Paolo
Cugini
Lasciarsi
guardare significa accettare di essere interpretati in modo diverso e poi farsi
restituire il contenuto di questo sguardo. Lasciarsi guardare, non chiaramente
a livello estetico, ma accettare la narrazione dell’altro su di me, il suo modo
di vedermi, di considerarmi, di pensarmi. Prendere sul serio la narrazione
altrui su di me, sulle cose che ho sempre visto allo stesso modo: è un cammino
di maturazione. Accettare, accogliere lo sguardo dell’altro significa accettare
che non c’è solo il mio sguardo, la mia interpretazione, ma che esistono una
pluralità d’interpretazioni. Lo sguardo dell-altro come necessità per cogliere
la verità su me stesso, per uscire dalle auto certezze, le autoaffermazioni,
che non sono altro che delle chiusure, delle dichiarazioni implicite di non
voler cambiare. L’altro mi coglie in modo differente di come mi vedo, coglie
spesso e volentieri quegli aspetti che non vedo di me stesso, che nascondo a me
stesso, perché forse mi fanno male. L’altro, in questa prospettiva, diviene una
minaccia alle mie certezze, a ciò che con fatica ho conquistato su me stesso, a
quegli equilibri interiori che mi permettono di difendermi dagli altri, dagli
sguardi indiscreti degli altri. Soprattutto, però, lo sguardo dell’altro
diviene una possibilità di crescita, una possibilità di svolgere un cammino
nuovo, che va colto per non rischiare di morire soffocati nelle proprie
certezze e ingabbiati sulle nostre identità asfittiche.
La pluralità d’interpretazioni, poi, non conduce
immediatamente sul cammino del relativismo, come solitamente si pensa.
Pluralità di opinioni, di modi di vedere lo stesso oggetto, non significa
negare la verità oggettiva, ma significa affermare che la verità è tale perché
non può essere afferrata da un’unico sguardo, da un’unico punto di vista. La
verità è tale perché è plurale. Non si tratta di negare il proprio punto di
vista per accogliere quello dell’altro, ma di mettere i vari punti di vista uno
accanto all'altro. E poi non si tratta di fare una sintesi, di prendere il meglio
di ogni punto di vista o le differenze dei punti di vista. Si tratta di
ascoltare, di porre accanto. Per questo il principio di non contraddizione non
funziona nel cammino di comprensione della realtà e della verità. Certamente in
una cultura come quella Occidentale che si è affermata sull’auto-convinzione del
proprio modo di vedere, sulla garanzia assoluta della propria narrazione, sul
modo arrogante di porsi nei confronti delle altre culture, non ha molta
sensibilità nei confronti degli sguardi diversi, perché li considera inferiori
e, spesso e volentieri, ridicoli, insignificanti. Questa arroganza culturale,
che si spinge su tutti i piani, incide molto anche nella formazione delle
persone. Facciamo fatica non solo a metterci nei panni degli altri, ma anche ad
accettare la narrazione dell’altro, perché la riteniamo inferiore e, per questo
motivo ci sentiamo in diritto d’imporre la nostra, il nostro sguardo. C’è tanta
violenza nelle nostre relazioni quotidiane perché siamo stati formati (o
sformati?) a sentirci superiori, a scartare a priori la narrazione di coloro
che la nostra cultura ritiene inutile e inferiore. Il problema, a questo punto
è sapere e capire se siamo condannati dalla nostra arroganza o se abbiamo
ancora una possibilità di uscire dalla gabbia culturale che ci condanna al
narcisismo e, di conseguenza, alla solitudine.
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