Paolo Cugini
Ho incontrato in queste prime
settimane di parrocchia italiana, vari educatori di gruppi del post cresima e
spesso e volentieri hanno condiviso una difficoltà, vale a dire, la
disaffezione dei ragazzi alla messa. L’altro giorno una mamma mi chiedeva su facebook
alcuni consigli per convincere suo figlio adolescente ad andare a messa. Il
problema non è di facile soluzione e pone interrogativi sia sul modo
d’intendere la messa, sia sul percorso di formazione religiosa da compiere con
gli adolescenti. Si capisce allora, che agli adolescenti non è vero che non gli
piaccia andare a messa: gli fa proprio schifo!
La messa, nell’educazione religiosa
de bambini, è spesso e volentieri rivestita di una serie di ricatti morali che
gli adolescenti non accettano più. I genitori obbligano i propri figli ad andare
a messa. Quante volte assistiamo alla pessima scena dei genitori, o di uno dei
due, che arriva in macchina davanti alla chiesa e “scarica” letteralmente il
proprio figlio per andare alla messa. E’ chiaro che, se la messa è presentata
tra le pareti di casa come un dovere, un obbligo legato alla possibilità poi di
ricevere i sacramenti, terminato l’itinerario obbligatorio termina anche la
frequenza alla messa. Non è il contenuto che è rifiutato, ma le motivazioni
esterne per “convincere” i figli a frequentare le messe domenicali. Un genitore
trasmette contenuti e valori ai propri figli molto più con i gesti che con le
parole. Se scarica il proprio figlio alla domenica davanti alla chiesa quel
genitore sta comunicando che per lui la messa non vale nulla. E così il figlio
che per anni è stato scaricato davanti alla chiesa, appena potrà non metterà
più piede in quello spazio. Sappiamo bene che questo fenomeno avviene non solo
per i ragazzi di genitori non credenti, ma anche di genitori assidui alla
Chiesa. In questo caso la situazione è ancora più pesante perché si riveste di
sensi di colpa. Se, infatti, i genitori non credenti se ne infischiano se i
propri figli, dopo aver ricevuto il sacramento della cresima, non frequentano
più la parrocchia, ben differente è la situazione dei genitori credenti, che
non si danno pace quando i propri figli cominciano manifestare segni
d’insofferenza con il mondo religioso.
Il problema del rapporto trai ragazzi
e i riti religiosi va ricercato più a monte. La proposta religiosa esige la
libertà. Quando Gesù chiamava i suoi discepoli proponeva un cammino con un
messaggio e non obbligava nessuno. Non si può legare, oggi più che mai, la
proposta del Vangelo con il percorso scolastico. Non si può obbligare nessuno a
credere in Dio, tanto meno un bambino. Questo a mio avviso è il centro del
colossale paradosso religioso che la nostra epoca sta vivendo. La psicologia
della religione c’insegna che il bambino è predisposto a cogliere Dio nella
propria vita. Anche la filosofia della religione c’insegna che l’uomo e la
donna sono ontologicamente religiosi. Se negli adolescenti sorge un dissapore
con la chiesa e un’opposizione a Dio, ciò va cercato nel modo di comunicarlo.
Sembra che ce la stiamo mettendo tutta per distruggere il naturale sentimento
religioso dei ragazzi. Il dato drammatico è che coloro che stanno compiendo
questa operazione scellerata siamo proprio noi che crediamo in Dio. Se, ad un certo punto del cammino, Dio non è
colto più come amore, come necessità intrinseca, ma come una cosa pesa e
inutile, significa che qualcosa non è funzionato nel modo di accompagnare i
bambini nel mistero di Dio.
Negli spazi parrocchiali, nei quali
dovrebbe avvenire l’accompagnamento ai percorsi di fede a tutti i livelli,
stiamo impartendo un insegnamento forzato, sapendo che (le statistiche ce lo
ricordano tutti i giorni), terminato il cammino dell’iniziazione cristiana la
stragrande maggioranza non metterà più piede in chiesa. Se questo modello
catechistico poteva funzionare nei decenni passati, oggi non funziona più. La
domanda che emerge immediatamente è la seguente: se lo sappiamo perché
continuiamo a farlo? Se da decenni sappiamo che i ragazzi terminata la Cresima
abbandoneranno la chiesa, perché continuiamo a proporre la proposta di Gesù in
questo modo? Non sarebbe meglio cambiare modalità? Ci vuole così tanto a capire
che è l’ora di cambiare?
Se siamo convinti che l’epoca della
cristianità è finita, allora bisogna accompagnare questa presa di coscienza con
scelte pastorali all’altezza dei tempi. Se dei genitori non credenti si sentono
in dovere di costringere i loro figli a partecipare della messa domenicale e
dei percorsi di catechesi, è perché la fede più che essere una risposta
personale ad un appello, è un fenomeno collettivo, sociale. E allora, pur di
far sentire i propri figli socialmente “normali”, i genitori non credenti o
agnostici o indifferenti, si sottopongono a sette/otto anni di lavori forzati
accompagnando i propri figli nei perimetri ecclesiali. Fino a quando i preti, i
catechisti saranno costretti a perdere tempo per sorreggere questa barca di
carta che fa acqua da tutte le parti? Fino a quando le parrocchia dovranno
continuare ad offrire i servizi educativi più disparati pur di attrarre nei
propri perimetri i ragazzi, che entrano in questi benedetti perimetri a fare
tutto fuorché l’essenziale (religiosamente parlando)? Fino a quando dovremo
continuare a sforzarci ad inventare qualcosa per attrarre bambini e ragazzi su
qualcosa che poi abbandoneranno? Fino a quando dovremo mantenere in piedi un
sistema catechistico per garantire qualcosa che sappiamo sin dall’inizio che
non avrà seguito?
Come sarebbe bello vivere
l’esperienza del Vangelo come una proposta libera. Forse non ci sentiremmo stressati
dal dovere costruire e poi di riempire spazi, anche perché forse capiremmo che
il messaggio di Gesù andava esattamente dalla parte opposta.
sono un adolescente , vado in chiesa per obbligo (mia mamma mi obbliga), ma a me di Dio nn frega nulla, in quelĺ'ora penso a tutt'altro furchè il Vangelo
RispondiEliminaSono un uomo di 32 anni. Da bambino, la mia famiglia non era praticante. Ero io a dover "tirare" la famiglia in Chiesa, perché sono sempre stato perfezionista e non volevo dover confessare un peccato per ogni domenica. Crescendo, la mia famiglia non ha saputo accompagnarmi in alcune domande esistenziali, nè la mia parrocchia, nè i miei amici. Tra le righe nessuno dei miei amici andava a Messa dopo la Cresima. Così sono diventato ateo e ho sofferto di grossi disagi. Da ateo però ho colto alcune considerazioni. Il pensiero critico può essere illuminante, a volte.
RispondiElimina-le persone che hanno continuato ad andare a Messa avevano entrambi i genitori credenti
-le persone che si definivano "cristiane", spesso avevano correlata una identità politica a destra.
-le persone si definivano "cristiane" e praticanti avevano una vita sessuale più attiva della mia. Almeno a parole.
Questo non toglie che la mia scelta di abbandonare la Chiesa, da adolescente. Scelta, forse obbligata, abbia influito su un periodo che considero il più rovinoso di tutta la mia vita.
Termino dicendo che oggi credo, ma capisco anche chi fa il contrario.
Bell'articolo!