Paolo Cugini
Pico della Mirandola, filosofo umanista, ci aiuta ad approfondire il concetto di dignità. Troviamo i contenuti significativi che fondano in modo nuovo il concetto di dignità nel: Discorso sulla dignità dell’uomo scritto nel 1486. Secondo Pico, la dignità dell’uomo non gli viene data da Dio, ma è relativa alla sua natura umana. Pico lavora in una dimensione multiculturale e cerca qualcosa che è comune a tutte le culture. Cos’è comune a tutte le culture? Dire che nulla è più splendido dell’uomo. La differenza tra intelletto e ragione è che la ragione indaga (è argomentativa) e l’intelletto è intuitivo e dà luogo a delle evidenze.
All’uomo sarebbe riconosciuto di essere elemento di
temporalità, ma anche eterno. Pico pensa che l’uomo ha in sé tante
caratteristiche importanti, ma non lo rende l’essere migliore al mondo: ci sono
creature di gran lunga superiori ed ammirabili. Dopo aver dubitato, dichiara di
aver intuito che cosa faccia dell’uomo un miracolo, una meraviglia tra i
viventi. Pico convoca Mosè e Timeo, quindi Atene e Gerusalemme. La paterna
potestà (Dio) non può venir meno al suo ultimo desiderio, che dev’essere di
altissimo livello. “di natura indefinita”: non disponendo di un’altra
cosa, di un altro luogo, di un altro archetipo, dà all’uomo tutto ciò che
aveva singolarmente assegnato agli altri. L’uomo dispone di tutto quello
che hanno gli altri, ma gli dà una natura indefinita in questo modo. Tu te la determinerai, da nessuna
barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai
Una natura indefinita vuol dire che non è determinato ad essere per sempre la
stessa cosa. Una natura che può farsi, che rispetta sé stessa, nel suo farsi.
Definire l’uomo di natura indefinita significa ampliare le sue possibilità. La
natura indefinita vuol dire, dunque, un’estrema potenzialità. In altre parole,
per Pico della Mirandola ciò che identifica la dignità dell’uomo è la sua
libertà, la sua possibilità di determinarsi in ogni momento come vuole. O suprema liberalità di Dio padre! o
suprema e mirabile felicità dell'uomo! a cui è concesso di ottenere ciò che
desidera, di essere ciò che vuole.
Arriviamo,
così, a Kant, vale a dire in pieno illuminismo. La morale è auto-nomos (legge
a se stessa), quindi deve trovare dei valori intrinseci, dei criteri che sono
autonomi. In questo, Kant pone come uno dei doveri morali principali il fatto
che l’uomo non deve mai essere mezzo, ma sempre fine. Sono le leggi assolute
della morale autonoma, leggi che vengono dettate dalla ragione. Il criterio della
morale non è più qualcosa di eteronomo, ma è la ragione che detta alcune
regole, tra cui la più importante è: agisci in modo da trattare l’uomo così in te come negli altri sempre
anche come fine, non mai solo come mezzo. Questa legge fa sì che in
Kant la dignità, il fatto che l’uomo non sia mezzo ma fine, implica un rispetto
reciproco, una reciprocità. L’aspetto significativo per il nostro discorso è il
fatto che reciprocamente ci si deve rispettare e fare carico dell’altro come un
fine. È soltanto nel rispetto della dignità propria e altrui, ovvero nella
moralità della propria condotta, che a ciascun essere umano è dato di
realizzare pienamente sé stesso e la propria libertà. Questo fatto mette in
campo il termine dell’uguaglianza tra gli uomini: nessuno è superiore agli
altri, nessuno può usare un uomo come mezzo per raggiungere un fine, ogni uomo
è sempre un fine a sé stesso. Kant sostiene che, mentre il dovere negativo e il
dovere giuridico sono vincolanti, il dovere positivo è un punto di arrivo che
può essere guadagnato dall’umanità. Se in Pico la libertà era il focus, nei
testi kantiani recuperiamo il fondamento dell’uguaglianza. Per Kant il termine
della dignità è fondamentale per garantire il progresso: non c’è progresso se non
nel rispetto della dignità dell’uomo.
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