alle politiche d’integrazione avviene al 1981 quando diventa presidente
Mitterand. Questo processo già avviato di costruzione di politiche d’integrazione
ebbe un’accelerazione. Viene conferito il diritto di associazione degli stranieri.
Due sono i provvedimenti importanti:

a. 1981:
Zone di educazione prioritaria nelle zone in cui alta era la presenza degli
stranieri. Introdurre il principio selettivo sembra in contrapposizione con l’universalismo,
ma non è così. È giusto che ci sia un intervento mirato per aiutare i gruppi in
difficoltà. (Nel 1984 l’Italia è la scuola di tutti e per tutti è stato il più
importante strumento d’integrazione. Anche nella scuola Italiana si sono
attivate iniziative specifiche). Per essere aperte a tutti la scuola deve
riconoscere le disuguaglianze, le differenze di apprendimento.
b. Permesso
di soggiorno con validità decennale. Richiesta del movimento degli immigrati,
con protagoniste le seconde generazioni. Questa proposta fu accolta da Mitterand
con un’idea d’integrazione, che più una persona sta sul territorio,
maggiormente si integra. Ciò che favorisce l’integrazione è la permanenza sul
territorio. In questi anni il tema dell’immigrazione diventa un tema politico,
nascono i conflitti. 1983: nasce il Fronte Nazionale de Jean Marie Le Pen, che
ottiene il 10% nelle elezioni. Il tema dell’immigrazione diventa importante per
i partiti. Sul no agli immigrati nasce un nuovo partito. Questo conflitto
politico comincia ad attraversare la società francese.
Nel
1996 vince la Destra che mette al centro la lotta contro l’immigrazione clandestina
e, dunque, bisogna velocizzare le espulsioni e che l’immigrazione sia regolare
e legale. Nel momento in cui le persone diventano cittadine l’esperienza
dimostra che le differenze non si cancellano, ma acquisiscono forza. A fine
anni ’80 nasce la questione dell’Islam in Francia. Il tema religioso è molto
delicato.
Fatto:
novembre 1989 velo islamico, quando tre giovani
studentesse mussulmane furono sospese dalla scuola media per aver indossato il
velo islamico in classe. La questione del velo è posta da giovani donne che
facevano parte delle seconde, terze generazioni. L’Islam e l’esibizione della religione
nasce come domanda d’identità, come rivendicazione. Ciò andava contro al valore
della laicità, che in Francia è fondamentale. Viene proibita l’esibizione di
simboli religiosi. Il Consiglio di Stato non si espresse contro i simboli
religiosi, ma indossati in luogo pubblico possono essere considerati come proselitismo,
perturbando lo svolgimento dell’insegnamento. I simboli religiosi sono un fatto
privato. Questa è la concezione della laicità della Francia. Il parere del Consiglio
di Stato fu accolto positivamente da tutte le componenti politiche. Ciò aveva
dimostrato la complessità dell’integrazione. Venne costituito un alto Consiglio
d’integrazione con esperti. Ci sono delle questioni che la politica non può
risolvere da sola. Il clima era cambiato. Il bisogno di maggior controllo sull’immigrazione,
sui processi d’integrazione e il tema del dialogo con l’Islam divenne
rilevante. Queste innescarono dei conflitti nella società francese che furono
cavalcati dal partito politico nato su questi problemi. Viene modificato lo ius
soli: occorre aver frequentato un percorso scolastico. Non bastava essere
nati sul suolo, ma dimostrare di aver avuto un radicamento con i valori del
Paese.
Una
svolta in senso restrittivo avvenne con l’arrivo di Nicolas Sarkozy.
Fece una legge nel 2006 e la sua azione fu chiara. Dall’immigrazione subita,
all’immigrazione scelta. Incentivare l’immigrazione economica; ridurre i
ricongiungimenti famigliari. Fu un’epoca in cui si accentuò l’immigrazione che
doveva essere facilmente integrabile, che deve corrispondere alle esigenze di
sviluppo per la Francia. Sarkozy introdusse il contratto d’integrazione, che
doveva essere vincolante per ogni immigrato presente nel territorio francese. Ha
il compito di fornire una formazione, civica, linguistica, professionale all’immigrato
che entrava in Francia per garantire un pieno processo d’integrazione. Il
rinnovo del permesso di soggiorno era vincolato da questo contratto. S’introduce
un punto che vedremo essere presente nelle politiche di tutti i paesi europei,
in cui la politica d’integrazione non ha valore in quanto politica inclusiva. C’è
d’ora innanzi uno strumento selettivo per la permanenza nel territorio. La
politica passa da inclusiva a selettiva per decidere la permanenza o l’espulsione
dal territorio. È una misura che è rimasta.
Macron
ha accentuato la distinzione tra immigrati economici e rifugiati. Sulla base
delle politiche europee dell’immigrazione anche per la Francia c’è stata una
chiusura. La Francia di Macron si è attivata per la collaborazione con l’Africa.
La criticità del modello assimilazionista è che la promessa di eguaglianza non
è stata ottenuta. Così come è motivo di discussione il concetto di laicità che
esclude dal dialogo la pluralità delle culture. Questo problema appartiene a
tutti i paesi europei.
Belgio:
ha scelto il modello assimilazionista. Attraeva forza lavoro grazie alla sua
economia. Il Belgio è formato da tre regioni indipendenti, che fanno fatica a
costituirsi come paese nazionale. Il Belgio si connota per una buona politica d’integrazione.
Sono stati attivi i sindacati per promuovere l’integrazione dei lavoratori e
delle loro famiglie. Ricongiungimento familiare e scuola sono state due
politiche fondamentali. Neutralità religiosa e rispettosa della religiosità
come dimensione privata. È un’immigrazione e un’integrazione riuscita, che ha
resistito anche attraverso gli attacchi terroristici.
Germania:
È un’esperienza positiva. Ha una sua peculiarità, storia che viene da lontano. È
sempre stata interessata ai flussi migratori. ius sanguinis, legame di
sangue, come l’Italia. Pur avendo attratto persone lavoratori ha coniugato l’immigrazione
economica con il mantenimento del legame di sangue, ed ha elaborato la tesi del
lavoratore ospite. Ha teorizzato la concezione funzionalista dell’immigrazione
Per un lungo periodo i processi d’integrazione sono stati limitati: dormitori
vicini ai luoghi di lavoro, investimenti scarsi per l’insegnamento della lingua
e ostacolato il ricongiungimento famigliare. Crisi petrolifera: fase recessiva
dove vengono chiusi gli ingressi per lavoro. Ci si rende conto che c’erano
persone e l’approccio utilitarista venne abbondonato a favore di politiche d’integrazione.
Comunità turca. Negli anni 70-80 matura questo cambiamento d’approccio. Vengono
promosse politiche d’integrazione: ricongiungimenti familiari. Vengono
realizzati investimenti nella scuola. 2000: modifica della legge di
cittadinanza, introduce un elemento di jus soli. Viene abbandonato lo
ius sanguini. Si può acquisire la cittadinanza dopo un percorso scolastico.
Dopo 7 anni si può ottenere la cittadinanza e non più 10. Approccio alla
politica d’integrazione basato sulla bi-direzionalità. È un dovere dello Stato
ospitante conoscere e rispettare la cultura dell’immigrato. È la nazione più
coerente al concetto dell’interazione.
Altra
peculiarità: ha un approccio inclusivo nelle politiche dei richiedenti asilo,
sollecita il mondo economico e delle imprese, per essere protagonista delle
politiche d’integrazione degli immigrati. Ruolo forte dello Stato, ma c’è una
promozione di responsabilità da parte di tutti i soggetti culturali, economici
e sociali. Riconoscimento del ruolo della religione islamica: viene deciso di
stabilire un dialogo permanente dell’islam, per favorire un processo di
europeizzazione dell’Islam. Reciproco riconoscimento. Merkel critica il
multiculturalismo perché propone una condivisione da separati, tolleranza
distaccata, mentre la Germania propone un dialogo permanente. La pratica della
bi-direzionalità, dell’interazione con la consapevolezza che bisogna costruire
un nuovo noi, è il cammino vincente. Ha puntato sull’immigrazione di qualità.
Questo approccio che vede il coinvolgimento delle forze in campo si è visto nel
2016 all’epoca della guerra in Siria. Il Governo Merkel ha realizzato questa
accoglienza attivando il ruolo delle imprese, per contribuire ad un’integrazione
dei rifugiati fin dall’inizio. Poi ha attivato la società civile attraverso
pratiche diverse: appartamenti condivisi, i tutori, ecc. Ciò ha consentito di
prevenire i conflitti di ordine culturale. Si è posta il problema della
partecipazione politica e civica dei migranti.
Svezia:
dopo la II guerra mondiale ha bisogno di forza lavoro. Ha considerato l’immigrazione
come una risorsa. Accoglie un gran numero di rifugiati. Anche qui negli anni ’70
abbiano una riduzione delle entrate per lavoro. Nella vicenda della Siria si è
dimostrata accogliente. È un paese che ha investito sulla formazione,
partecipazione politica, riconoscimento della pluralità religiosa. Ha fatto uno
sforzo affinché le pluralità fossero in dialogo fra di loro. Sforzo favorito dalla
scuola, dalla partecipazione politica dei migranti.
Olanda:
È la patria del multiculturalismo. Fanno parte della sua storia il rapporto con
la Turchia, Marocco, Antille e fin dall’inizio i gradi porti Amsterdam,
Rotterdam sono punti d’attrazione dell’immigrazione. Dopo la II guerra mondiale
ebbe un processo d’industrializzazione e aveva bisogno di forza lavoro. Questo
attrae fora lavoro da paesi come la Spagna e altri. Adotta la teoria del lavoratore.
È stato un paese ospitale nei confronti dei rifugiati. Le sue politiche d’integrazione,
soprattutto negli anni ’90 investe moltissimo nella scuola, a partire dei
bambini e promuove l’educazione interculturale, che è rimasta nel tempo. Ha un Welfare
gestito dal riconoscimento delle minoranze e attribuisce diritti e protezione
alle minoranze. Questo rispetto rende rilevante il principio di tolleranza, che
non è sufficiente di costruire convivenza. Questo aspetto di un multiculturalismo
gestito come riconoscenza di minoranze è proprio connaturato al sistema di welfare
olandese. Succede che alla fine degli anni ’90 da parte della stessa cultura progressista
ci s’interroga sulla perdita d’identità in quanto tale: qual è il profilo
nazionale del nostro paese? Nasce un partito populista, che si basava sulla critica
al multiculturalismo, che non aveva creato un’integrazione, e ha contribuito a
far perdere l’identità dell’Olanda. Tutte le forze politiche percepiscono il
problema. Il partito populista troverà ampio consenso nel Paese. Problema con
gli arrivati di fede mussulmana. Questo porta alla svolta assimilazionista., I
governi di centro destra inaugurano le politiche d’integrazione culturale come
politiche selettive. La conoscenza dell’Olandese dev’essere conosciuta quando
si compila la domanda d’ingresso nel territorio. Test pre-ingresso per
selezionare gli immigrati. Altro cambiamento: salvo la scuola pubblica, che
viene mantenuta così, ci sarà un giro di vite sui ricongiungimenti familiari. I
corsi devono essere pagati dai privati e non più dal welfare. È la svolta
assimilazionista che ha lasciato un segno pesante nel dibattitto pubblico
europeo. Resta un sistema d’istruzione, di welfare, un sistema di acquisizione
della cittadinanza aperto. Questa svolta restrittiva permane anche oggi. Negli
ultimi anni, infatti, si è dimostrata resistente nei confronti della modifica
del trattato di Dublino.
Riflessione
conclusiva. Il successo dell’integrazione si è avuto
nei paesi in cui si è applicata l’interrelazione e bi-direzionalità e quando si
è sollecitata la partecipazione attiva dei migranti alla vita della comunità. Dobbiamo
costruire l’Europa della convivenza e della mescolanza. Troviamo una strada. È
importante lavorare per una nuova idea di convivenza, tenendo conto le scelte
dei paesi che hanno realizzato politiche che hanno avuto successo. Principio di
non discriminazione è fondamentale. È necessaria l’inclusione dei migranti
nella ita pubblica. Occorre proporre nella pratica quotidiana la fatica del
conoscersi e riconoscersi. Si costruisce convivenza non solo con le leggi, ma
anche attraverso il legame umano e sociale, costruendo patti di reciproco
riconoscimento nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Non basta stare gli uni
accanto agli altri. Occorre fare la fatica del dialogo e della relazione. L’Italia
ha un patrimonio di esperienze di buone pratiche, ma un discorso pubblico che
non valorizza l’Italia della convivenza. Politiche locali che attivino le
associazioni dei migranti ad essere protagonisti nella vita sociale.