martedì 30 settembre 2025
venerdì 26 settembre 2025
Identità e contaminazione culturale
Il
tema dell’identità e della contaminazione culturale è oggi più che mai attuale,
in un mondo globalizzato dove le culture si intrecciano e si trasformano
reciprocamente. Da sempre filosofi, scrittori e pensatori hanno riflettuto su
questo rapporto, offrendo spunti preziosi per comprendere come la nostra
identità si definisca e si arricchisca attraverso il contatto con l’alterità. È
nel contesto attuale postmoderno che inizia a scricchiolare l’idea forte e
monolitica del concetto di identità personale elaborato nella modernità sia in
campo religioso che pagano. La proposta moderna identificava il valore di una
persona con l’aderenza all’identità proposta dalla cultura che aveva come caratteristica
la permanenza nelle scelte fatte. In questa prospettiva moderna, la persona che
desista dal proprio cammino, viene considerata negativamente. In un contesto
frammentato, debole e liquido, com’è definita la cultura postmoderna, la
proposta di identità assume prospettive diverse.
L’identità
non è mai qualcosa di statico, ma piuttosto un processo in continuo divenire.
Come scrive il filosofo Zygmunt Bauman: “L’identità è una domanda, non una
risposta; la somma delle domande che uno si pone circa se stesso, non la somma
delle risposte che trova”. Questa visione mette in luce come l’identità sia una
ricerca continua, che si confronta costantemente con il nuovo e il diverso. Questa
dinamica rompe definitivamente con la durezza identitaria proposta nella
modernità, perché considera il dato storico dell’uomo e della donna e la
capacità di reinventarsi a partire dalle provocazioni che il presente dona. In
questa prospettiva postmoderna entra in gioco il concetto di contaminazione,
come possibilità di accogliere nel cammino della vita le novità che gli
incontri esistenziali si presentano nella vita. Contaminazione culturale che è
possibile solamente abbandonando di una forma definitiva la mentalità rigida tipica
della modernità.
La
contaminazione culturale, spesso vista con sospetto da chi teme la perdita
delle proprie radici, come avveniva nella modernità, può invece essere fonte di
grande arricchimento. Lo scrittore Italo Calvino sosteneva: “La contaminazione
delle culture è la condizione stessa della creatività”. In altre parole, solo
attraverso l’incontro e il confronto nascono nuove idee e nuove forme di
espressione. Non c’è più il desiderio di contrappore un’idea con le altre, in
un costante atteggiamento apologetico. La postmodernità sta creando le basi per
percepire positivamente la possibilità positiva dell’apporto dei contenuti che
provengo altrove, fuori dai nostri cammini. L’identità, in questa muova
prospettiva, diviene una possibilità di crescita costante, perché in un
continuo atteggiamento di ascolto, attenzione, capace di cogliere la bontà di
verità altre.
Anche
Tzvetan Todorov, saggista e teorico della letteratura, ha sottolineato come la
purezza culturale sia un mito: “Non esiste cultura che sia rimasta pura: ogni
cultura è il risultato di molteplici incontri, scambi e contaminazioni”. Questa
riflessione ci invita a guardare alla contaminazione non come una minaccia, ma
come un elemento costitutivo delle identità stesse. Del resto, è lo stesso
processo che osserviamo nella Bibbia, che è tutto fuorché un libro statico. Il
Testo Sacro è tutto fuorché un libro derivato da un’unica cultura, da un’unica
religione, ma è un crocevia di incontri, di intrecci culturali e religiosi. Chi
decide di porre il testo biblico come fonte ispiratrice della propria vita,
dovrebbe essere disponibile ad incontrare costantemente altri mondi, capace di
accogliere chiunque entri nel nostro orizzonte con parole di significato, anche
se non proviene dai nostri recinti.
Lo
scrittore francese Albert Camus descriveva il viaggio come metafora della
trasformazione identitaria: “Viaggiare è dare un senso alla propria vita,
viaggiare è dare vita ai propri sensi”. Nel percorso di incontro con l’altro,
la nostra identità si arricchisce, si mette in discussione e trova nuove
possibilità di espressione. Camus scriveva questo negli anni ’50 del secolo
scorso. Oggi, in un mondo fatto di molti popoli che migrano, l’aspetto del
viaggio come elemento che struttura identità nuove, è ancora più vivo. Non
viaggia colui o colei che pensa che l’identità sia un valore eterno che dev’essere
difeso. Si pone in viaggio, al contrario, colui o colei che ha compreso che l’identità
personale è un viaggio, nel senso che ci sono tantissime possibilità di crescita
fuori dai nostri percorsi e che esigono di essere colte. Non le potrà recepire
le novità della vita chi non si pone in viaggio e rimane seduto nelle proprie
sicurezze.
La filosofa contemporanea Martha Nussbaum invita a pensare l’identità come un dialogo aperto: “L’identità non è un confine, ma una soglia: un luogo da attraversare, non da difendere”. Solo attraverso il dialogo e la contaminazione possiamo costruire società più aperte, inclusive e creative. Nussbaum pone al centro del dibattito identitario postmoderno un aspetto fondamentale: il dialogo. Persone dialoganti sono coloro che rimangono aperte al nuovo, che apprendono ad accogliere il positivo di cui è composta ogni cultura. Dialoga chi è disposto/a mettersi in gioco, a lasciarsi contaminare da ciò che proviene da altrove. Dialoga chi ha compreso che la contaminazione è il cammino per essere persone nuove, più autentiche perché plasmate dalla vita. In un’epoca di grandi migrazioni e scambi culturali, il rapporto tra identità e contaminazione culturale rappresenta una sfida e un’opportunità. Forse il primo passo è proprio quello di accogliere la contaminazione come parte integrante della nostra identità, aprendoci al nuovo senza paura di perdere noi stessi, ma con la consapevolezza di poterci sempre ritrovare, più ricchi e più veri.
martedì 23 settembre 2025
LA CONTAMINAZIONE CULTURALE NELLA VITA QUOTIDIANA
Paolo Cugini
Viviamo
in un mondo sempre più interconnesso, dove le culture e le religioni si
incontrano e si mescolano ogni giorno. Questa realtà non si manifesta soltanto
in grandi eventi o nelle dinamiche globali, ma trova il suo terreno più fertile
proprio nelle situazioni quotidiane, nei gesti semplici e nelle relazioni che
si instaurano tra le persone. È qui che avviene la vera contaminazione
culturale e religiosa, capace di trasformare le tradizioni e di aprire nuove
vie per l’espressione delle culture altre. Sono le relazioni che avvengono
nella vita quotidiana che si producono quelle contaminazioni che modificano le
durezze che nel tempo strutturano le tradizioni. Spesso, infatti, le tradizioni
tendono a irrigidirsi e a creare barriere che impediscono alle culture diverse
di manifestarsi e di essere accolte. Tuttavia, la quotidianità, con la sua
semplicità e spontaneità, offre uno spazio privilegiato in cui queste barriere
possono essere abbattute. Pensiamo, ad esempio, ai momenti di condivisione tra
vicini di casa provenienti da paesi diversi, alle conversazioni tra colleghi,
agli scambi tra bambini nelle scuole: sono proprio queste interazioni a
generare un terreno di incontro, dove le differenze possono diventare ricchezza
e non motivo di esclusione. È la frequentazione quotidiana che ci permette di
comprendere e, talvolta, adottare le usanze dell’altro.
Da
un punto di vista antropologico, le relazioni quotidiane rappresentano uno
spazio privilegiato per l’analisi delle dinamiche culturali. Gli antropologi
hanno spesso sottolineato come il contatto diretto e quotidiano tra persone di
culture diverse sia il motore principale dei cambiamenti sociali e culturali.
In questo contesto, la contaminazione non è vista come un processo negativo,
bensì come un’occasione di crescita, di arricchimento reciproco e di evoluzione
delle tradizioni. Le relazioni quotidiane diventano, dunque, il laboratorio in
cui si sperimentano nuove forme di convivenza, si negoziano identità e si
costruiscono nuove possibilità culturali per un popolo. La diversità, vissuta
ogni giorno, diventa normalità e offre la possibilità di superare pregiudizi e
stereotipi radicati.
È
fondamentale, dunque, riconoscere l’importanza delle relazioni quotidiane come
spazio privilegiato delle nuove possibilità culturali. Solo attraverso il
dialogo, l’ascolto e la condivisione nella vita di tutti i giorni si possono
superare le rigidità delle tradizioni e favorire l’emergere di nuove forme di
espressione culturale e religiosa. La contaminazione che avviene nelle piccole
cose di ogni giorno è il seme di una società più aperta, inclusiva e capace di
valorizzare la pluralità.
sabato 20 settembre 2025
Settembre Giallo 2025: campagna di sensibilizzazione sul tema del suicidio
Una campagna che salva vite
Paolo Cugini
Dal
2014, l’Associazione Brasiliana di Psichiatria – ABP, in collaborazione con il
Consiglio Federale di Medicina – CFM, promuove e conquista partner in tutto il
Brasile grazie a questa bellissima iniziativa. Il 10 settembre è ufficialmente
la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, ma l’impegno prosegue
durante tutto l’anno. Il suicidio è una triste realtà che colpisce tutto il
mondo e genera gravi danni alla società. Secondo l’ultima ricerca condotta
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019, si registrano oltre
700 mila suicidi a livello globale, senza contare i casi non denunciati; si
stima, infatti, che il numero reale superi il milione di casi. In Brasile, i
dati si avvicinano ai 14 mila casi ogni anno, ossia in media 38 persone si
suicidano al giorno. Sebbene i numeri stiano diminuendo in molti paesi, nelle
Americhe la tendenza è opposta, con un incremento costante dei tassi, secondo
l’OMS. È noto che quasi il 100% dei suicidi è collegato a malattie mentali,
soprattutto se non diagnosticate o trattate in modo errato. Pertanto, la
maggior parte dei casi avrebbe potuto essere evitata se i pazienti avessero
ricevuto cure psichiatriche e informazioni di qualità. Informarsi per imparare
e aiutare gli altri è la via migliore per combattere questo problema così
grave. È fondamentale che le persone vicine siano in grado di riconoscere
quando qualcuno sta pensando al suicidio e sappiano come aiutarlo: ascoltare
attivamente senza giudicare, mostrare disponibilità ed empatia, ma soprattutto
accompagnarlo da uno psichiatra, che saprà come gestire la situazione e salvare
il paziente.
La
parrocchia di San Vincenzo de Paoli sono già da alcuni anni che si mobilita per
organizzare una giornata di sensibilizzazione con il coinvolgimento non solo
delle 7 comunità di cui è costituita, ma anche delle così dette pastorali, vale
a dire, i servizi specifici che la parrocchia rivolge ai bambini, ai giovani,
oltre che alle altre attività parrocchiali. Nell’evento di quest’anno abbiamo
coinvolto anche i rappresentanti del potere politico, dell’Università e delle
associazioni locali. Da quest’anno la parrocchia, oltre alle due psicologhe che
svolgono un servizio settimanale, ci sono anche quattro studenti del Vo anno di
psicologia, che svolgono un servizio gratuito di assistenza psicologica. “Tutti
noi dobbiamo impegnarci attivamente - ha ribadito Wanilda, una delle
psicologhe che lavora in parrocchia - per sensibilizzare sull’importanza
della vita e aiutare nella prevenzione del suicidio, un tema che ancora oggi è
considerato un tabù”. Vanessa, l’altra psicologa della parrocchia ha ribadito
che: “È importante parlarne affinché chi sta attraversando momenti difficili
e di crisi possa cercare aiuto e comprendere che la vita è sempre la scelta
migliore. Quando una persona decide di porre fine alla propria vita, i suoi
pensieri, sentimenti e azioni diventano molto ristretti: pensa costantemente al
suicidio e non riesce a vedere altre soluzioni per affrontare o superare il
problema”.
La
manifestazione si è concentrata in una piazza del quartiere e, dopo alcuni
momenti di canti e balli e di una preghiera, ha continuato per la strada
centrale sino a giungere all’altra piazza entrale dove Zé Riccardo, un
assessore locale, ha preso la parola spiegando, con i numeri alla mano, la
gravità del problema. “Il suicidio è un importante problema di salute
pubblica, con impatti sull’intera società. Secondo i dati dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno più persone muoiono per suicidio che per
HIV, malaria o tumore al seno – o a causa di guerre e omicidi. Tra i giovani
dai 15 ai 29 anni, il suicidio è stata la quarta causa di morte dopo gli
incidenti stradali, la tubercolosi e la violenza interpersonale. Si tratta di
un fenomeno complesso, che può colpire individui di diverse origini, generi,
culture, classi sociali ed età. Secondo i dati della Segreteria di Vigilanza
Sanitaria divulgati dal Ministero della Salute nel settembre 2022, tra il 2016
e il 2021 si è registrato un aumento del 49,3% della mortalità tra gli
adolescenti di 15-19 anni, arrivando a 6,6 ogni 100 mila, e del 45% tra gli
adolescenti di 10-14 anni, arrivando a 1,33 ogni 100 mila”.
Il
problema è serio e, nel quartiere Compensa dove abitiamo, i numeri sono i più
alti di tutta la città di Manaus. Per questo vale la pena coinvolgersi e
sensibilizzare la popolazione.
La Contaminazione dello Spirito Santo
Nel
panorama teologico contemporaneo, il tema della contaminazione dello Spirito
Santo emerge come una prospettiva capace di mettere in discussione visioni
tradizionali e di aprire orizzonti nuovi su ciò che significa essere testimoni
della sua azione. La contaminazione, intesa non come impurità ma come dinamismo
che supera barriere e confini, diventa una chiave interpretativa per
comprendere la presenza dello Spirito nella storia e nella vita umana. L’azione
dello Spirito Santo non si limita alle mura della Chiesa, ma si espande,
contaminando positivamente il mondo e trasformando la realtà oltre le
istituzioni religiose. La storia della salvezza, secondo la visione cristiana,
è intrisa della presenza dello Spirito Santo, che agisce in modo imprevedibile
e spesso sorprendente. Karl Rahner, uno dei maggiori teologi del Novecento,
afferma che lo Spirito «soffia dove vuole» (Gv 3,8), indicando una libertà che
trascende ogni struttura umana. Per Rahner, lo Spirito Santo è la grazia
increata che ci raggiunge nella profondità della nostra esistenza, e
questa grazia non conosce limiti geografici o istituzionali.
Yves
Congar, altro autore rilevante, sottolinea che lo Spirito è il protagonista
della storia, capace di suscitare novità anche al di fuori delle frontiere
ecclesiali. In effetti, la Pentecoste rappresenta l’evento paradigmatico della
contaminazione: la discesa dello Spirito sugli apostoli li trasforma e li
spinge verso il mondo, superando le barriere linguistiche e culturali. Nel
linguaggio comune, la parola contaminazione rimanda spesso a un’accezione
negativa, legata all’impurità. In teologia, tuttavia, il termine può essere
reinterpretato come apertura, come capacità dello Spirito di entrare in
relazione con ciò che è diverso, di fecondare la storia con semi di novità.
Leonardo Boff, teologo della liberazione, afferma che lo Spirito è il
fermento che trasforma la massa, suggerendo che la contaminazione è il
processo attraverso cui la vita divina si insinua nella realtà umana,
rinnovandola dall’interno.
Questa
visione implica che lo Spirito Santo non sia prigioniero delle forme religiose,
ma operi ovunque vi sia sete di verità, giustizia e bellezza. La contaminazione
teologica, dunque, è il segno di una fede che non teme di confrontarsi con il
mondo, ma vi si immerge per portare luce e cambiamento. L’azione dello Spirito
Santo si manifesta non solo nella liturgia e nei sacramenti, ma anche nei
luoghi più inattesi: nei movimenti sociali, nei processi di liberazione, nelle
scoperte scientifiche e nelle espressioni artistiche. Come ricorda Jürgen Moltmann,
lo Spirito è il principio della vita nuova che trasforma il mondo intero.
Questa trasformazione non avviene in modo magico, ma attraverso la
contaminazione dei cuori e delle coscienze, che diventano capaci di riconoscere
il soffio divino anche fuori dagli spazi canonici. Il superamento dei confini
ecclesiali non significa abbandono della comunità, ma apertura a una visione
più ampia, in cui la Chiesa stessa è chiamata a essere segno e strumento di una
presenza che la precede e la supera. Riconoscere la contaminazione dello
Spirito Santo implica un cambiamento di prospettiva. Si tratta di passare da
una visione centrata sull’istituzione a una spiritualità aperta, capace di
scorgere i segni dello Spirito anche dove la tradizione non li aveva previsti.
Papa Francesco, in Evangelii Gaudium, invita la Chiesa a uscire da sé stessa per
incontrare il mondo, sottolineando che: lo Spirito ci precede nella missione
e ci guida verso terre inesplorate. Questa libertà dalle istituzioni non
significa anarchia, ma fiducia nella creatività dello Spirito, che
continuamente genera novità.
Come
diceva Romano Guardini: quando lo Spirito si fa presente, tutto cambia.
La contaminazione, allora, è il segno di una fede viva, che non si irrigidisce
nelle forme ma si lascia sorprendere dall’azione del Mistero, capace di
rinnovare ogni cosa. La contaminazione dello Spirito Santo è una provocazione e
una promessa: ci invita a riconoscere la presenza divina che trasforma la
storia, a superare le paure e le chiusure, a vivere una fede aperta e libera.
Riconoscere l’azione dello Spirito oltre le mura della Chiesa significa
accogliere la possibilità di una trasformazione radicale, che investe il mondo
intero. In un tempo segnato da cambiamenti e incertezze, lasciarsi contaminare
dallo Spirito è forse il modo più autentico di essere cristiani: Dove c’è lo
Spirito, c’è libertà (2 Cor 3,17).
sabato 13 settembre 2025
Manaus e la lotta per l’acqua
Venti-cinque
anni sotto il segno della ribellione e della profezia
Paolo
Cugini
Nel
2025, la città di Manaus si ritrova al bivio delle proprie nozze d’argento:
venticinque anni di convivenza con una concessione che prometteva sollievo e
che ha invece generato tormento. È l’anniversario di una unione che, invece di
prosperare, ha alimentato incomprensioni, contrarietà, e tradimenti. Questi
anni sono stati un deserto attraversato dalle speranze e dai patimenti di una
città assetata, in cui le acque — promesse come fonte di vita — si sono
rivelate miraggi.
Il
rapporto tra Manaus e Águas de Manaus vive sospeso, come un filo che
vibra sotto il peso dell’insoddisfazione. Da una parte, la città si fa voce di
una sete inestinguibile; dall’altra, la concessionaria mostra il volto indurito
della negligenza, lasciando che il disprezzo dilaghi tra le strade. Non c’è più
rispetto, non c’è più dialogo: solo il silenzio dei rubinetti e la rabbia che
ribolle nei cuori.
Ci
sono stati momenti in cui il legame si è spezzato e ci si è illusi che il
cambio di società — Lyonnaise des eaux-Suez, Solvi, Águas do Brasil, Aegea
Saneamento — potesse portare una nuova aurora. Ma questi passaggi sono
stati solo veli posati sulle ferite, tentativi di mascherare la crisi che, come
un fiume carsico, è riemersa più forte. Le Commissioni Parlamentari d’Inchiesta
del 2005, 2012, 2023 hanno scavato nelle profondità delle irregolarità,
portando la lotta agli occhi del pubblico, ma senza risolvere la sete.
Il
2025 è l’anno in cui la rabbia si moltiplica: secondo Ageman, da gennaio
a luglio, 1.661 controlli sui servizi idrici e fognari, il 172,7% in più
rispetto all’anno precedente. Il totale delle ispezioni ha già superato quello
del 2024, mentre il vero balzo è nei controlli sulle acque reflue: 1.119
ispezioni, una crescita superiore al 430%. Ogni ispezione è una sentenza, ogni
notifica (63 solo fino ad agosto, 35 per il ripristino dell’asfalto) è un
sussulto profetico che denuncia la trasgressione. Il soprannome ormai diffuso
tra i media, “Mágoas de Manaus”, è il vessillo della lotta: la città non
piange, ma si prepara a insorgere.
La
rabbia si fa carne nelle proteste dei quartieri, come Viver Melhor, dove
la gente insorge sotto striscioni che sono profezie: “La nostra voce è la
nostra sete! Il nostro grido è per l’acqua!”, “Pago l’acqua, ho diritto
a riceverla!”, “L’acqua è un diritto umano, non una merce!”. Ogni
slogan è una fiaccola che illumina la notte dell’attesa, ogni manifestazione è
un passo verso la liberazione. In questo scenario di battaglia, i movimenti
sociali e le organizzazioni civiche si ergono come profeti del nuovo patto,
convocando conferenze, seminari, laboratori — assemblee di lotta e di sogno. Si
chiede alle autorità pubbliche di risvegliarsi dall’inerzia e dall’omissione,
di ascoltare il battito dell’acqua che chiede giustizia e dignità. Il
coinvolgimento della società è un vento che spinge le vele del cambiamento; la
speranza non arretra, la profezia si fa azione.
Manaus
non si piega. La città e la sua gente sono in cammino verso la rottura delle
catene, verso la riconquista del diritto fondamentale all’acqua. La crisi non è
più solo una storia di numeri e di indagini, ma un canto profetico che annuncia
la fine di una lunga notte. Le nozze d’argento della concessione diventano così
il battesimo di una nuova lotta: quella che trasforma la sete in forza, la
protesta in profezia, e il sogno in realtà.
Fonte
dei dati riportati nell’articolo: https://forumdasaguasam.blogspot.com/2025/09/empresa-de-agua-e-esgoto-provoca.html
lunedì 8 settembre 2025
Le politiche di protezione ambientale in Amazzonia
Autrice:
Marilene Corrêa, Professoressa Ordinaria, Università Federale dell'Amazzonia
(UFAM)
Pubblicato:
27 agosto 2025
Traduzione:
Paolo Cugini
Dall’accelerazione dei
processi di occupazione del nord del Brasile, promossi dallo sviluppo del
governo militare, la violenza cresce in Amazzonia a ogni nuovo ciclo di
appropriazione economica degli spazi e delle risorse naturali. Negli ultimi
decenni del XX secolo, le politiche ambientali create con la
redemocratizzazione del paese e sotto l'atmosfera dell’Eco 92 hanno cercato di
resistere agli attacchi predatori contro la ricchezza mineraria, vegetale e
umana. Tuttavia, nel corso degli anni, anche grazie alle regolamentazioni
fondiarie e all'ambientalismo, i conflitti tra popoli indigeni, piccoli
proprietari e gruppi predatori sono aumentati.
Popoli, territori e
culture amazzoniche sono stati violati fin dalla colonizzazione. Ma la
persistenza di questa violenza in pieno XXI secolo mette in luce la gravità di
un’organizzazione nazionale incompleta e che retrocede davanti a ogni
avanzamento nel controllo ambientale degli spazi naturali e sociali.
Il caso dell’Amazzonia
L’Amazzonia è lo stato
brasiliano con la maggiore estensione di aree protette, custodendo un
patrimonio socioambientale di grande valore globale. La sua vasta area di
territori conservati comprende Unità di Conservazione (UC) che coprono il
30,21% del territorio statale — pari a 47,2 milioni di ettari. Queste aree sono
suddivise tra UC federali (16,96%), come parchi nazionali e riserve estrattiviste;
UC statali (12,05%), gestite dal governo dell’Amazzonia; e UC municipali
(1,19%), con la partecipazione delle amministrazioni locali nella
conservazione.
Le Terre Indigene (TI)
ammontano a oltre 53,7 milioni di ettari, demarcati in 164 territori. Questi
spazi sono essenziali non solo per la conservazione della biodiversità, ma
anche per la sopravvivenza culturale e materiale di 61 popoli indigeni, custodi
di saperi tradizionali e della foresta tropicale. Inoltre, le Unità di
Conservazione dell’Amazzonia ospitano una ricca diversità socioculturale,
accogliendo circa 13.805 famiglie distribuite in 713 comunità. Oltre agli
indigeni, tra questi gruppi figurano i ribeirinhos (villaggi sulla riva del
fiume), i raccoglitori di caucciù e i quilombolas (villaggi formati esclusivamente
da afro-discendenti), le cui modalità di vita si adattano alla logica
sostenibile e rafforzano l’importanza di queste aree per l’equilibrio ecologico
e la giustizia ambientale.
Tra il 2000 e il 2016, lo
stato dell’Amazzonia ha creato una vasta rete di protezione ambientale dei suoi
territori, essenziale per il mantenimento dei servizi ecosistemici (come la
regolazione del clima e la conservazione delle risorse idriche) e per contrastare
i cambiamenti climatici. Il Sistema Nazionale delle Unità di Conservazione
(SNUC) ha creato numerose UC, sia di protezione integrale che di uso
sostenibile. Parchi Nazionali, Riserve Biologiche, Riserve Estrattiviste, Aree
di Protezione Ambientale (APA) sono stati integrati in un sistema statale
intelligente, in cui la gestione ambientale e il supporto di politiche
pubbliche a favore delle popolazioni della foresta hanno ispirato altri stati
amazzonici. Questo clima favorevole di sostegno politico e sociale, locale,
nazionale e internazionale, permetteva allo stato di gestire grandi aree di
protezione ambientale, controllare le pratiche predatorie e i rischi per la
foresta, e integrare municipalità e popolazioni tradizionali nell’orientamento
verso la sostenibilità.
Cambiamento improvviso di
rotta
Il contesto politico di
accoglienza delle politiche ambientali locali è cambiato drasticamente dal
colpo di stato civile contro la presidente Dilma Rousseff, con la limitazione
delle iniziative democratiche e delle buone pratiche ambientali nell’era Temer.
Durante i governi di Michel Temer e Jair Bolsonaro, l’iniziativa di una
politica ambientale promettente perde forza a livello locale e nazionale, e i
territori demarcati non svolgono il loro ruolo. Si osserva l’indebolimento
delle politiche pubbliche di protezione effettiva, la mancanza di vigilanza
adeguata e l’assenza di supporto alle popolazioni tradizionali. Nel 2019, con
l’arrivo di Bolsonaro alla presidenza, ha inizio l’antipolitica ambientale,
segnata dallo smantellamento dei progressi ottenuti e dall’indebolimento, nelle
realtà locali, delle pratiche sostenibili di protezione ambientale. La
letteratura scientifica indica che questo periodo è stato segnato dalla distruzione
dell’assetto istituzionale precedente, e che gli impatti di queste
misure persistono sui territori protetti. Episodi deplorevoli di razzismo e
degrado ambientale hanno esposto l’orrore ambientale vissuto in Amazzonia,
superato solo dal “laboratorio della morte” in cui lo stato si è trasformato
durante l’epidemia di COVID-19.
La disarticolazione delle
politiche di protezione ambientale, l’indebolimento istituzionale delle misure
di controllo degli illeciti e l’autorizzazione, sia esplicita che implicita,
all’invasione dei territori indigeni hanno incentivato la violenza fisica e
ambientale su territori e popolazioni. A questi fattori si aggiunge la
delegittimazione dell’autorità scientifica. Emblematica, ad esempio, la
destituzione del dirigente dell’INPE durante la polemica sui dati sulla
deforestazione in Amazzonia, nel 2019. L’obiettivo principale — la
sostenibilità dei territori e dei popoli amazzonici — ha perso consistenza e
concretezza di fronte all’insicurezza ambientale illustrata dalla recrudescenza
dei conflitti.
Una ripresa turbolenta
L’attuale governo Lula
non ha risparmiato sforzi per imporre il comando e il controllo dello stato
brasiliano contro le aggressioni ambientali, ma gli attori locali ostili e i
loro alleati nazionali sfidano e turbano l’ordine ambientale. Il Rapporto
Conflitti in Campagna della Commissione Pastorale della Terra del 2024
sottolinea che, dal 2023, nello stato dell’Amazzonia si sono verificati 96
conflitti che hanno coinvolto oltre 75 mila persone, tra cui 82 conflitti per
la terra, 4 occupazioni e riprese e 10 conflitti per l’acqua.
Le aggressioni ambientali
deliberatamente prodotte durante il governo Bolsonaro continuano a
rappresentare un fantasma che si aggira sugli ecosistemi e i biomi amazzonici.
L’oscurantismo di quel periodo si prolunga nel tempo e nello spazio: di
recente, ad esempio, nel Congresso, si è manifestato apertamente nel
trattamento misogino riservato alla Ministra Marina Silva e nella recente
approvazione del Progetto di Legge 2159/2021. Un altro aspetto fondamentale dei
conflitti ambientali in Amazzonia riguarda il regime fondiario. Oggi,
l’Amazzonia detiene uno dei più grandi “passivi fondiari” del Brasile, con 58,2
milioni di ettari di terre pubbliche ancora senza destinazione. Questo equivale
al 37,5% del suo territorio, secondo i dati dell’Istituto dell’Uomo e
dell’Ambiente dell’Amazzonia (Imazon) e della Segreteria di Stato dell’Ambiente
(SEMA-AM).
Questa vastità di aree
senza destinazione rappresenta una sfida critica per la governance ambientale e
fondiaria nell’Amazzonia Legale, con implicazioni dirette per la conservazione,
lo sviluppo sostenibile e la riduzione dei conflitti socioambientali. La
priorità della conservazione dovrebbe essere chiara: circa il 56% di queste
terre non destinate si trova in regioni di alta rilevanza ecologica, come le
zone di connettività tra Unità di Conservazione (UC) e Terre Indigene (TI). E
ciò che rende il problema ancora più grave è che circa il 15% di queste aree
(8,5 milioni di ettari) è irregolarmente registrato nel Catasto Ambientale
Rurale (CAR) come proprietà privata. Questo è un chiaro segnale di
accaparramento illegale di terre o sovrapposizione illegale della proprietà,
creando un contesto che alimenta dispute violente per la terra e ostacola
l’attuazione delle politiche pubbliche. Alcuni aspetti della legislazione
contribuiscono ad aggravare i problemi: la mancanza di una scadenza per
l’inizio dell’occupazione in terra pubblica regolarizzabile; l’assenza
dell’obbligo di recupero ambientale prima della titolazione; e la mancanza di
divieto di regolarizzazione a proprietari condannati per pratiche equiparate
alla schiavitù.
La regolarizzazione del
regime fondiario in Amazzonia è una politica vitale per equilibrare la
conservazione ambientale e lo sviluppo sostenibile. Senza progressi concreti,
il rischio è quello di un’intensificazione della deforestazione illegale,
dell’accaparramento delle terre, dell’estrazione illegale delle risorse e della
violenza nelle zone rurali, come si riflette negli alti tassi di conflitti
socioterritoriali e nel numero elevato di omicidi registrati negli ultimi anni.
Mobilitazione sociale
I conflitti
socioterritoriali e ambientali in Amazzonia sono soprattutto di natura
politica. Derivano dal carattere reazionario, negazionista e anti-ambientale
che i periodi Temer-Bolsonaro hanno imposto al Brasile, con effetti perversi e
continui in Amazzonia, la maggiore porzione dell’Amazzonia brasiliana. Spetta
alla comunità scientifica brasiliana accentuare risposte politiche basate sulle
evidenze di questa realtà. La difesa intransigente della democrazia e della
sovranità brasiliana alimenta il dibattito ambientale e mobilita la società
civile. A novembre, Belém ospiterà la COP 30, un altro evento mondiale in cui
la politica ambientale brasiliana cercherà protagonismo e sostegno. Territori,
popoli e culture amazzoniche faranno sentire la propria voce in questo
confronto di idee sul futuro del pianeta. E le manifestazioni sociali a favore
dell’ambiente potranno preparare i brasiliani a future scelte nell’agenda
politica del paese, dell’Amazzonia e dello stato dell’Amazzonia.
sabato 6 settembre 2025
GRIDO DEGLI ESCLUSI ED ESCLUSE 2025
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Il Cardinale Leonardo Steiner nel suo pronunciamento finale |
A
Manaus l’arcidiocesi organizza una grande manifestazione chiedendo attenzione
sul tema dell’acqua
Paolo
Cugini
Il
Grido degli Esclusi si realizza attraverso una serie di manifestazioni popolari,
che si svolgono in Brasile dal 1995, in occasione del Giorno dell'Indipendenza,
e che culminano il 7 settembre, giorno dell'Indipendenza brasiliana. Queste
manifestazioni mirano ad aprire strade agli esclusi dalla società, denunciare i
meccanismi sociali dell'esclusione e proporre percorsi alternativi verso una
società più inclusiva.
Le
sue origini risalgono alla Seconda Settimana Sociale Brasiliana, promossa dalla
Pastorale Sociale della Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani (CNBB),
tenutasi tra il 1993 e il 1994, quando il Vescovo Luiz Demétrio Valentini era
responsabile della Pastorale Sociale. Sebbene l'iniziativa sia direttamente
legata alla CNBB, diverse organizzazioni hanno partecipato al movimento fin dal
suo inizio: chiese del Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane, movimenti
sociali, organizzazioni ed enti impegnati nella giustizia sociale. Le
manifestazioni sono varie: celebrazioni, eventi pubblici, pellegrinaggi,
camminate, seminari e dibattiti, teatro, musica, danza e fiere dell'economia
solidale.
Il
5 settembre, giorno di due importanti celebrazioni per il popolo
dell'Amazzonia, è stato scelto per il 31° Grido degli Esclusi a Manaus, con il
tema "La vita viene prima di tutto" e il motto "Prendersi cura
della casa comune e della democrazia è una lotta quotidiana", che
riecheggia il grido per la vita, la foresta e la democrazia. Questo è stato
anche il giorno in cui l'Amazzonia è stata elevata allo status di provincia,
una pietra miliare nella storia del nostro Stato che commemora la lotta e la
resistenza del popolo di questa terra. Si è celebrata anche la Giornata
dell'Amazzonia, che ha bisogno di essere curata e preservata.
L'evento,
promosso dall'Arcidiocesi di Manaus attraverso le sue Pastorali Sociali, è
iniziato con importanti riflessioni sulla cura dell'Amazzonia e di tutte le
persone che la abitano. "L'Amazzonia, il cuore della lotta per la vita.
Prendersi cura dell'Amazzonia significa prendersi cura della vita e di tutta
l'umanità. Ma ciò che vediamo è la foresta distrutta, i fiumi contaminati, i
popoli indigeni e le comunità rivierasche attaccate, espulse e assassinate.
L'avidità dell'agroindustria e dell'attività mineraria illegale sta uccidendo
la nostra casa comune. L'Amazzonia non è vuota; è piena di vita, cultura, fede
e resistenza. Siamo un corridoio ecologico e culturale, siamo l'ecologia centrale,
siamo vita e resistenza", ha sottolineato il responsabile della Caritas
Arcidiocesana don Alcimar.
È
stato anche un momento di sostegno al Plebiscito Popolare 2025 - Giustizia
Fiscale Ora! e alla riduzione della giornata lavorativa, con la raccolta di
firme da parte di tutti i presenti. Questo è un grido per i lavoratori e per la
giustizia fiscale, che consiste nell'esenzione dall'imposta sul reddito per chi
guadagna fino a 5.000 reais (800 euro circa) e nella riscossione di tasse eque
per i milionari, che accumulano ricchezza a spese dei poveri. Uno degli slogan
ripetuti varie volte durante la manifestazione diceva: "Basta tassare i
poveri, mentre i ricchi accumulano ricchezze e si sottraggono alle loro
responsabilità sociali!"
Durante
la marcia, è stata sottolineata la campagna "Acqua e rifiuti non si
mescolano". Questa campagna mira a mobilitare la società, gli enti
pubblici e privati, per ripulire gli Igarapés ( è un piccolo fiume stretto e
poco profondo o un canale naturale, tipico della regione amazzonica, che funge
da "sentiero per le canoe", facilitando il trasporto e la
comunicazione nei luoghi difficili da raggiungere della foresta).
La
marcia si è snodata nella Zona Est di Manaus riunendo centinaia di persone che
hanno alzato la voce per una vita dignitosa per chi si trova in situazioni di
esclusione e vulnerabilità sociale, chiedendo, tra le altre cose, vita, salute,
alloggio, politiche pubbliche, rispetto, dignità.
Al
termine, l'Arcivescovo di Manaus, il Cardinale Leonardo Steiner, ringraziando i
presenti per il loro coinvolgimento, li ha incoraggiati a proseguire nel loro
impegno per costruire una società più giusta e fraterna, nel nome del Vangelo.
"Una
parola di gratitudine a tutti, a ciascuno di voi che siete venuti a partecipare
al 31° Grido degli Esclusi. Noi, da questa prospettiva, siamo così pochi,
rispetto a una popolazione di due milioni e trecento persone. Ma gridiamo a
nome di tutti. Vogliamo mostrare la nostra realtà, perché ha bisogno di essere
trasformata. E lo facciamo nel nome del Vangelo, affinché possiamo avere una
società più giusta, più fraterna, affinché possiamo vivere insieme nella nostra
casa comune e avere un governo sempre, ancora una volta, sempre più
democratico. Quindi, fratelli e sorelle, sempre in pace, ma nella lotta!"
ha sottolineato Dom Leonardo.
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i giovani della nostra parrocchia presenti alla manifestazione |
La
nostra parrocchia, san Vincenzo de Paoli, ha partecipato con circa un centinaio
di persone.
venerdì 5 settembre 2025
L’ebbrezza dell’incontro con mondi nuovi
La
contaminazione culturale come apertura e ricchezza
C’è
davvero un senso di ebrezza, una vertigine sottile, ogni volta che ci si
avvicina a mondi nuovi, a culture diverse, e si lascia che queste ci
contaminino. Questo è un aspetto davvero importante da sottolineare: la
necessità esistenziale, vitale di uscire dai propri mondi, per scoprirne altri,
Forse è questo il problema maggiore: alzarsi e mettersi in cammino. Alzarsi ed
aprire la porta e decidere di non tornare alla sera, ma di prendere un treno,
un aeroplano e viaggiare. La metafora del viaggio è molto potente perché rivela
una parte importante di noi: il desiderio del nuovo, di conoscere altro, di tuffarsi
nel mondo dell’altro e lasciarsi contaminare, permette al mondo altro, cioè, di
toccarci, di prenderci per mano e condurci in una nuova realtà che ci può
cambiare per sempre.
La contaminazione, in questo senso, non è una
perdita di identità, bensì una feconda apertura. Questo ci dice anche del senso
autentico di ciò che intendiamo con il termine identità, che prima di essere un
dato fisso, è una conquista che sta sempre dinanzi a noi. Siamo il nostro cammino.
Quando una cultura, una lingua, una tradizione diversa penetra nel nostro
mondo, qualcosa di profondo si muove. Nella scoperta dell’altro, come
suggerisce Italo Calvino nelle sue Città invisibili, ci troviamo di
fronte all’alterità che ci invita a immaginare altre possibili esistenze.
Calvino ci fa capire che il viaggio, reale o metaforico, è sempre incontro e
contaminazione; ogni città visitata è una nuova parte di sé che si aggiunge al
mosaico della propria identità. L’incontro dell’altro può voler dire abbandono,
perché la contaminazione ci fa scoprire qualcosa di nuovo, ma a volte anche
qualcosa di meglio.
La
contaminazione culturale, invece di essere temuta, può diventare il motore di
crescita personale e collettiva. Edward Said, nel suo saggio Orientalismo,
parla del pericolo dell’immobilismo culturale e della necessità di lasciarsi
permeare dall’altro per andare oltre le proprie barriere. Per Said, la
conoscenza dell’altro è sempre una forma di apertura, un modo per superare
pregiudizi e resistenze, un invito a ripensarsi. La contaminazione è uno spazio
nuovo, perché è come un fiume che trasporta lingue, storie, sapori, sensazioni
da una riva all’altra, mostrando che la ricchezza nasce proprio dal mescolarsi,
dal lasciarsi attraversare dagli influssi più diversi. In questa prospettiva,
la contaminazione diventa la chiave per aprire porte e finestre sul nuovo. La
contaminazione è un viaggio interiore
attraverso mondi che si sovrappongono e si intrecciano, mostrando come la vera
meraviglia sia sempre nell’incontro tra universi diversi.
C’è
dunque qualcosa di profondamente gioioso e vitale nell’entrare in contatto con
culture altre, nel lasciarsi contaminare senza paura. È una sensazione che
ricorda il primo assaggio di un frutto esotico, la prima parola pronunciata in
una lingua straniera, la prima sera trascorsa in una città che non si
conosceva: momenti in cui la nostra identità si espande, si arricchisce, si
rinnova. Contaminarsi significa aprirsi, scoprire, accogliere. Significa
abbandonare le certezze per abbracciare la complessità. E così, ogni volta che
mondi diversi si incontrano, nasce quell’ebbrezza creativa che è il segno più
vivo dell’esistenza. Nel lasciarci toccare dall’altro, diventiamo noi stessi
più aperti, più profondi, più umani. La contaminazione dice di un cammino di
umanizzazione: basta solo muoversi.
martedì 2 settembre 2025
Fisica quantica e il concetto di contaminazione
Alcune annotazioni su un possibile percorso
interdisciplinare tra scienza e filosofia
La
fisica quantistica è una delle discipline più affascinanti e rivoluzionarie del
pensiero scientifico contemporaneo. Allo stesso tempo, il concetto di
contaminazione, inteso come mescolanza, interazione, o anche come perdita di
purezza, si rivela straordinariamente fertile sia in campo scientifico sia
filosofico e culturale. Esplorare il rapporto fra questi due ambiti significa
addentrarsi in un territorio dove la distinzione tra soggetto e oggetto,
osservatore e osservato, ordine e disordine si fa sempre più sfumata.
Fin
dalle origini, la meccanica quantistica mette in discussione i principi della
fisica classica. Come scrive Niels Bohr: «Chi non rimane scioccato dalla teoria
quantistica, non l’ha capita» (N. Bohr). Il principio di indeterminazione di
Heisenberg sancisce che è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e
quantità di moto di una particella con precisione assoluta. Questa
"indeterminatezza" è già di per sé una forma di contaminazione
rispetto all’idea di una realtà separata e perfettamente conoscibile.
Un
altro concetto cardine è l’entanglement quantistico, descritto da Erwin
Schrödinger come «la caratteristica più profonda della meccanica quantistica».
Quando due particelle sono entangled, il loro stato non può essere descritto
separatamente: qualsiasi azione su una delle due "contamina" istantaneamente
lo stato dell’altra, anche a grande distanza. Schrödinger osserva: «Ogni
sistema composto cui si applica la meccanica quantistica è necessariamente
contaminato dal contatto con il resto del mondo».
In
ambito filosofico, la contaminazione è spesso vista come superamento del
dualismo e della purezza originaria. Il pensiero di Donna Haraway, ad esempio,
suggerisce che «noi non siamo mai stati puri, mai isolati, ma sempre
co-costruiti insieme ad altre specie, tecnologie e ambienti» (Manifesto Cyborg,
1985). Analogamente, la fisica quantica ci ricorda che nessun sistema può
essere considerato veramente isolato: la semplice presenza dell’osservatore
contamina inevitabilmente il fenomeno osservato.
Werner
Heisenberg afferma: «Ciò che osserviamo non è la natura in sé, ma la natura
esposta al nostro metodo di interrogazione». L’atto stesso di osservare in
meccanica quantistica comporta una contaminazione irreversibile dello stato del
sistema, poiché l’osservatore e l’osservato sono legati indissolubilmente.
Infine,
si può affermare che la contaminazione non è solo perdita di purezza, ma anche
fonte di creatività e innovazione. Edgar Morin scrive: «Il pensiero complesso è
un pensiero che accetta la contaminazione, l'incertezza, la contraddizione e la
pluralità dei punti di vista» (La Méthode, 1977). Nella meccanica quantistica,
così come nella cultura contemporanea, la contaminazione diventa quindi
condizione necessaria per la generazione di nuove forme di conoscenza. La
relazione tra fisica quantistica e il concetto di contaminazione attraversa
scienza, filosofia e cultura. Nella realtà descritta dalla meccanica
quantistica, la contaminazione non è un’anomalia da eliminare, ma una proprietà
essenziale che ci invita a ripensare le nostre categorie di purezza,
separazione e identità. Come sostiene Karen Barad: «La questione non è come le
cose interagiscono, ma come sono già sempre intrecciate e contaminate
nell’essere e nel divenire» (Meeting the Universe Halfway, 2007).
lunedì 1 settembre 2025
Jacques Derrida e il concetto di contaminazione nella decostruzione
Una riflessione critica
sulla decostruzione derridiana e l'interazione fra tradizioni
Paolo Cugini
Jacques
Derrida (1930-2004), filosofo franco-algerino, è universalmente riconosciuto
come il padre della decostruzione, una metodologia di lettura e di pensiero che
ha rivoluzionato i modi di intendere il testo, il senso e la tradizione. Uno
dei punti importanti della sua riflessione è il concetto di “contaminazione”,
termine che assume una valenza positiva e strategica non solo nella critica
letteraria, ma anche nell’interpretazione dei testi religiosi, dei sistemi di
pensiero e delle tradizioni culturali.
La
decostruzione, secondo Derrida, è il movimento che evidenzia le tensioni, le
contraddizioni e le aporie all’interno di un testo, rivelando come nessuna
costruzione teorica, nessun sistema, possa essere considerato puro o
autosufficiente. L’idea di contaminazione emerge come antidoto alla logica
identitaria e alla ricerca di una origine incontaminata. In Della grammatologia
(1967), Derrida afferma che “il testo è sempre già contaminato da ciò che non è
lui”, sottolineando che nessun senso può essere pensato come isolato e che ogni
significato si genera nell’interazione e nella differenza. La contaminazione,
in questo contesto, non va intesa come un difetto o un’intrusione negativa, ma
come la condizione stessa della possibilità di senso: “La purezza non è mai
data, è sempre costruita contro, per esclusione o per differenziazione di
un’alterità che necessariamente la contamina.” (Derrida, La disseminazione,
1972).
Quando
Derrida si confronta con la lettura dei testi religiosi, la sua critica della
purezza acquista una portata etica e politica. Nel saggio Fede e sapere (1996),
Derrida mostra come ogni religione, ogni tradizione spirituale, sia
irrimediabilmente segnata dalla contaminazione di altre narrazioni, pratiche,
rituali e linguaggi. Non esiste una tradizione religiosa che possa essere
separata da influenze esterne; anche i testi sacri sono il risultato di
sedimentazioni, traduzioni, interpolazioni e riscritture. “Non c’è nessuna
religione che possa affermarsi nella purezza della sua origine: ogni fede è
attraversata, alterata, modificata dall’incontro, dallo scambio, dalla
traduzione.” (Derrida, Fede e sapere). Questo significa che la ricerca di una
“origine pura”, sia in una religione, sia in una cultura, è una costruzione
ideologica che serve a delimitare confini identitari e a escludere l’alterità.
Al contrario, la contaminazione diventa uno spazio di apertura, di dialogo e di
ospitalità. L’approccio derridiano non si limita a una critica epistemologica,
ma si traduce in una vera e propria etica della contaminazione. In Addio a
Emmanuel Lévinas (1997), Derrida riprende il tema dell’ospitalità, mostrando
come l’apertura all’altro e la disponibilità “a essere contaminati” siano le
condizioni della giustizia e della responsabilità. “L’ospitalità è sempre la
possibilità di essere affetti, trasformati, contaminati dall’altro che
accolgo.” (Derrida, Addio). Questa visione si riflette anche nella lettura dei
testi religiosi, dove l’interpretazione deve accettare la possibilità di essere
“contaminata” da altri sensi, altre tradizioni, altri linguaggi, senza volerli
neutralizzare o assorbire. Derrida rifiuta ogni idea di confine rigido tra le
tradizioni, proponendo la contaminazione come processo creativo e generativo.
In Il monolinguismo dell’altro (1996), la contaminazione linguistica diventa
metafora del dialogo tra culture e religioni. La lingua, come la tradizione, è
sempre già attraversata da tracce di altre lingue, e proprio per questo è
vivente: “Non parliamo mai una lingua pura. Ogni parola, ogni testo, ogni
tradizione è attraversata dalla differenza, dalla traccia di un’alterità che la
costituisce.” (Derrida, Il monolinguismo dell’altro). In questo senso, la decostruzione
mostra che la contaminazione è la condizione stessa di ogni identità: non un
pericolo, ma una risorsa.
Quando
si leggono i testi religiosi con lo sguardo derridiano, si scopre che ogni
sacralità, ogni dogma, è il risultato di una stratificazione storica, di una
contaminazione con testi precedenti, paralleli o estranei. La Bibbia, il
Corano, i Veda, sono testi che portano la memoria di lingue, tradizioni e
culture differenti, e ogni tentativo di purificarli è destinato a fallire. La
lettura decostruzionista, dunque, invita a riconoscere le tracce di altre
tradizioni all’interno di ogni testo sacro, accogliere la contaminazione come
apertura verso nuovi sensi e nuove interpretazioni; vivere la diversità non
come minaccia, ma come possibilità di ospitalità e di giustizia.
Anche
le pratiche e i rituali religiosi, osserva Derrida, sono il risultato di
contaminazioni. Le liturgie cristiane, ad esempio, hanno incorporato elementi
pagani, e le festività religiose sono spesso intrecciate con tradizioni
popolari e folkloristiche. In Fede e sapere, Derrida scrive: “Le pratiche non
sono mai pure: sono il frutto di una moltitudine di incontri, negoziazioni,
adattamenti.” Questa consapevolezza permette di superare le rigidità dogmatiche
e di accogliere la pluralità come ricchezza. Il tentativo di preservare una
tradizione nella sua presunta purezza, secondo Derrida, conduce inevitabilmente
all’esclusione, alla violenza simbolica e materiale contro l’altro. La
contaminazione, invece, è la via verso una società più giusta perché aperta alla
differenza e alla trasformazione. In Politiche dell’amicizia (1994): “Il vero
amico è colui che accetta la possibilità di essere affetto, modificato,
contaminato dall’altro, senza perdere la propria ospitalità.”
Il
concetto di “contaminazione” nella filosofia della decostruzione di Jacques
Derrida si rivela un potente strumento per la lettura dei testi religiosi,
delle tradizioni e delle culture. Nessuna tradizione, nessun testo, nessuna
identità può essere pensata come “pura”, perché ogni senso si produce
nell’apertura e nell’ospitalità verso l’altro. Vivere la contaminazione
significa accogliere la differenza, riconoscere la traccia dell’altro, e
lasciarsi trasformare dall’incontro. È in questa prospettiva che la
decostruzione diventa non solo una teoria della lettura, ma una vera e propria
etica dell’ospitalità.