sabato 5 dicembre 2020

Tra libertà e dignità: da Pico della Mirandola a Emmanuel Kant

 



 

Paolo Cugini

Pico della Mirandola, filosofo umanista, ci aiuta ad approfondire il concetto di dignità. Troviamo i contenuti significativi che fondano in modo nuovo il concetto di dignità nel: Discorso sulla dignità dell’uomo scritto nel 1486. Secondo Pico, la dignità dell’uomo non gli viene data da Dio, ma è relativa alla sua natura umana. Pico lavora in una dimensione multiculturale e cerca qualcosa che è comune a tutte le culture. Cos’è comune a tutte le culture? Dire che nulla è più splendido dell’uomo.  La differenza tra intelletto e ragione è che la ragione indaga (è argomentativa) e l’intelletto è intuitivo e dà luogo a delle evidenze. 



All’uomo sarebbe riconosciuto di essere elemento di temporalità, ma anche eterno. Pico pensa che l’uomo ha in sé tante caratteristiche importanti, ma non lo rende l’essere migliore al mondo: ci sono creature di gran lunga superiori ed ammirabili. Dopo aver dubitato, dichiara di aver intuito che cosa faccia dell’uomo un miracolo, una meraviglia tra i viventi. Pico convoca Mosè e Timeo, quindi Atene e Gerusalemme. La paterna potestà (Dio) non può venir meno al suo ultimo desiderio, che dev’essere di altissimo livello. “di natura indefinita”: non disponendo di un’altra cosa, di un altro luogo, di un altro archetipo, dà all’uomo tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. L’uomo dispone di tutto quello che hanno gli altri, ma gli dà una natura indefinita in questo modo. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai Una natura indefinita vuol dire che non è determinato ad essere per sempre la stessa cosa. Una natura che può farsi, che rispetta sé stessa, nel suo farsi. Definire l’uomo di natura indefinita significa ampliare le sue possibilità. La natura indefinita vuol dire, dunque, un’estrema potenzialità. In altre parole, per Pico della Mirandola ciò che identifica la dignità dell’uomo è la sua libertà, la sua possibilità di determinarsi in ogni momento come vuole. O suprema liberalità di Dio padre! o suprema e mirabile felicità dell'uomo! a cui è concesso di ottenere ciò che desidera, di essere ciò che vuole.

 


Arriviamo, così, a Kant, vale a dire in pieno illuminismo. La morale è auto-nomos (legge a se stessa), quindi deve trovare dei valori intrinseci, dei criteri che sono autonomi. In questo, Kant pone come uno dei doveri morali principali il fatto che l’uomo non deve mai essere mezzo, ma sempre fine. Sono le leggi assolute della morale autonoma, leggi che vengono dettate dalla ragione. Il criterio della morale non è più qualcosa di eteronomo, ma è la ragione che detta alcune regole, tra cui la più importante è: agisci in modo da trattare l’uomo così in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come mezzo. Questa legge fa sì che in Kant la dignità, il fatto che l’uomo non sia mezzo ma fine, implica un rispetto reciproco, una reciprocità. L’aspetto significativo per il nostro discorso è il fatto che reciprocamente ci si deve rispettare e fare carico dell’altro come un fine. È soltanto nel rispetto della dignità propria e altrui, ovvero nella moralità della propria condotta, che a ciascun essere umano è dato di realizzare pienamente sé stesso e la propria libertà. Questo fatto mette in campo il termine dell’uguaglianza tra gli uomini: nessuno è superiore agli altri, nessuno può usare un uomo come mezzo per raggiungere un fine, ogni uomo è sempre un fine a sé stesso. Kant sostiene che, mentre il dovere negativo e il dovere giuridico sono vincolanti, il dovere positivo è un punto di arrivo che può essere guadagnato dall’umanità. Se in Pico la libertà era il focus, nei testi kantiani recuperiamo il fondamento dell’uguaglianza. Per Kant il termine della dignità è fondamentale per garantire il progresso: non c’è progresso se non nel rispetto della dignità dell’uomo.

 

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