mercoledì 9 dicembre 2015

SINTESI DELL'ESPERIENZA BRASILIANA





[testo pubblicato nel libro sui 50 anni della presenza reggiana nella diocesi di Ruy Barbosa]
Sono arrivato in Brasile il 14 gennaio del 1999 e sono tornato il 23 maggio del 2013.
Ho celebrato la mia prima messa in portoghese il giorno di pentecoste del 1999 nella chiesa Matriz di Ipirà ed ho celebrato la mia ultima messa in Brasile il giorno di pentecoste del 2013 nella stessa chiesa.

Il primo anno l’ho trascorso in Ipirà. E’ stato un anno nel quale ho messo a punto la lingua portoghese e mi sono dedicato alla conoscenza delle storia della chiesa e della cultura brasiliana. E’ stato un anno affascinante, in un certo senso una nuova nascita. Sono rinato in una nuova cultura e all’interno di una chiesa diversa da quella dalla quale provenivo. Sono dovuto morire molte volte per fare spazio alla nuova vita, al nuovo modo di vivere, di pensare, di celebrare e pregare. Sono dovuto morire alla tentazione di voler insegnare come si vive, celebra, prega. Imparare un idioma significa ritornare bambino, lasciarsi guidare, istruire.
Un giorno il vescovo don Andrè mi chiese se ero disponibile ad assumere la parrocchia di Miguel Calmon, divenuta improvvisamente vacante. Risposi immediatamente di sì. Non vedevo loro di immergermi nella nuova realtà, di conoscere persone, un modo diverso di essere chiesa per cercare d’inserirmi.
Dall’11 febbraio del 2000 al 6 febbraio del 2005 ho servito come parroco la parrocchia di Miguel Calmon, che dista circa 160 Km da Ipirà e 400 da Salvador. Sono arrivato al venerdì pomeriggio e il lunedì successivo ero già per le vie dei quartieri a visitare le famiglie, a conoscere e farmi conoscere. Annotavo in un diario tutto ciò che vedevo, che pensavo e poi lo condividevo con il consiglio pastorale e con altre persone che lentamente andavo scoprendo nella comunità.

Assieme ad un mio amico, Gianluca Guidetti, che dopo alcuni mesi mi raggiunse per condividere il cammino, decidemmo di abbandonare la casa parrocchiale, per andare a vivere in un quartiere povero: poveri in mezzo ai poveri. Ci sembrava il modo migliore per incarnare il Vangelo in un contesto di famiglie povere, per avvicinarci a loro senza far sentire nessun tipo di distanza. Pensando a quegli anni di grande entusiasmo spirituale mi viene da ringraziare il Signore per la sua grande bontà e misericordia nei nostri confronti. Mentre Gianluca si dedicava al lavoro pastorale nel quartiere, io mi occupavo delle circa 70 comunità della parrocchia. Il mio desiderio era quello di vivere vicino alla gente, di celebrare l’Eucarestia a partire da una relazione il più possibile vicina alle persone con le quali condividevo l’eucarestia. Dopo due anni, frutto del dialogo nei consigli pastorali e con il continuo dialogo con i leaders, dividemmo la parrocchia in otto regioni, in modo tale che ogni due messi riuscivo a passare in tutte le comunità. Partivo al lunedì pomeriggio e tornavo al venerdì sera. Trascorrevo la settimana in una regione dormendo e mangiando nelle case delle persone delle comunità che incontravo. Durante la settimana oltre a celebrare le messe, visitavo le famiglie, incontravo i giovani e i bambini sia nelle scuole che nelle cappelline. Con questo tipo di lavoro era venuto a conoscenza dei vari problemi delle comunità che discutevo nei consigli pastorali. Come mi piaceva questa vita! Che regalo grande mi è stato fatto dandomi l’opportunità di realizzare questa esperienza. A volte, trovandomi in bicicletta andando per le comunità era così grande la gioia e il senso di pienezza che avvertivo dentro di me, che desideravo che il tempo non passasse mai.
Oltre al lavoro pastorale nelle comunità nei primi due anni di Miguel Calmon lavorai molto con i giovani formando gruppi in tutti gli undici quartieri. Con i giovani ho lavorato in due direzioni. Da un lato cercavo di formare gruppi giovani locali per avere dei punti di riferimento sul luogo. A questo primo livello, oltre agli incontri settimanali, organizzavamo momenti aggregativi: feste, celebrazioni, gite, ecc. Oltre a ciò organizzavo periodicamente delle giornate di ritiro, di studio e delle settimane di esercizi spirituali. Negli ultimi due anni si era formato un gruppo di circa 20 giovani che partecipava alle settimane di esercizi spirituali. Tra questi, alcuni hanno abbracciato la vita religiosa e uno è attualmente in seminario a Feira di Santana. Sollecitati dai tanti giovani incontrati sin dal primo anno abbiamo iniziato ad allestire una biblioteca, che ha poi dato vita ad un’associazione culturale (ACMOR- Associazione Culturale Moringa) che aveva l’obiettivo di promuovere la cultura tra i giovani e d’intervenire nelle situazioni sociali di rischio. Molti eventi sono stati realizzati da quest’associazione, che negli anni si è estesa anche in altre città – Tapiramutà, Ruy Barbosa e Pintadas – per cercare di offrire strumenti alle nuove generazioni per uscire dalle situazioni di povertà e tentare percorsi di vita più dignitosi. Tra questi ricordo il corso in preparazione all’esame di accesso all’università, corsi di formazione politica e i tanti corsi di formazione organizzati in collaborazione con i municipi locali e con i patrocini dello Stato della Bahia.

Significativo è stato il lavoro formativo con gli adulti. Nei cinque anni di Miguel Calmon tutti i mesi incontravo alla domenica i leaders sia delle comunità rurali che della città. Ogni anno abbiamo lavorato sul tema scelto dagli stessi leaders. Preparavo il materiale e lo presentavo nel giorno dell’incontro formativo. Abbiamo approfondito gli articoli del Credo, i sacramenti, il Concilio Vaticano II, oltre chiaramente alla presentazione dei principali documenti della Conferenza Episcopale Brasiliana usciti in quel periodo. Era bello trovare il salone pieno di gente – 150/200 persone – che con molto interesse seguivano il corso di formazione dalla mattina alla sera. Un altro momento formativo molto importante rivolto agli adulti delle comunità della città è stato lo studio biblico settimanale, frequentato da circa 90 persone divise in due gruppi. Ogni anno sceglievamo il libro biblico da approfondire e ogni settimana approfondivamo un capitolo[1].
Nel giugno del 2003 mi venne fatta la proposta di insegnare filosofia nella nuova facoltà teologica di Feira di Santana, che dista circa 270 Km da Miguel Calmon. La Facoltà Teologica nasceva dalla volontà di alcune diocesi della regione di prendersi a cuore il futuro della chiesa locale e così lavorare con maggior attenzione alla formazione di un clero autoctono. Dopo aver detto di no per ben tre volte – mi piaceva troppo la vita che stavo conducendo! - accettai. Il 2004 fu un anno pesantissimo. Tutte le settimane trascorrevo due giorni insegnando alla facoltà e poi tornavo immergendomi nella vita delle comunità. Arrivai alla fine dell’anno così esausto che il vescovo ebbe pena di me e decise di spostarmi in una parrocchia più piccola e più vicina alla facoltà. Fu così che arrivai a Tapiramutà.

Dal 13 febbraio 2005 al 31 gennaio 2010 sono stato parroco di Tapiramutà. Una caratteristica di questa città è che, molto più che in altre della Bahia, le persone, soprattutto uomini e giovani, emigrano in cerca di lavoro. Oltre ad una migrazione esterna, Tapiramutà è una città di fortissima migrazione interna. Di fatto, nei mesi di maggio-agosto, camion pieni di gente, uomini e donne, si dirigono all’alba verso i grandi latifondi di caffè, che si trovano nelle campagne di Tapiramutà. Se da un lato questo può presentare aspetti positivi, come la possibilità di un lavoro e di guadagnare due soldi, dall'altro il lavoro nelle grandi fazende di caffè produce una serie infinita di problemi sociali, primo fra tutti le tanti situazioni di schiavitù. Dal punto di vista pastorale Tapiramutà è una parrocchia molto recente – 1979 – e di conseguenza poco organizzata e strutturata. Come a Miguel Calmon, anche a Tapiramutà iniziai a conoscere la realtà sia andando a vivere nel quartiere più povero, sia trascorrendo giornate nelle comunità a contatto con la gente. Mi è sempre piaciuta l’idea di una chiesa povera che vive in mezzo ai poveri, che non perde tempo ad abbellire gli edifici, ma si sporca le mani vivendo a contatto con la gente. Il lavoro pastorale maggiore di questa parrocchia è stato quello di formare comunità, rafforzare la formazione degli adulti, costituire i consigli pastorali. La novità di Tapiramutà è stata la presenza del Movimento dei Senza Terra e gli accampamenti di famiglie in cerca di ottenere un pezzo di terra. Ricordo con dolore la storia triste di un gruppo di famiglie che per dieci anni hanno vissuto sotto dei tendoni di plastica, coltivando quello che potevano, in attesa di una risposta dallo Stato sino a quando una notte, il padrone della terra mandò alcuni uomini per bruciare tutto. Storie di questo tipo mi hanno messo a contatto con la durezza di cuore dei ricchi e la sofferenza dei poveri, mostrandomi senza tanti giri di parole la verità di tanti salmi e di brani di Vangelo. Per molti aspetti anche se Tapiramutà era una parrocchia più piccola, dal punto di vista pastorale è stata molto più impegnativa di Miguel Calmon. Se, infatti, in quest’ultima trovai molti laici disponibili alle attività delle comunità, poca è stata la risposta nei primi anni a Tapiramutà. Mi ricordo la sensazione di smarrimento che provai nei primi incontri formativi che organizzai a Tapiramutà e nelle prime celebrazioni eucaristiche: percepì che negli anni trascorsi a Miguel Calmon mi ero abituato troppo bene. In ogni modo non mi feci abbattere dalla realtà e tentai di dare valore al lavoro pastorale di coloro che mi avevano preceduto e tentai anche nuovi percorsi. Tra questi segnalo il lavoro pastorale fatto con i giovani sia nei quartieri che nelle scuole e, soprattutto, il grande lavoro di formazione politica in un contesto nel quale la corruzione politica dilagava in modo impressionante. Anche a Tapiramutà abbiamo realizzato molti ritiri spirituali e settimane di esercizi. Abbiamo trasformato la casa parrocchiale, che non utilizzavo perché ero andato a vivere in una casa di un quartiere povero della città, in una casa d’incontri formativi e di ritiri. Con i tanti giovani incontrati nei ritiri spirituali, nei gruppi, nelle scuole e nei corsi attivati dall’Associazione Culturale, assieme anche a diversi adulti sensibili al problema, abbiamo costituito il Movimento Fede e Politica. Nella mia esperienza brasiliana la partecipazione a questo movimento è stata molto significativa. Sin dai tempi di Miguel Calmon, quando entrammo a conoscenza di questa organizzazione, che lavorava per aiutare le persone a prendere coscienza del loro ruolo di cittadini e di lottare contro ogni forma di corruzione politica, causa principale dell’arretramento economico e sociale delle città e della povertà diffusa, facemmo di tutto per portarlo anche nella nostra realtà. Ci sembrava infatti, che la proposta del Movimento fede e Politica era in linea con quello che andavamo cercando. Ci rendevamo sempre più conto che era impossibile aiutare le famiglie povere solamente offrendo delle risposte assistenziali, ma occorreva lavorare sulle cause, offrire, cioè degli strumenti alle persone per uscire con le loro mani dalle situazioni di emergenza. Se l’Associazione Culturale lavorava con l’intento aiutare le giovani generazioni a comprendere meglio la realtà nella quale vivevano, Il Movimento fede e Politica ci aiutava a realizzare qualcosa di concreto in questa direzione. I tanti corsi di formazione politica messi in piedi in tanti anni e in tante città avevano come scopo di aiutare le persone non solo ad aprire gli occhi e di uscire dai tanti cammini di corruzione messi in atto dal potere locale, ma di denunciare le forme di corruzione per promuovere in questo modo un mondo più giusto e solidale. CI rendevamo sempre più conto che era impossibile annunciare il Vangelo, celebrare delle messe in questo contesto senza fare nulla per contrastare la corruzione politica dilagante, che coinvolgeva tantissime persone. Se a Miguel Calmon l’adesione al Movimento Fede e Politica era stata piuttosto scarsa, ben diverso fu la risposta di Tapiramutà. Ho raccontato questa storia in un libro[2] quindi non mi dilungo. M’interessa solo sottolineare che nell’esperienza pastorale di Tapiramutà trovammo una bella sintesi tra la fede alimentata dalla Parola di Dio e nell’Eucarestia e l’impegno a favore dei poveri. Alla fine di dicembre del 2009 il vescovo don André mi comunica che si era liberata la parrocchia di Pintadas, che dista 150 km dalla sede della Facoltà nella quale insegnavo e che quindi a partire dal prossimo anno avrei cambiato nuovamente parrocchia. E’ stato bello e commovente vedere, come del resto era successo a Miguel Calmon, l’affetto dei giovani e delle tante persone incontrate nelle comunità che fecero di tutto per non perdermi, organizzando carovane per incontrare il vescovo e chiedere la mia permanenza nella parrocchia. Non era tanto per me, ma questo tenace sforzo voleva esprimere il valore che veniva dato al cammino costruito assieme. Vari preti in Italia hanno ironizzato sui miei frequenti spostamenti di parrocchia in Brasile. Ebbene, l’unica motivazione di questi è stato l’avvicinamento alla facoltà nella quale insegnavo, proposta che, come ho scritto sopra, è stata contro la mia volontà, nel senso che non l’ho cercata, ma alla quale mi sono piegato per servire meglio la chiesa.

Dal 14 febbraio 2010 al 29 aprile 203 ho servito la parrocchia di Pintadas. Sono giunto a Pintadas in condizioni fisiche e mentali penose. L’estenuante lavoro pastorale e di studio realizzato negli ultima anni aveva davvero messo a dura prova le mie forze. Prima di entrare a Pintadas trascorsi una settimana nel Monastero Carmelitano di clausura di Bonfim, dove vivevano otto suore. Da quando avevo conosciuto il Monastero nel 2001 l’avevo tenuto come punto di ristoro spirituale. Solitamente trascorrevo nel Monastero di Bonfim una settimana a gennaio e una a giugno. Andando con la mente agli anni trascorsi in Brasile il Monastero di Bonfim è stato nel mio cammino un punto di riferimento fondamentale. La realtà pastorale della parrocchia di Pintadas è molto positiva. Dietro, infatti, c’è una storia fatta di preti e suore che hanno dedicato tempo per la formazione delle comunità di base. Ci sono soprattutto laici e, in modo particolare e sorprendente, tanti uomini. La caratteristica che più mi ha colpito di questa parrocchia rispetto alle altre è la missionarietà. Pintadas è ancora oggi una parrocchia missionaria. Infatti, due domeniche al mese, da trent’anni a questa parte, un gruppo di persone adulte che varia dalle 30 alle cinquanta unità, si dirige per visitare una comunità. Si ritrovano assieme in chiesa per un momento di preghiera e poi partono chi in pulman, chi in moto per una comunità. Arrivati a destinazione si dividono in coppie per visitare tutte le famiglie, proponendo una pagina di Vangelo previamente scelta e invitando le persone incontrate alla celebrazione pomeridiana nella cappella della comunità. Lo stile missionario di questa parrocchia ha avuto come esito positivo il coinvolgimento di molti adulti nella vita delle comunità di base. Negli anni trascorsi a Pintadas ho cercato di dare continuità alla bella realtà ecclesiale incontrata dando un occhio di riguardo al percorso formativo dei giovani.

Nel periodo di Pintadas sono venuti a maturazione alcuni aspetti del mio ministero negli anni trascorsi in Brasile. Tra il 2011 e il 2012 abbiamo moltiplicato i corsi di formazione alla politica in molte città non solo della nostra diocesi di Ruy Barbosa, ma anche di altre. Questi corsi venivano organizzati soprattutto in occasione delle elezioni municipali. Ho sempre finalizzato in questi periodi elettorali il cammino della chiesa con l’impegno contro la corruzione. Veniva spontaneo coinvolgere non solo i giovani, ma anche gli adulti nell’impegno per una società più giusta, ispirarsi ai profeti per denunciare le forme di corruzione e uscire così dai cammini dell’omertà. Negli ultimi anni della mia esperienza brasiliana ho avuto anche l’opportunità di condividere la Parola con religiosi, sacerdoti e vescovi di varie diocesi attraverso la predicazione di settimane di esercizi spirituali. In questi momenti ho avuto la possibilità di venire a conoscenza anche delle problematiche ecclesiali e sociali di zone del Brasile molto distanti e differenti da quella dove operavo. Molto importante si è rivelata anche l’esperienza dell’insegnamento alla Facoltà Cattolica di Feira di Santana. Nei dieci anni d’insegnamento ho avuto modo di conoscere i seminaristi delle sette diocesi della regione, di scambiare con loro opinioni non solo sul cammino della chiesa, ma anche sui problemi sociali e politici delle città di provenienza. Molto positiva, infine, è stata anche la partecipazione ai Social Forum sia continentali che mondiali e anche ai congressi continentali di teologia della liberazione. E’ stato in questi contesti che ho compreso come sia importante per un presbitero avere un respiro più grande, ascoltando e confrontandosi con esperienze diverse, capire così la responsabilità di coinvolgere le persone delle comunità e delle parrocchie dentro il respiro del mondo, per non correre il rischio di morire asfissiati dall’aria viziata di chiuso.[3]




[1] Ho raccolto le riflessioni di questo periodo nel libro: Il futuro del Vangelo. Dal Brasile domande e proposte per la Chiesa, EMI, Bologna 2010.
[2] Cfr. P. CUGINI, Rivoluzione. Quando il Vangelo smuove le montagne. Diario di una trasformazione non violenta nel Nordest brasiliano, EMI, Bologna 2014.
[3] Ho espresso uno sforzo di sintesi del lavoro pastorale realizzato negli anni in Brasile nei seguenti articoli: Con i poveri senza demagogia, Prospettiva Persona, Teramo 61 (2007) 18-28; Fame e sete di giustizia. Un’esperienza di chiesa nel Nordest brasiliano, Testimonianze, Firenze, 461 (2008) 95-112; Risvegliare le coscienze. Il caso Bahia, Testimonianze, Firenze 488-489 (2013) 139-147; Dal punto di vista dei poveri, in Testimonianze, Firenze 498-499 (2015) 120-130.