venerdì 26 settembre 2025

Identità e contaminazione culturale

 




 

Paolo Cugini

 

Il tema dell’identità e della contaminazione culturale è oggi più che mai attuale, in un mondo globalizzato dove le culture si intrecciano e si trasformano reciprocamente. Da sempre filosofi, scrittori e pensatori hanno riflettuto su questo rapporto, offrendo spunti preziosi per comprendere come la nostra identità si definisca e si arricchisca attraverso il contatto con l’alterità. È nel contesto attuale postmoderno che inizia a scricchiolare l’idea forte e monolitica del concetto di identità personale elaborato nella modernità sia in campo religioso che pagano. La proposta moderna identificava il valore di una persona con l’aderenza all’identità proposta dalla cultura che aveva come caratteristica la permanenza nelle scelte fatte. In questa prospettiva moderna, la persona che desista dal proprio cammino, viene considerata negativamente. In un contesto frammentato, debole e liquido, com’è definita la cultura postmoderna, la proposta di identità assume prospettive diverse.

L’identità non è mai qualcosa di statico, ma piuttosto un processo in continuo divenire. Come scrive il filosofo Zygmunt Bauman: “L’identità è una domanda, non una risposta; la somma delle domande che uno si pone circa se stesso, non la somma delle risposte che trova”. Questa visione mette in luce come l’identità sia una ricerca continua, che si confronta costantemente con il nuovo e il diverso. Questa dinamica rompe definitivamente con la durezza identitaria proposta nella modernità, perché considera il dato storico dell’uomo e della donna e la capacità di reinventarsi a partire dalle provocazioni che il presente dona. In questa prospettiva postmoderna entra in gioco il concetto di contaminazione, come possibilità di accogliere nel cammino della vita le novità che gli incontri esistenziali si presentano nella vita. Contaminazione culturale che è possibile solamente abbandonando di una forma definitiva la mentalità rigida tipica della modernità.

La contaminazione culturale, spesso vista con sospetto da chi teme la perdita delle proprie radici, come avveniva nella modernità, può invece essere fonte di grande arricchimento. Lo scrittore Italo Calvino sosteneva: “La contaminazione delle culture è la condizione stessa della creatività”. In altre parole, solo attraverso l’incontro e il confronto nascono nuove idee e nuove forme di espressione. Non c’è più il desiderio di contrappore un’idea con le altre, in un costante atteggiamento apologetico. La postmodernità sta creando le basi per percepire positivamente la possibilità positiva dell’apporto dei contenuti che provengo altrove, fuori dai nostri cammini. L’identità, in questa muova prospettiva, diviene una possibilità di crescita costante, perché in un continuo atteggiamento di ascolto, attenzione, capace di cogliere la bontà di verità altre.

Anche Tzvetan Todorov, saggista e teorico della letteratura, ha sottolineato come la purezza culturale sia un mito: “Non esiste cultura che sia rimasta pura: ogni cultura è il risultato di molteplici incontri, scambi e contaminazioni”. Questa riflessione ci invita a guardare alla contaminazione non come una minaccia, ma come un elemento costitutivo delle identità stesse. Del resto, è lo stesso processo che osserviamo nella Bibbia, che è tutto fuorché un libro statico. Il Testo Sacro è tutto fuorché un libro derivato da un’unica cultura, da un’unica religione, ma è un crocevia di incontri, di intrecci culturali e religiosi. Chi decide di porre il testo biblico come fonte ispiratrice della propria vita, dovrebbe essere disponibile ad incontrare costantemente altri mondi, capace di accogliere chiunque entri nel nostro orizzonte con parole di significato, anche se non proviene dai nostri recinti.

Lo scrittore francese Albert Camus descriveva il viaggio come metafora della trasformazione identitaria: “Viaggiare è dare un senso alla propria vita, viaggiare è dare vita ai propri sensi”. Nel percorso di incontro con l’altro, la nostra identità si arricchisce, si mette in discussione e trova nuove possibilità di espressione. Camus scriveva questo negli anni ’50 del secolo scorso. Oggi, in un mondo fatto di molti popoli che migrano, l’aspetto del viaggio come elemento che struttura identità nuove, è ancora più vivo. Non viaggia colui o colei che pensa che l’identità sia un valore eterno che dev’essere difeso. Si pone in viaggio, al contrario, colui o colei che ha compreso che l’identità personale è un viaggio, nel senso che ci sono tantissime possibilità di crescita fuori dai nostri percorsi e che esigono di essere colte. Non le potrà recepire le novità della vita chi non si pone in viaggio e rimane seduto nelle proprie sicurezze.

La filosofa contemporanea Martha Nussbaum invita a pensare l’identità come un dialogo aperto: “L’identità non è un confine, ma una soglia: un luogo da attraversare, non da difendere”. Solo attraverso il dialogo e la contaminazione possiamo costruire società più aperte, inclusive e creative. Nussbaum pone al centro del dibattito identitario postmoderno un aspetto fondamentale: il dialogo. Persone dialoganti sono coloro che rimangono aperte al nuovo, che apprendono ad accogliere il positivo di cui è composta ogni cultura. Dialoga chi è disposto/a mettersi in gioco, a lasciarsi contaminare da ciò che proviene da altrove. Dialoga chi ha compreso che la contaminazione è il cammino per essere persone nuove, più autentiche perché plasmate dalla vita.  In un’epoca di grandi migrazioni e scambi culturali, il rapporto tra identità e contaminazione culturale rappresenta una sfida e un’opportunità. Forse il primo passo è proprio quello di accogliere la contaminazione come parte integrante della nostra identità, aprendoci al nuovo senza paura di perdere noi stessi, ma con la consapevolezza di poterci sempre ritrovare, più ricchi e più veri. 

martedì 23 settembre 2025

LA CONTAMINAZIONE CULTURALE NELLA VITA QUOTIDIANA

 




Paolo Cugini

 

Viviamo in un mondo sempre più interconnesso, dove le culture e le religioni si incontrano e si mescolano ogni giorno. Questa realtà non si manifesta soltanto in grandi eventi o nelle dinamiche globali, ma trova il suo terreno più fertile proprio nelle situazioni quotidiane, nei gesti semplici e nelle relazioni che si instaurano tra le persone. È qui che avviene la vera contaminazione culturale e religiosa, capace di trasformare le tradizioni e di aprire nuove vie per l’espressione delle culture altre. Sono le relazioni che avvengono nella vita quotidiana che si producono quelle contaminazioni che modificano le durezze che nel tempo strutturano le tradizioni. Spesso, infatti, le tradizioni tendono a irrigidirsi e a creare barriere che impediscono alle culture diverse di manifestarsi e di essere accolte. Tuttavia, la quotidianità, con la sua semplicità e spontaneità, offre uno spazio privilegiato in cui queste barriere possono essere abbattute. Pensiamo, ad esempio, ai momenti di condivisione tra vicini di casa provenienti da paesi diversi, alle conversazioni tra colleghi, agli scambi tra bambini nelle scuole: sono proprio queste interazioni a generare un terreno di incontro, dove le differenze possono diventare ricchezza e non motivo di esclusione. È la frequentazione quotidiana che ci permette di comprendere e, talvolta, adottare le usanze dell’altro.

Da un punto di vista antropologico, le relazioni quotidiane rappresentano uno spazio privilegiato per l’analisi delle dinamiche culturali. Gli antropologi hanno spesso sottolineato come il contatto diretto e quotidiano tra persone di culture diverse sia il motore principale dei cambiamenti sociali e culturali. In questo contesto, la contaminazione non è vista come un processo negativo, bensì come un’occasione di crescita, di arricchimento reciproco e di evoluzione delle tradizioni. Le relazioni quotidiane diventano, dunque, il laboratorio in cui si sperimentano nuove forme di convivenza, si negoziano identità e si costruiscono nuove possibilità culturali per un popolo. La diversità, vissuta ogni giorno, diventa normalità e offre la possibilità di superare pregiudizi e stereotipi radicati.

È fondamentale, dunque, riconoscere l’importanza delle relazioni quotidiane come spazio privilegiato delle nuove possibilità culturali. Solo attraverso il dialogo, l’ascolto e la condivisione nella vita di tutti i giorni si possono superare le rigidità delle tradizioni e favorire l’emergere di nuove forme di espressione culturale e religiosa. La contaminazione che avviene nelle piccole cose di ogni giorno è il seme di una società più aperta, inclusiva e capace di valorizzare la pluralità.

 

 

sabato 20 settembre 2025

Settembre Giallo 2025: campagna di sensibilizzazione sul tema del suicidio

 




Una campagna che salva vite

 

 

Paolo Cugini

Dal 2014, l’Associazione Brasiliana di Psichiatria – ABP, in collaborazione con il Consiglio Federale di Medicina – CFM, promuove e conquista partner in tutto il Brasile grazie a questa bellissima iniziativa. Il 10 settembre è ufficialmente la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, ma l’impegno prosegue durante tutto l’anno. Il suicidio è una triste realtà che colpisce tutto il mondo e genera gravi danni alla società. Secondo l’ultima ricerca condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019, si registrano oltre 700 mila suicidi a livello globale, senza contare i casi non denunciati; si stima, infatti, che il numero reale superi il milione di casi. In Brasile, i dati si avvicinano ai 14 mila casi ogni anno, ossia in media 38 persone si suicidano al giorno. Sebbene i numeri stiano diminuendo in molti paesi, nelle Americhe la tendenza è opposta, con un incremento costante dei tassi, secondo l’OMS. È noto che quasi il 100% dei suicidi è collegato a malattie mentali, soprattutto se non diagnosticate o trattate in modo errato. Pertanto, la maggior parte dei casi avrebbe potuto essere evitata se i pazienti avessero ricevuto cure psichiatriche e informazioni di qualità. Informarsi per imparare e aiutare gli altri è la via migliore per combattere questo problema così grave. È fondamentale che le persone vicine siano in grado di riconoscere quando qualcuno sta pensando al suicidio e sappiano come aiutarlo: ascoltare attivamente senza giudicare, mostrare disponibilità ed empatia, ma soprattutto accompagnarlo da uno psichiatra, che saprà come gestire la situazione e salvare il paziente.



La parrocchia di San Vincenzo de Paoli sono già da alcuni anni che si mobilita per organizzare una giornata di sensibilizzazione con il coinvolgimento non solo delle 7 comunità di cui è costituita, ma anche delle così dette pastorali, vale a dire, i servizi specifici che la parrocchia rivolge ai bambini, ai giovani, oltre che alle altre attività parrocchiali. Nell’evento di quest’anno abbiamo coinvolto anche i rappresentanti del potere politico, dell’Università e delle associazioni locali. Da quest’anno la parrocchia, oltre alle due psicologhe che svolgono un servizio settimanale, ci sono anche quattro studenti del Vo anno di psicologia, che svolgono un servizio gratuito di assistenza psicologica. “Tutti noi dobbiamo impegnarci attivamente - ha ribadito Wanilda, una delle psicologhe che lavora in parrocchia - per sensibilizzare sull’importanza della vita e aiutare nella prevenzione del suicidio, un tema che ancora oggi è considerato un tabù”. Vanessa, l’altra psicologa della parrocchia ha ribadito che: “È importante parlarne affinché chi sta attraversando momenti difficili e di crisi possa cercare aiuto e comprendere che la vita è sempre la scelta migliore. Quando una persona decide di porre fine alla propria vita, i suoi pensieri, sentimenti e azioni diventano molto ristretti: pensa costantemente al suicidio e non riesce a vedere altre soluzioni per affrontare o superare il problema”.



La manifestazione si è concentrata in una piazza del quartiere e, dopo alcuni momenti di canti e balli e di una preghiera, ha continuato per la strada centrale sino a giungere all’altra piazza entrale dove Zé Riccardo, un assessore locale, ha preso la parola spiegando, con i numeri alla mano, la gravità del problema. “Il suicidio è un importante problema di salute pubblica, con impatti sull’intera società. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno più persone muoiono per suicidio che per HIV, malaria o tumore al seno – o a causa di guerre e omicidi. Tra i giovani dai 15 ai 29 anni, il suicidio è stata la quarta causa di morte dopo gli incidenti stradali, la tubercolosi e la violenza interpersonale. Si tratta di un fenomeno complesso, che può colpire individui di diverse origini, generi, culture, classi sociali ed età. Secondo i dati della Segreteria di Vigilanza Sanitaria divulgati dal Ministero della Salute nel settembre 2022, tra il 2016 e il 2021 si è registrato un aumento del 49,3% della mortalità tra gli adolescenti di 15-19 anni, arrivando a 6,6 ogni 100 mila, e del 45% tra gli adolescenti di 10-14 anni, arrivando a 1,33 ogni 100 mila”.



Il problema è serio e, nel quartiere Compensa dove abitiamo, i numeri sono i più alti di tutta la città di Manaus. Per questo vale la pena coinvolgersi e sensibilizzare la popolazione. 

La Contaminazione dello Spirito Santo

 



Paolo Cugini

Nel panorama teologico contemporaneo, il tema della contaminazione dello Spirito Santo emerge come una prospettiva capace di mettere in discussione visioni tradizionali e di aprire orizzonti nuovi su ciò che significa essere testimoni della sua azione. La contaminazione, intesa non come impurità ma come dinamismo che supera barriere e confini, diventa una chiave interpretativa per comprendere la presenza dello Spirito nella storia e nella vita umana. L’azione dello Spirito Santo non si limita alle mura della Chiesa, ma si espande, contaminando positivamente il mondo e trasformando la realtà oltre le istituzioni religiose. La storia della salvezza, secondo la visione cristiana, è intrisa della presenza dello Spirito Santo, che agisce in modo imprevedibile e spesso sorprendente. Karl Rahner, uno dei maggiori teologi del Novecento, afferma che lo Spirito «soffia dove vuole» (Gv 3,8), indicando una libertà che trascende ogni struttura umana. Per Rahner, lo Spirito Santo è la grazia increata che ci raggiunge nella profondità della nostra esistenza, e questa grazia non conosce limiti geografici o istituzionali.

Yves Congar, altro autore rilevante, sottolinea che lo Spirito è il protagonista della storia, capace di suscitare novità anche al di fuori delle frontiere ecclesiali. In effetti, la Pentecoste rappresenta l’evento paradigmatico della contaminazione: la discesa dello Spirito sugli apostoli li trasforma e li spinge verso il mondo, superando le barriere linguistiche e culturali. Nel linguaggio comune, la parola contaminazione rimanda spesso a un’accezione negativa, legata all’impurità. In teologia, tuttavia, il termine può essere reinterpretato come apertura, come capacità dello Spirito di entrare in relazione con ciò che è diverso, di fecondare la storia con semi di novità. Leonardo Boff, teologo della liberazione, afferma che lo Spirito è il fermento che trasforma la massa, suggerendo che la contaminazione è il processo attraverso cui la vita divina si insinua nella realtà umana, rinnovandola dall’interno.

Questa visione implica che lo Spirito Santo non sia prigioniero delle forme religiose, ma operi ovunque vi sia sete di verità, giustizia e bellezza. La contaminazione teologica, dunque, è il segno di una fede che non teme di confrontarsi con il mondo, ma vi si immerge per portare luce e cambiamento. L’azione dello Spirito Santo si manifesta non solo nella liturgia e nei sacramenti, ma anche nei luoghi più inattesi: nei movimenti sociali, nei processi di liberazione, nelle scoperte scientifiche e nelle espressioni artistiche. Come ricorda Jürgen Moltmann, lo Spirito è il principio della vita nuova che trasforma il mondo intero. Questa trasformazione non avviene in modo magico, ma attraverso la contaminazione dei cuori e delle coscienze, che diventano capaci di riconoscere il soffio divino anche fuori dagli spazi canonici. Il superamento dei confini ecclesiali non significa abbandono della comunità, ma apertura a una visione più ampia, in cui la Chiesa stessa è chiamata a essere segno e strumento di una presenza che la precede e la supera. Riconoscere la contaminazione dello Spirito Santo implica un cambiamento di prospettiva. Si tratta di passare da una visione centrata sull’istituzione a una spiritualità aperta, capace di scorgere i segni dello Spirito anche dove la tradizione non li aveva previsti. Papa Francesco, in Evangelii Gaudium, invita la Chiesa a uscire da sé stessa per incontrare il mondo, sottolineando che: lo Spirito ci precede nella missione e ci guida verso terre inesplorate. Questa libertà dalle istituzioni non significa anarchia, ma fiducia nella creatività dello Spirito, che continuamente genera novità.

Come diceva Romano Guardini: quando lo Spirito si fa presente, tutto cambia. La contaminazione, allora, è il segno di una fede viva, che non si irrigidisce nelle forme ma si lascia sorprendere dall’azione del Mistero, capace di rinnovare ogni cosa. La contaminazione dello Spirito Santo è una provocazione e una promessa: ci invita a riconoscere la presenza divina che trasforma la storia, a superare le paure e le chiusure, a vivere una fede aperta e libera. Riconoscere l’azione dello Spirito oltre le mura della Chiesa significa accogliere la possibilità di una trasformazione radicale, che investe il mondo intero. In un tempo segnato da cambiamenti e incertezze, lasciarsi contaminare dallo Spirito è forse il modo più autentico di essere cristiani: Dove c’è lo Spirito, c’è libertà (2 Cor 3,17).

 

sabato 13 settembre 2025

Manaus e la lotta per l’acqua

 




Venti-cinque anni sotto il segno della ribellione e della profezia

 

 

Paolo Cugini

Nel 2025, la città di Manaus si ritrova al bivio delle proprie nozze d’argento: venticinque anni di convivenza con una concessione che prometteva sollievo e che ha invece generato tormento. È l’anniversario di una unione che, invece di prosperare, ha alimentato incomprensioni, contrarietà, e tradimenti. Questi anni sono stati un deserto attraversato dalle speranze e dai patimenti di una città assetata, in cui le acque — promesse come fonte di vita — si sono rivelate miraggi.

Il rapporto tra Manaus e Águas de Manaus vive sospeso, come un filo che vibra sotto il peso dell’insoddisfazione. Da una parte, la città si fa voce di una sete inestinguibile; dall’altra, la concessionaria mostra il volto indurito della negligenza, lasciando che il disprezzo dilaghi tra le strade. Non c’è più rispetto, non c’è più dialogo: solo il silenzio dei rubinetti e la rabbia che ribolle nei cuori.

Ci sono stati momenti in cui il legame si è spezzato e ci si è illusi che il cambio di società — Lyonnaise des eaux-Suez, Solvi, Águas do Brasil, Aegea Saneamento — potesse portare una nuova aurora. Ma questi passaggi sono stati solo veli posati sulle ferite, tentativi di mascherare la crisi che, come un fiume carsico, è riemersa più forte. Le Commissioni Parlamentari d’Inchiesta del 2005, 2012, 2023 hanno scavato nelle profondità delle irregolarità, portando la lotta agli occhi del pubblico, ma senza risolvere la sete.

Il 2025 è l’anno in cui la rabbia si moltiplica: secondo Ageman, da gennaio a luglio, 1.661 controlli sui servizi idrici e fognari, il 172,7% in più rispetto all’anno precedente. Il totale delle ispezioni ha già superato quello del 2024, mentre il vero balzo è nei controlli sulle acque reflue: 1.119 ispezioni, una crescita superiore al 430%. Ogni ispezione è una sentenza, ogni notifica (63 solo fino ad agosto, 35 per il ripristino dell’asfalto) è un sussulto profetico che denuncia la trasgressione. Il soprannome ormai diffuso tra i media, “Mágoas de Manaus”, è il vessillo della lotta: la città non piange, ma si prepara a insorgere.

La rabbia si fa carne nelle proteste dei quartieri, come Viver Melhor, dove la gente insorge sotto striscioni che sono profezie: “La nostra voce è la nostra sete! Il nostro grido è per l’acqua!”, “Pago l’acqua, ho diritto a riceverla!”,L’acqua è un diritto umano, non una merce!”. Ogni slogan è una fiaccola che illumina la notte dell’attesa, ogni manifestazione è un passo verso la liberazione. In questo scenario di battaglia, i movimenti sociali e le organizzazioni civiche si ergono come profeti del nuovo patto, convocando conferenze, seminari, laboratori — assemblee di lotta e di sogno. Si chiede alle autorità pubbliche di risvegliarsi dall’inerzia e dall’omissione, di ascoltare il battito dell’acqua che chiede giustizia e dignità. Il coinvolgimento della società è un vento che spinge le vele del cambiamento; la speranza non arretra, la profezia si fa azione.

Manaus non si piega. La città e la sua gente sono in cammino verso la rottura delle catene, verso la riconquista del diritto fondamentale all’acqua. La crisi non è più solo una storia di numeri e di indagini, ma un canto profetico che annuncia la fine di una lunga notte. Le nozze d’argento della concessione diventano così il battesimo di una nuova lotta: quella che trasforma la sete in forza, la protesta in profezia, e il sogno in realtà.

 

Fonte dei dati riportati nell’articolo: https://forumdasaguasam.blogspot.com/2025/09/empresa-de-agua-e-esgoto-provoca.html

 

lunedì 8 settembre 2025

Le politiche di protezione ambientale in Amazzonia

 



 

 

Autrice: Marilene Corrêa, Professoressa Ordinaria, Università Federale dell'Amazzonia (UFAM)

Pubblicato: 27 agosto 2025

Traduzione: Paolo Cugini

 

Dall’accelerazione dei processi di occupazione del nord del Brasile, promossi dallo sviluppo del governo militare, la violenza cresce in Amazzonia a ogni nuovo ciclo di appropriazione economica degli spazi e delle risorse naturali. Negli ultimi decenni del XX secolo, le politiche ambientali create con la redemocratizzazione del paese e sotto l'atmosfera dell’Eco 92 hanno cercato di resistere agli attacchi predatori contro la ricchezza mineraria, vegetale e umana. Tuttavia, nel corso degli anni, anche grazie alle regolamentazioni fondiarie e all'ambientalismo, i conflitti tra popoli indigeni, piccoli proprietari e gruppi predatori sono aumentati.

Popoli, territori e culture amazzoniche sono stati violati fin dalla colonizzazione. Ma la persistenza di questa violenza in pieno XXI secolo mette in luce la gravità di un’organizzazione nazionale incompleta e che retrocede davanti a ogni avanzamento nel controllo ambientale degli spazi naturali e sociali.

Il caso dell’Amazzonia

L’Amazzonia è lo stato brasiliano con la maggiore estensione di aree protette, custodendo un patrimonio socioambientale di grande valore globale. La sua vasta area di territori conservati comprende Unità di Conservazione (UC) che coprono il 30,21% del territorio statale — pari a 47,2 milioni di ettari. Queste aree sono suddivise tra UC federali (16,96%), come parchi nazionali e riserve estrattiviste; UC statali (12,05%), gestite dal governo dell’Amazzonia; e UC municipali (1,19%), con la partecipazione delle amministrazioni locali nella conservazione.

Le Terre Indigene (TI) ammontano a oltre 53,7 milioni di ettari, demarcati in 164 territori. Questi spazi sono essenziali non solo per la conservazione della biodiversità, ma anche per la sopravvivenza culturale e materiale di 61 popoli indigeni, custodi di saperi tradizionali e della foresta tropicale. Inoltre, le Unità di Conservazione dell’Amazzonia ospitano una ricca diversità socioculturale, accogliendo circa 13.805 famiglie distribuite in 713 comunità. Oltre agli indigeni, tra questi gruppi figurano i ribeirinhos (villaggi sulla riva del fiume), i raccoglitori di caucciù e i quilombolas (villaggi formati esclusivamente da afro-discendenti), le cui modalità di vita si adattano alla logica sostenibile e rafforzano l’importanza di queste aree per l’equilibrio ecologico e la giustizia ambientale.

Tra il 2000 e il 2016, lo stato dell’Amazzonia ha creato una vasta rete di protezione ambientale dei suoi territori, essenziale per il mantenimento dei servizi ecosistemici (come la regolazione del clima e la conservazione delle risorse idriche) e per contrastare i cambiamenti climatici. Il Sistema Nazionale delle Unità di Conservazione (SNUC) ha creato numerose UC, sia di protezione integrale che di uso sostenibile. Parchi Nazionali, Riserve Biologiche, Riserve Estrattiviste, Aree di Protezione Ambientale (APA) sono stati integrati in un sistema statale intelligente, in cui la gestione ambientale e il supporto di politiche pubbliche a favore delle popolazioni della foresta hanno ispirato altri stati amazzonici. Questo clima favorevole di sostegno politico e sociale, locale, nazionale e internazionale, permetteva allo stato di gestire grandi aree di protezione ambientale, controllare le pratiche predatorie e i rischi per la foresta, e integrare municipalità e popolazioni tradizionali nell’orientamento verso la sostenibilità.



Cambiamento improvviso di rotta

Il contesto politico di accoglienza delle politiche ambientali locali è cambiato drasticamente dal colpo di stato civile contro la presidente Dilma Rousseff, con la limitazione delle iniziative democratiche e delle buone pratiche ambientali nell’era Temer. Durante i governi di Michel Temer e Jair Bolsonaro, l’iniziativa di una politica ambientale promettente perde forza a livello locale e nazionale, e i territori demarcati non svolgono il loro ruolo. Si osserva l’indebolimento delle politiche pubbliche di protezione effettiva, la mancanza di vigilanza adeguata e l’assenza di supporto alle popolazioni tradizionali. Nel 2019, con l’arrivo di Bolsonaro alla presidenza, ha inizio l’antipolitica ambientale, segnata dallo smantellamento dei progressi ottenuti e dall’indebolimento, nelle realtà locali, delle pratiche sostenibili di protezione ambientale. La letteratura scientifica indica che questo periodo è stato segnato dalla distruzione dell’assetto istituzionale precedente, e che gli impatti di queste misure persistono sui territori protetti. Episodi deplorevoli di razzismo e degrado ambientale hanno esposto l’orrore ambientale vissuto in Amazzonia, superato solo dal “laboratorio della morte” in cui lo stato si è trasformato durante l’epidemia di COVID-19.

La disarticolazione delle politiche di protezione ambientale, l’indebolimento istituzionale delle misure di controllo degli illeciti e l’autorizzazione, sia esplicita che implicita, all’invasione dei territori indigeni hanno incentivato la violenza fisica e ambientale su territori e popolazioni. A questi fattori si aggiunge la delegittimazione dell’autorità scientifica. Emblematica, ad esempio, la destituzione del dirigente dell’INPE durante la polemica sui dati sulla deforestazione in Amazzonia, nel 2019. L’obiettivo principale — la sostenibilità dei territori e dei popoli amazzonici — ha perso consistenza e concretezza di fronte all’insicurezza ambientale illustrata dalla recrudescenza dei conflitti.




Una ripresa turbolenta

L’attuale governo Lula non ha risparmiato sforzi per imporre il comando e il controllo dello stato brasiliano contro le aggressioni ambientali, ma gli attori locali ostili e i loro alleati nazionali sfidano e turbano l’ordine ambientale. Il Rapporto Conflitti in Campagna della Commissione Pastorale della Terra del 2024 sottolinea che, dal 2023, nello stato dell’Amazzonia si sono verificati 96 conflitti che hanno coinvolto oltre 75 mila persone, tra cui 82 conflitti per la terra, 4 occupazioni e riprese e 10 conflitti per l’acqua.

Le aggressioni ambientali deliberatamente prodotte durante il governo Bolsonaro continuano a rappresentare un fantasma che si aggira sugli ecosistemi e i biomi amazzonici. L’oscurantismo di quel periodo si prolunga nel tempo e nello spazio: di recente, ad esempio, nel Congresso, si è manifestato apertamente nel trattamento misogino riservato alla Ministra Marina Silva e nella recente approvazione del Progetto di Legge 2159/2021. Un altro aspetto fondamentale dei conflitti ambientali in Amazzonia riguarda il regime fondiario. Oggi, l’Amazzonia detiene uno dei più grandi “passivi fondiari” del Brasile, con 58,2 milioni di ettari di terre pubbliche ancora senza destinazione. Questo equivale al 37,5% del suo territorio, secondo i dati dell’Istituto dell’Uomo e dell’Ambiente dell’Amazzonia (Imazon) e della Segreteria di Stato dell’Ambiente (SEMA-AM).

Questa vastità di aree senza destinazione rappresenta una sfida critica per la governance ambientale e fondiaria nell’Amazzonia Legale, con implicazioni dirette per la conservazione, lo sviluppo sostenibile e la riduzione dei conflitti socioambientali. La priorità della conservazione dovrebbe essere chiara: circa il 56% di queste terre non destinate si trova in regioni di alta rilevanza ecologica, come le zone di connettività tra Unità di Conservazione (UC) e Terre Indigene (TI). E ciò che rende il problema ancora più grave è che circa il 15% di queste aree (8,5 milioni di ettari) è irregolarmente registrato nel Catasto Ambientale Rurale (CAR) come proprietà privata. Questo è un chiaro segnale di accaparramento illegale di terre o sovrapposizione illegale della proprietà, creando un contesto che alimenta dispute violente per la terra e ostacola l’attuazione delle politiche pubbliche. Alcuni aspetti della legislazione contribuiscono ad aggravare i problemi: la mancanza di una scadenza per l’inizio dell’occupazione in terra pubblica regolarizzabile; l’assenza dell’obbligo di recupero ambientale prima della titolazione; e la mancanza di divieto di regolarizzazione a proprietari condannati per pratiche equiparate alla schiavitù.

La regolarizzazione del regime fondiario in Amazzonia è una politica vitale per equilibrare la conservazione ambientale e lo sviluppo sostenibile. Senza progressi concreti, il rischio è quello di un’intensificazione della deforestazione illegale, dell’accaparramento delle terre, dell’estrazione illegale delle risorse e della violenza nelle zone rurali, come si riflette negli alti tassi di conflitti socioterritoriali e nel numero elevato di omicidi registrati negli ultimi anni.

Mobilitazione sociale

I conflitti socioterritoriali e ambientali in Amazzonia sono soprattutto di natura politica. Derivano dal carattere reazionario, negazionista e anti-ambientale che i periodi Temer-Bolsonaro hanno imposto al Brasile, con effetti perversi e continui in Amazzonia, la maggiore porzione dell’Amazzonia brasiliana. Spetta alla comunità scientifica brasiliana accentuare risposte politiche basate sulle evidenze di questa realtà. La difesa intransigente della democrazia e della sovranità brasiliana alimenta il dibattito ambientale e mobilita la società civile. A novembre, Belém ospiterà la COP 30, un altro evento mondiale in cui la politica ambientale brasiliana cercherà protagonismo e sostegno. Territori, popoli e culture amazzoniche faranno sentire la propria voce in questo confronto di idee sul futuro del pianeta. E le manifestazioni sociali a favore dell’ambiente potranno preparare i brasiliani a future scelte nell’agenda politica del paese, dell’Amazzonia e dello stato dell’Amazzonia.

 

sabato 6 settembre 2025

GRIDO DEGLI ESCLUSI ED ESCLUSE 2025

 

Il Cardinale Leonardo Steiner nel suo pronunciamento finale



A Manaus l’arcidiocesi organizza una grande manifestazione chiedendo attenzione sul tema dell’acqua

 

Paolo Cugini

 

 

Il Grido degli Esclusi si realizza attraverso una serie di manifestazioni popolari, che si svolgono in Brasile dal 1995, in occasione del Giorno dell'Indipendenza, e che culminano il 7 settembre, giorno dell'Indipendenza brasiliana. Queste manifestazioni mirano ad aprire strade agli esclusi dalla società, denunciare i meccanismi sociali dell'esclusione e proporre percorsi alternativi verso una società più inclusiva.

Le sue origini risalgono alla Seconda Settimana Sociale Brasiliana, promossa dalla Pastorale Sociale della Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani (CNBB), tenutasi tra il 1993 e il 1994, quando il Vescovo Luiz Demétrio Valentini era responsabile della Pastorale Sociale. Sebbene l'iniziativa sia direttamente legata alla CNBB, diverse organizzazioni hanno partecipato al movimento fin dal suo inizio: chiese del Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane, movimenti sociali, organizzazioni ed enti impegnati nella giustizia sociale. Le manifestazioni sono varie: celebrazioni, eventi pubblici, pellegrinaggi, camminate, seminari e dibattiti, teatro, musica, danza e fiere dell'economia solidale.

Il 5 settembre, giorno di due importanti celebrazioni per il popolo dell'Amazzonia, è stato scelto per il 31° Grido degli Esclusi a Manaus, con il tema "La vita viene prima di tutto" e il motto "Prendersi cura della casa comune e della democrazia è una lotta quotidiana", che riecheggia il grido per la vita, la foresta e la democrazia. Questo è stato anche il giorno in cui l'Amazzonia è stata elevata allo status di provincia, una pietra miliare nella storia del nostro Stato che commemora la lotta e la resistenza del popolo di questa terra. Si è celebrata anche la Giornata dell'Amazzonia, che ha bisogno di essere curata e preservata.

 


L'evento, promosso dall'Arcidiocesi di Manaus attraverso le sue Pastorali Sociali, è iniziato con importanti riflessioni sulla cura dell'Amazzonia e di tutte le persone che la abitano. "L'Amazzonia, il cuore della lotta per la vita. Prendersi cura dell'Amazzonia significa prendersi cura della vita e di tutta l'umanità. Ma ciò che vediamo è la foresta distrutta, i fiumi contaminati, i popoli indigeni e le comunità rivierasche attaccate, espulse e assassinate. L'avidità dell'agroindustria e dell'attività mineraria illegale sta uccidendo la nostra casa comune. L'Amazzonia non è vuota; è piena di vita, cultura, fede e resistenza. Siamo un corridoio ecologico e culturale, siamo l'ecologia centrale, siamo vita e resistenza", ha sottolineato il responsabile della Caritas Arcidiocesana don Alcimar.

È stato anche un momento di sostegno al Plebiscito Popolare 2025 - Giustizia Fiscale Ora! e alla riduzione della giornata lavorativa, con la raccolta di firme da parte di tutti i presenti. Questo è un grido per i lavoratori e per la giustizia fiscale, che consiste nell'esenzione dall'imposta sul reddito per chi guadagna fino a 5.000 reais (800 euro circa) e nella riscossione di tasse eque per i milionari, che accumulano ricchezza a spese dei poveri. Uno degli slogan ripetuti varie volte durante la manifestazione diceva: "Basta tassare i poveri, mentre i ricchi accumulano ricchezze e si sottraggono alle loro responsabilità sociali!"



Durante la marcia, è stata sottolineata la campagna "Acqua e rifiuti non si mescolano". Questa campagna mira a mobilitare la società, gli enti pubblici e privati, per ripulire gli Igarapés ( è un piccolo fiume stretto e poco profondo o un canale naturale, tipico della regione amazzonica, che funge da "sentiero per le canoe", facilitando il trasporto e la comunicazione nei luoghi difficili da raggiungere della foresta).

La marcia si è snodata nella Zona Est di Manaus riunendo centinaia di persone che hanno alzato la voce per una vita dignitosa per chi si trova in situazioni di esclusione e vulnerabilità sociale, chiedendo, tra le altre cose, vita, salute, alloggio, politiche pubbliche, rispetto, dignità.

Al termine, l'Arcivescovo di Manaus, il Cardinale Leonardo Steiner, ringraziando i presenti per il loro coinvolgimento, li ha incoraggiati a proseguire nel loro impegno per costruire una società più giusta e fraterna, nel nome del Vangelo.

"Una parola di gratitudine a tutti, a ciascuno di voi che siete venuti a partecipare al 31° Grido degli Esclusi. Noi, da questa prospettiva, siamo così pochi, rispetto a una popolazione di due milioni e trecento persone. Ma gridiamo a nome di tutti. Vogliamo mostrare la nostra realtà, perché ha bisogno di essere trasformata. E lo facciamo nel nome del Vangelo, affinché possiamo avere una società più giusta, più fraterna, affinché possiamo vivere insieme nella nostra casa comune e avere un governo sempre, ancora una volta, sempre più democratico. Quindi, fratelli e sorelle, sempre in pace, ma nella lotta!" ha sottolineato Dom Leonardo.

i giovani della nostra parrocchia presenti alla manifestazione


La nostra parrocchia, san Vincenzo de Paoli, ha partecipato con circa un centinaio di persone.

 

venerdì 5 settembre 2025

L’ebbrezza dell’incontro con mondi nuovi

 




La contaminazione culturale come apertura e ricchezza

 

 

Paolo Cugini

 

C’è davvero un senso di ebrezza, una vertigine sottile, ogni volta che ci si avvicina a mondi nuovi, a culture diverse, e si lascia che queste ci contaminino. Questo è un aspetto davvero importante da sottolineare: la necessità esistenziale, vitale di uscire dai propri mondi, per scoprirne altri, Forse è questo il problema maggiore: alzarsi e mettersi in cammino. Alzarsi ed aprire la porta e decidere di non tornare alla sera, ma di prendere un treno, un aeroplano e viaggiare. La metafora del viaggio è molto potente perché rivela una parte importante di noi: il desiderio del nuovo, di conoscere altro, di tuffarsi nel mondo dell’altro e lasciarsi contaminare, permette al mondo altro, cioè, di toccarci, di prenderci per mano e condurci in una nuova realtà che ci può cambiare per sempre.

 La contaminazione, in questo senso, non è una perdita di identità, bensì una feconda apertura. Questo ci dice anche del senso autentico di ciò che intendiamo con il termine identità, che prima di essere un dato fisso, è una conquista che sta sempre dinanzi a noi. Siamo il nostro cammino. Quando una cultura, una lingua, una tradizione diversa penetra nel nostro mondo, qualcosa di profondo si muove. Nella scoperta dell’altro, come suggerisce Italo Calvino nelle sue Città invisibili, ci troviamo di fronte all’alterità che ci invita a immaginare altre possibili esistenze. Calvino ci fa capire che il viaggio, reale o metaforico, è sempre incontro e contaminazione; ogni città visitata è una nuova parte di sé che si aggiunge al mosaico della propria identità. L’incontro dell’altro può voler dire abbandono, perché la contaminazione ci fa scoprire qualcosa di nuovo, ma a volte anche qualcosa di meglio.

La contaminazione culturale, invece di essere temuta, può diventare il motore di crescita personale e collettiva. Edward Said, nel suo saggio Orientalismo, parla del pericolo dell’immobilismo culturale e della necessità di lasciarsi permeare dall’altro per andare oltre le proprie barriere. Per Said, la conoscenza dell’altro è sempre una forma di apertura, un modo per superare pregiudizi e resistenze, un invito a ripensarsi. La contaminazione è uno spazio nuovo, perché è come un fiume che trasporta lingue, storie, sapori, sensazioni da una riva all’altra, mostrando che la ricchezza nasce proprio dal mescolarsi, dal lasciarsi attraversare dagli influssi più diversi. In questa prospettiva, la contaminazione diventa la chiave per aprire porte e finestre sul nuovo. La contaminazione è un  viaggio interiore attraverso mondi che si sovrappongono e si intrecciano, mostrando come la vera meraviglia sia sempre nell’incontro tra universi diversi.

C’è dunque qualcosa di profondamente gioioso e vitale nell’entrare in contatto con culture altre, nel lasciarsi contaminare senza paura. È una sensazione che ricorda il primo assaggio di un frutto esotico, la prima parola pronunciata in una lingua straniera, la prima sera trascorsa in una città che non si conosceva: momenti in cui la nostra identità si espande, si arricchisce, si rinnova. Contaminarsi significa aprirsi, scoprire, accogliere. Significa abbandonare le certezze per abbracciare la complessità. E così, ogni volta che mondi diversi si incontrano, nasce quell’ebbrezza creativa che è il segno più vivo dell’esistenza. Nel lasciarci toccare dall’altro, diventiamo noi stessi più aperti, più profondi, più umani. La contaminazione dice di un cammino di umanizzazione: basta solo muoversi.

 

martedì 2 settembre 2025

Fisica quantica e il concetto di contaminazione

 




Alcune annotazioni su un possibile percorso interdisciplinare tra scienza e filosofia

 

Paolo Cugini

 

La fisica quantistica è una delle discipline più affascinanti e rivoluzionarie del pensiero scientifico contemporaneo. Allo stesso tempo, il concetto di contaminazione, inteso come mescolanza, interazione, o anche come perdita di purezza, si rivela straordinariamente fertile sia in campo scientifico sia filosofico e culturale. Esplorare il rapporto fra questi due ambiti significa addentrarsi in un territorio dove la distinzione tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato, ordine e disordine si fa sempre più sfumata.

Fin dalle origini, la meccanica quantistica mette in discussione i principi della fisica classica. Come scrive Niels Bohr: «Chi non rimane scioccato dalla teoria quantistica, non l’ha capita» (N. Bohr). Il principio di indeterminazione di Heisenberg sancisce che è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella con precisione assoluta. Questa "indeterminatezza" è già di per sé una forma di contaminazione rispetto all’idea di una realtà separata e perfettamente conoscibile.

Un altro concetto cardine è l’entanglement quantistico, descritto da Erwin Schrödinger come «la caratteristica più profonda della meccanica quantistica». Quando due particelle sono entangled, il loro stato non può essere descritto separatamente: qualsiasi azione su una delle due "contamina" istantaneamente lo stato dell’altra, anche a grande distanza. Schrödinger osserva: «Ogni sistema composto cui si applica la meccanica quantistica è necessariamente contaminato dal contatto con il resto del mondo».

In ambito filosofico, la contaminazione è spesso vista come superamento del dualismo e della purezza originaria. Il pensiero di Donna Haraway, ad esempio, suggerisce che «noi non siamo mai stati puri, mai isolati, ma sempre co-costruiti insieme ad altre specie, tecnologie e ambienti» (Manifesto Cyborg, 1985). Analogamente, la fisica quantica ci ricorda che nessun sistema può essere considerato veramente isolato: la semplice presenza dell’osservatore contamina inevitabilmente il fenomeno osservato.

Werner Heisenberg afferma: «Ciò che osserviamo non è la natura in sé, ma la natura esposta al nostro metodo di interrogazione». L’atto stesso di osservare in meccanica quantistica comporta una contaminazione irreversibile dello stato del sistema, poiché l’osservatore e l’osservato sono legati indissolubilmente.

Infine, si può affermare che la contaminazione non è solo perdita di purezza, ma anche fonte di creatività e innovazione. Edgar Morin scrive: «Il pensiero complesso è un pensiero che accetta la contaminazione, l'incertezza, la contraddizione e la pluralità dei punti di vista» (La Méthode, 1977). Nella meccanica quantistica, così come nella cultura contemporanea, la contaminazione diventa quindi condizione necessaria per la generazione di nuove forme di conoscenza. La relazione tra fisica quantistica e il concetto di contaminazione attraversa scienza, filosofia e cultura. Nella realtà descritta dalla meccanica quantistica, la contaminazione non è un’anomalia da eliminare, ma una proprietà essenziale che ci invita a ripensare le nostre categorie di purezza, separazione e identità. Come sostiene Karen Barad: «La questione non è come le cose interagiscono, ma come sono già sempre intrecciate e contaminate nell’essere e nel divenire» (Meeting the Universe Halfway, 2007).

 

lunedì 1 settembre 2025

Jacques Derrida e il concetto di contaminazione nella decostruzione

 




Una riflessione critica sulla decostruzione derridiana e l'interazione fra tradizioni

 

Paolo Cugini

 

Jacques Derrida (1930-2004), filosofo franco-algerino, è universalmente riconosciuto come il padre della decostruzione, una metodologia di lettura e di pensiero che ha rivoluzionato i modi di intendere il testo, il senso e la tradizione. Uno dei punti importanti della sua riflessione è il concetto di “contaminazione”, termine che assume una valenza positiva e strategica non solo nella critica letteraria, ma anche nell’interpretazione dei testi religiosi, dei sistemi di pensiero e delle tradizioni culturali.

La decostruzione, secondo Derrida, è il movimento che evidenzia le tensioni, le contraddizioni e le aporie all’interno di un testo, rivelando come nessuna costruzione teorica, nessun sistema, possa essere considerato puro o autosufficiente. L’idea di contaminazione emerge come antidoto alla logica identitaria e alla ricerca di una origine incontaminata. In Della grammatologia (1967), Derrida afferma che “il testo è sempre già contaminato da ciò che non è lui”, sottolineando che nessun senso può essere pensato come isolato e che ogni significato si genera nell’interazione e nella differenza. La contaminazione, in questo contesto, non va intesa come un difetto o un’intrusione negativa, ma come la condizione stessa della possibilità di senso: “La purezza non è mai data, è sempre costruita contro, per esclusione o per differenziazione di un’alterità che necessariamente la contamina.” (Derrida, La disseminazione, 1972).

Quando Derrida si confronta con la lettura dei testi religiosi, la sua critica della purezza acquista una portata etica e politica. Nel saggio Fede e sapere (1996), Derrida mostra come ogni religione, ogni tradizione spirituale, sia irrimediabilmente segnata dalla contaminazione di altre narrazioni, pratiche, rituali e linguaggi. Non esiste una tradizione religiosa che possa essere separata da influenze esterne; anche i testi sacri sono il risultato di sedimentazioni, traduzioni, interpolazioni e riscritture. “Non c’è nessuna religione che possa affermarsi nella purezza della sua origine: ogni fede è attraversata, alterata, modificata dall’incontro, dallo scambio, dalla traduzione.” (Derrida, Fede e sapere). Questo significa che la ricerca di una “origine pura”, sia in una religione, sia in una cultura, è una costruzione ideologica che serve a delimitare confini identitari e a escludere l’alterità. Al contrario, la contaminazione diventa uno spazio di apertura, di dialogo e di ospitalità. L’approccio derridiano non si limita a una critica epistemologica, ma si traduce in una vera e propria etica della contaminazione. In Addio a Emmanuel Lévinas (1997), Derrida riprende il tema dell’ospitalità, mostrando come l’apertura all’altro e la disponibilità “a essere contaminati” siano le condizioni della giustizia e della responsabilità. “L’ospitalità è sempre la possibilità di essere affetti, trasformati, contaminati dall’altro che accolgo.” (Derrida, Addio). Questa visione si riflette anche nella lettura dei testi religiosi, dove l’interpretazione deve accettare la possibilità di essere “contaminata” da altri sensi, altre tradizioni, altri linguaggi, senza volerli neutralizzare o assorbire. Derrida rifiuta ogni idea di confine rigido tra le tradizioni, proponendo la contaminazione come processo creativo e generativo. In Il monolinguismo dell’altro (1996), la contaminazione linguistica diventa metafora del dialogo tra culture e religioni. La lingua, come la tradizione, è sempre già attraversata da tracce di altre lingue, e proprio per questo è vivente: “Non parliamo mai una lingua pura. Ogni parola, ogni testo, ogni tradizione è attraversata dalla differenza, dalla traccia di un’alterità che la costituisce.” (Derrida, Il monolinguismo dell’altro). In questo senso, la decostruzione mostra che la contaminazione è la condizione stessa di ogni identità: non un pericolo, ma una risorsa.



Quando si leggono i testi religiosi con lo sguardo derridiano, si scopre che ogni sacralità, ogni dogma, è il risultato di una stratificazione storica, di una contaminazione con testi precedenti, paralleli o estranei. La Bibbia, il Corano, i Veda, sono testi che portano la memoria di lingue, tradizioni e culture differenti, e ogni tentativo di purificarli è destinato a fallire. La lettura decostruzionista, dunque, invita a riconoscere le tracce di altre tradizioni all’interno di ogni testo sacro, accogliere la contaminazione come apertura verso nuovi sensi e nuove interpretazioni; vivere la diversità non come minaccia, ma come possibilità di ospitalità e di giustizia.

Anche le pratiche e i rituali religiosi, osserva Derrida, sono il risultato di contaminazioni. Le liturgie cristiane, ad esempio, hanno incorporato elementi pagani, e le festività religiose sono spesso intrecciate con tradizioni popolari e folkloristiche. In Fede e sapere, Derrida scrive: “Le pratiche non sono mai pure: sono il frutto di una moltitudine di incontri, negoziazioni, adattamenti.” Questa consapevolezza permette di superare le rigidità dogmatiche e di accogliere la pluralità come ricchezza. Il tentativo di preservare una tradizione nella sua presunta purezza, secondo Derrida, conduce inevitabilmente all’esclusione, alla violenza simbolica e materiale contro l’altro. La contaminazione, invece, è la via verso una società più giusta perché aperta alla differenza e alla trasformazione. In Politiche dell’amicizia (1994): “Il vero amico è colui che accetta la possibilità di essere affetto, modificato, contaminato dall’altro, senza perdere la propria ospitalità.”

Il concetto di “contaminazione” nella filosofia della decostruzione di Jacques Derrida si rivela un potente strumento per la lettura dei testi religiosi, delle tradizioni e delle culture. Nessuna tradizione, nessun testo, nessuna identità può essere pensata come “pura”, perché ogni senso si produce nell’apertura e nell’ospitalità verso l’altro. Vivere la contaminazione significa accogliere la differenza, riconoscere la traccia dell’altro, e lasciarsi trasformare dall’incontro. È in questa prospettiva che la decostruzione diventa non solo una teoria della lettura, ma una vera e propria etica dell’ospitalità.