Paolo Cugini
Soggetto lo usiamo molto spesso come sinonimo di uomo. Il termine soggetto non compare nell’antichità neanche latina in quanto si tratta di una produzione della modernità, esito della filosofia di Descartes. C’è in Descartes la ricerca di un processo conoscitivo che assicuri l’evidenza delle asserzioni e lo fa attraverso una serie di regole. Regola dell’evidenza: accogliere come vero solo ciò che risulta evidente; regola dell’analisi: suddividere ogni problema nelle sue parti elementari; regola della sintesi: risalire dal semplice al complesso; regola dell’enumerazione: enumerare tutti gli elementi individuati mediante l’analisi e rivedere tutti i passaggi della sintesi. Secondo Descartes, occorre dubitare di tutte le cose che non appaiono chiare e coerenti e, portato all’estremo, diventa un dubbio iperbolico in cui si dubita di tutto: dei sensi, della ragione, dell’esistenza della materia e perfino delle stesse verità matematiche. In ogni modo, sostiene Descartes, di tutto posso dubitare, tranne che del fatto stesso di dubitare, quindi di esistere. La proposizione “io esisto” equivale dunque alla proposizione” io sono un soggetto pensante”. L’atto di dubitare è, di conseguenza, indubitabile. Ma dubitare significa pensare, sia pure per mettere in dubbio il contenuto pensato. Di qui, l’intuizione di Descartes: penso, dunque sono, esisto (cogito, ergo sum). È questa la prima verità fondamentale.
Nella ricerca di una conoscenza certa, il corpo rimane escluso perché è fonte
di dubbi, perché il corpo lo conosco attraverso i sensi ed i sensi ingannano.
La prospettiva gnoseologica aperta da Descartes riporta sul piano antropologico
non solo quella svalutazione del corpo tipica della riflessione platonica, ma
anche il dualismo tra razionalità e corporalità che, in parte, Tommaso aveva
tentato di sanare. Nonostante che sin dall’apparizione del Discorso sul
metodo non mancarono le critiche de suoi detrattori, è indubbio che
l’intuizione proposta dal cogito cartesiano provocasse un radicale novità nel
panorama gnoseologico della filosofia occidentale. Come giustamente ha
sostenuto la prof.ssa Bonicalzi: “Più che a Galileo è a Descartes che dobbiamo
la nascita del linguaggio delle scienze. La struttura della logica della
scienza va a Descartes […] Non se ne esce dal cogito, il cogito ha posto
talmente una novità di modo di ragionare, su cui si è costruita tutta la
scienza e la tecnica”. Si passa, infatti, dalla fondazione teologica del
soggetto umano che ha caratterizzato tutto il dibattito filosofico medievale,
al soggetto come punto di partenza per la ricerca della verità. D’ora innanzi,
è il soggetto il grande protagonista della cultura occidentale, al punto da
essere la chiave di valutazione della stessa realtà, che potrà valere nella
misura in cui corrisponde all’idea elaborata dal soggetto. Il cogito cartesiano
apre la strada alla netta separazione tra fede e ragione, indicando il cammino
di una conoscenza certa basata sulla fiducia nella ragione. A mio avviso, si
tratta di una forma meno mistica di platonismo, che rivela la struttura
portante della cultura occidentale, che ha iper-valorizzato il dato razionale a
detrimento delle sensazioni e dei sentimenti. Il cogito cartesiano è il punto
di partenza di una forma di pensiero unidirezionale, che non potrà che
provocare sistemi rigidi incapaci di accogliere e spiegare la molteplicità
della realtà.
Di questo parere è Michel Foucault, che accusa Descartes di aver escluso e buttato fuori l’animale dal corpo umano, mentre sul versante della ragione ha emarginato la follia. Il cogito cartesiano è esclusione dell’altro quando l’altro è il diverso. Foucault lavora sulle istituzioni che sono segregazioni dell’altro universo (prigione, manicomio) e scrive una storia della follia in cui recupera la figura del folle come partecipe della vita nel mondo medievale e si interroga sul che cosa significhi lasciar esistere il folle tra di noi, il matto del villaggio, come qualcuno con cui dobbiamo continuamente relazionarci e rinchiuderlo però, in modo da togliercelo dalla vista. Foucault è un acerrimo critico del cogito cartesiano, responsabile della costruzione di un modo di pensare escludente, che ha strutturato percorsi sociali fatti per pochi, provocando l’esclusione di quei settori della società considerati marginali rispetto ad un’idea di realtà predeterminata. Quando un pensiero non è in grado di accogliere la differenza significa che presenta delle aporie al suo interno, aprendo il varco a cammini d’intolleranza, che possono sfociare nella violenza nei confronti del diverso.
Mentre Foucault risponde al cogito cartesiano
con la prospettiva della morte dell’uomo, Jacques Derrida sostiene che il
cogito cartesiano permette un altro percorso (della soggettività) che è l’io
auto-biografico. L’io è colui che narra e scrive la sua vita, recuperando
quell’aspetto di auto-riflessività già presente, come abbiamo visto, nella
filosofia di Mounier. Derrida aveva denunciato che il cogito si costruisce
nell’esclusione della corporeità, ma che recuperava dall’interno
dell’operazione cartesiana, “la possibilità di una soggettività che lui chiama
io, un io capace di narrare la sua propria vita (lo chiama “io
autobiografico”). Deridda insiste su questo aspetto forte della soggettività, su
un punto di individualità che ci connota nell’identità personale: la firma”.
Sulla linea di Deridda anche se con
sfumature diverse si pone Jean Luc Marion, il quale si accosta a Descartes in
prospettiva fenomenologica. Se Descartes ha a che fare con la fenomenologia,
ciò trova innanzitutto giustificazione nel fatto che egli porta a compimento il
progetto della metafisica fino a farne emergere le possibilità e i limiti, o,
meglio, “fino addirittura alla possibilità stessa di fare del limite la soglia
che apre – e richiede il passaggio – alla fenomenologia”. Per Marion, quello
che entra in gioco nell’articolazione del rapporto tra metafisica e
fenomenologia, “è un modello di razionalità che non va abolito ma destituito,
non perché inutile, ma perché potenziabile e fecondabile”. Alle origini tanto
della nozione di io, quanto di quella di Dio sta, secondo Marion interprete di Descartes,
la fenomenologia della donazione: non è comprensibile l’io se viene distaccato
da Dio, ma neppure se ad esso viene sovrapposto; solo la donazione nel momento
stesso in cui rivela l’esatto rapporto tra Dio e l’io, rivela anche chi sia Dio
e insieme chi sia l’io. Di qui l’importanza, per Marion, di collocare
l’indagine antropologica e in generale filosofica, all’interno di un’esplicita
filosofia della religione, “che viene a fungere da articolazione tra la prima
indagine storico-filosofica su Descartes e la successiva esplicita
fenomenologia della donazione”.
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