CHE
BELLA MESSA!
Paolo Cugini
E’ stata questa l’espressione che un bambino mi ha
rivolto alla fine della celebrazione eucaristica realizzata sotto il tendone
negli spazi della parrocchia. Me lo ha detto con il sorriso sulle labbra e
rafforzava così il sentimento di gratitudine e di soddisfazione per aver
partecipato a qualcosa di bello, di significativo, per nulla diverso dagli
altri momenti che caratterizzano il Campo Estivo. Senza dubbio questo bambino ha sentito che la
messa celebrata al Campo Giochi era qualcosa di vivo, presente alla sua vita,
comprensibile, che esprimeva dei significati inerenti alla sua vita di bambino.
Il sorriso di questo bambino nel manifestare la sua gioia per la Messa
celebrata significa che per lui la vita del Campo Giochi era ben manifestata
nella celebrazione appena terminata. A questo bambino è piaciuta la Messa
perché in un certo senso, l’ha colta come parte integrante di quello che stava
vivendo: la celebrazione eucaristica stava esprimendo la sua vita di bambino.
Le parole del bambino del Campo Giochi mi hanno
fatto molto riflettere durante le settimane seguenti. Pochissimi dei bambini
presenti ho rivisto in Chiesa alla domenica. Lo stesso ho constatato per i
genitori presenti numerosi alla bellissima festa di fine Campo: pochissimi alla
messa alla domenica. Senza dubbio molte famiglie approfittano del fine
settimana estivo per trascorrerlo in qualche posto turistico, o al mare o nei
monti. E’ anche vero, però, che molti genitori non sono più abituati a
considerare la domenica come il giorno del Signore: perché? La risposta che mi
viene immediatamente in mente è che, probabilmente, gli adulti non trovano
nella celebrazione domenicale quei contenuti dei quali si alimentano nella vita
di tutti i giorni. E’ come se la messa domenicale fosse qualcosa di
estremamente diverso da quello che è la vita, dai suoi problemi. Da una parte
la vita con le sue esigenze e, dall’altra, il culto, la liturgia con le sue
dinamiche, i suoi riti che sembrano animare un sacro che non dice più nulla, o
perlomeno poco, alla vita concreta della gente. Vita e liturgia come due mondi
separati e distanti che sembrano inconciliabili. Forse è questo il motivo
dell’allontanamento dalla liturgia domenicale di tanti adulti (tutti
battezzati)?
Mentre pensavo a questi problemi che per me come
prete sono di estrema importanza, mi venivano alla mente le parole di un
fascicoletto letto poco tempo fa, che riportava un fatto avvenuto nei primi
secoli della Chiesa. L’imperatore Diocleziano aveva proibito di celebrare la
messa domenicale e avrebbe punito gli infrattori con la morte. Alcuni
centurioni, in un giro di perlustrazione nelle campagne romane, scoprirono in
un casolare un piccolo gruppo di adulti celebrando la Messa. Alla domanda dei
centurioni sulla conoscenza del decreto di Diocleziano che proibiva di
celebrare la Messa domenicale e sui motivi della disobbedienza, il gruppetto
rispose: “Senza l’Eucarestia non siamo
nulla. Senza la Domenica la nostra vita è vuota”. Questo gruppo di persone,
tra i quali c’era un sacerdote, un diacono e un gruppetto di sposi, rischiò la
vita e la persero per poter celebrare la messa domenicale. Ciò significa che
per loro la Messa diceva qualcosa alla loro vita e che quello che celebravano
aveva una ricaduta immediata sul loro vissuto quotidiano. Credo che le parole
del bambino del Campo Giochi e questa testimonianza della prima comunità
cristiana offrano spunti per una riflessione sul nostro modo di celebrare
l’Eucarestia domenicale. Dovremmo riprendere in mano il Vangelo e confrontarci
per capire il significato del rito che celebriamo alla domenica. Se la messa
domenicale è ridotta ad un puro precetto da rispettare probabilmente non potrà
dire molto alla vita della gente in un mondo sempre più secolarizzato (grazie a
Dio). Forse questo scollamento tra fede e vita, fra le liturgie che celebriamo
e la vita concreta delle persone dovrebbe produrre in noi il desiderio di
andare alle fonti, per capire i motivi di questo scollamento e, soprattutto,
per capire se quello che stiamo celebrando è nella modalità di colui che l’ha
inventata. Probabilmente sfogliando attentamente le pagine del Vangelo
scopriremmo che Gesù non ha voluto inventare un rito, ma indicare uno stile di
vita. Quel pane spezzato e quel vino donato ai discepoli nell’ultima cena, non
sono altro infatti, ce la sintesi della vita di Gesù: una vita donata
gratuitamente per gli altri. E allora quando ci avviciniamo alla Chiesa alla
domenica per partecipare del culto eucaristico dovrebbe essere esattamente per
questo: alimentarci dello stile di vita di Gesù, per svuotarci dallo stile che
il mondo tutti i giorni ci impone. Se ci accostassimo alla mensa eucaristica
con queste intenzioni, probabilmente non lo vivremmo più come un semplice
precetto, ma come un bisogno vitale dell’anima. Se avessimo chiara l’idea che
nella Messa non stiamo celebrando un semplice rito, ma il senso profondo della
vita, allora ci preoccuperemmo di come è celebrato. Come diceva qualcuno: la
prima e più autentica forma di evangelizzazione in una comunità deriva dai riti
che celebra. I riti che celebriamo sono il termometro della vita di fede di una
comunità.
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