lunedì 9 febbraio 2015

PERCHE' AGLI ADOLESCENTI NON PIACE LA MESSA?





Paolo Cugini

Ho incontrato in queste prime settimane di parrocchia italiana, vari educatori di gruppi del post cresima e spesso e volentieri hanno condiviso una difficoltà, vale a dire, la disaffezione dei ragazzi alla messa. L’altro giorno una mamma mi chiedeva su facebook alcuni consigli per convincere suo figlio adolescente ad andare a messa. Il problema non è di facile soluzione e pone interrogativi sia sul modo d’intendere la messa, sia sul percorso di formazione religiosa da compiere con gli adolescenti. Si capisce allora, che agli adolescenti non è vero che non gli piaccia andare a messa: gli fa proprio schifo!

La messa, nell’educazione religiosa de bambini, è spesso e volentieri rivestita di una serie di ricatti morali che gli adolescenti non accettano più. I genitori obbligano i propri figli ad andare a messa. Quante volte assistiamo alla pessima scena dei genitori, o di uno dei due, che arriva in macchina davanti alla chiesa e “scarica” letteralmente il proprio figlio per andare alla messa. E’ chiaro che, se la messa è presentata tra le pareti di casa come un dovere, un obbligo legato alla possibilità poi di ricevere i sacramenti, terminato l’itinerario obbligatorio termina anche la frequenza alla messa. Non è il contenuto che è rifiutato, ma le motivazioni esterne per “convincere” i figli a frequentare le messe domenicali. Un genitore trasmette contenuti e valori ai propri figli molto più con i gesti che con le parole. Se scarica il proprio figlio alla domenica davanti alla chiesa quel genitore sta comunicando che per lui la messa non vale nulla. E così il figlio che per anni è stato scaricato davanti alla chiesa, appena potrà non metterà più piede in quello spazio. Sappiamo bene che questo fenomeno avviene non solo per i ragazzi di genitori non credenti, ma anche di genitori assidui alla Chiesa. In questo caso la situazione è ancora più pesante perché si riveste di sensi di colpa. Se, infatti, i genitori non credenti se ne infischiano se i propri figli, dopo aver ricevuto il sacramento della cresima, non frequentano più la parrocchia, ben differente è la situazione dei genitori credenti, che non si danno pace quando i propri figli cominciano manifestare segni d’insofferenza con il mondo religioso. 

Il problema del rapporto trai ragazzi e i riti religiosi va ricercato più a monte. La proposta religiosa esige la libertà. Quando Gesù chiamava i suoi discepoli proponeva un cammino con un messaggio e non obbligava nessuno. Non si può legare, oggi più che mai, la proposta del Vangelo con il percorso scolastico. Non si può obbligare nessuno a credere in Dio, tanto meno un bambino. Questo a mio avviso è il centro del colossale paradosso religioso che la nostra epoca sta vivendo. La psicologia della religione c’insegna che il bambino è predisposto a cogliere Dio nella propria vita. Anche la filosofia della religione c’insegna che l’uomo e la donna sono ontologicamente religiosi. Se negli adolescenti sorge un dissapore con la chiesa e un’opposizione a Dio, ciò va cercato nel modo di comunicarlo. Sembra che ce la stiamo mettendo tutta per distruggere il naturale sentimento religioso dei ragazzi. Il dato drammatico è che coloro che stanno compiendo questa operazione scellerata siamo proprio noi che crediamo in Dio.  Se, ad un certo punto del cammino, Dio non è colto più come amore, come necessità intrinseca, ma come una cosa pesa e inutile, significa che qualcosa non è funzionato nel modo di accompagnare i bambini nel mistero di Dio.
Negli spazi parrocchiali, nei quali dovrebbe avvenire l’accompagnamento ai percorsi di fede a tutti i livelli, stiamo impartendo un insegnamento forzato, sapendo che (le statistiche ce lo ricordano tutti i giorni), terminato il cammino dell’iniziazione cristiana la stragrande maggioranza non metterà più piede in chiesa. Se questo modello catechistico poteva funzionare nei decenni passati, oggi non funziona più. La domanda che emerge immediatamente è la seguente: se lo sappiamo perché continuiamo a farlo? Se da decenni sappiamo che i ragazzi terminata la Cresima abbandoneranno la chiesa, perché continuiamo a proporre la proposta di Gesù in questo modo? Non sarebbe meglio cambiare modalità? Ci vuole così tanto a capire che è l’ora di cambiare? 

 Se siamo convinti che l’epoca della cristianità è finita, allora bisogna accompagnare questa presa di coscienza con scelte pastorali all’altezza dei tempi. Se dei genitori non credenti si sentono in dovere di costringere i loro figli a partecipare della messa domenicale e dei percorsi di catechesi, è perché la fede più che essere una risposta personale ad un appello, è un fenomeno collettivo, sociale. E allora, pur di far sentire i propri figli socialmente “normali”, i genitori non credenti o agnostici o indifferenti, si sottopongono a sette/otto anni di lavori forzati accompagnando i propri figli nei perimetri ecclesiali. Fino a quando i preti, i catechisti saranno costretti a perdere tempo per sorreggere questa barca di carta che fa acqua da tutte le parti? Fino a quando le parrocchia dovranno continuare ad offrire i servizi educativi più disparati pur di attrarre nei propri perimetri i ragazzi, che entrano in questi benedetti perimetri a fare tutto fuorché l’essenziale (religiosamente parlando)? Fino a quando dovremo continuare a sforzarci ad inventare qualcosa per attrarre bambini e ragazzi su qualcosa che poi abbandoneranno? Fino a quando dovremo mantenere in piedi un sistema catechistico per garantire qualcosa che sappiamo sin dall’inizio che non avrà seguito? 

Come sarebbe bello vivere l’esperienza del Vangelo come una proposta libera. Forse non ci sentiremmo stressati dal dovere costruire e poi di riempire spazi, anche perché forse capiremmo che il messaggio di Gesù andava esattamente dalla parte opposta.

2 commenti:

  1. sono un adolescente , vado in chiesa per obbligo (mia mamma mi obbliga), ma a me di Dio nn frega nulla, in quelĺ'ora penso a tutt'altro furchè il Vangelo

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  2. Sono un uomo di 32 anni. Da bambino, la mia famiglia non era praticante. Ero io a dover "tirare" la famiglia in Chiesa, perché sono sempre stato perfezionista e non volevo dover confessare un peccato per ogni domenica. Crescendo, la mia famiglia non ha saputo accompagnarmi in alcune domande esistenziali, nè la mia parrocchia, nè i miei amici. Tra le righe nessuno dei miei amici andava a Messa dopo la Cresima. Così sono diventato ateo e ho sofferto di grossi disagi. Da ateo però ho colto alcune considerazioni. Il pensiero critico può essere illuminante, a volte.
    -le persone che hanno continuato ad andare a Messa avevano entrambi i genitori credenti
    -le persone che si definivano "cristiane", spesso avevano correlata una identità politica a destra.
    -le persone si definivano "cristiane" e praticanti avevano una vita sessuale più attiva della mia. Almeno a parole.
    Questo non toglie che la mia scelta di abbandonare la Chiesa, da adolescente. Scelta, forse obbligata, abbia influito su un periodo che considero il più rovinoso di tutta la mia vita.
    Termino dicendo che oggi credo, ma capisco anche chi fa il contrario.
    Bell'articolo!

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