giovedì 24 dicembre 2015

DELLA FRAGILITÀ



VEGLIA DI NATALE
Paolo Cugini

“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.

 Il segno era un bambino: che strano. Che segno strano. Che cosa ha voluto Dio esprimere con un simile segno? Del resto, ascoltando i profeti nel tempo di avvento, ci è stato detto che la nascita di un bambino era stata annunciata sin dall’antichità, e non solo una volta, ma più volte. Un bambino, la nascita di un bambino era annunciata dai profeti, ed era attesa dal popolo d’Israele.
Il bambino è segno di debolezza, di fragilità, di qualcosa che non riesce a vivere da solo. Il bambino è il massimo della fragilità. Ebbene è questo il segno che Dio ha dato all’umanità. Facciamo fatica a cogliere il valore positivo di questo segno perché c’è tutta una tradizione che indica la fragilità come qualcosa di negativo, da nascondere, qualcosa di cui vergognarsi. C’è poi tutta una tradizione spirituale che indica il peccato come conseguenza della fragilità, che indica la fragilità con connotati negativi. Invece Dio, inviando suo figlio Gesù come un bambino ci dice che la fragilità, la mia fragilità, la nostra fragilità è il punto di partenza del cammino, è il punto della nostra umanità che deve rimanere scoperto e non ricoperto, deve essere ascoltato e non taciuto.

 Questo mi sembra il significato di questo segno. Dio conosce la nostra condizione umana, che è una condizione di fragilità: per questo è venuto in questo modo, fragile e bisognoso. E per questo motivo lo ha donato a noi come un segno: è il punto di partenza. Il senso di una cammino spirituale sia di natura religiosa che esistenziale consiste nello scoprire la nostra fragilità, nel prendere coscienza della nostra condizione specifica di fragilità di debolezza, di bisogno. Siamo fragili e quindi bisognosi di aiuto: non siamo autosufficienti. Per questo Gesù continuamente nel Vangelo c’invita a ritornare bambini, a scoprire le nostre fragilità, a sentire il bisogno del Padre. C’è tutta un’educazione che prende questo punto della nostra umanità, che è la fragilità, che è la   condizione di debolezza, e lo ricopre di forza, lo nasconde agli occhi dell’interessato, gli fa credere che non ha bisogno di nulla. C’è tutta un’impostazione educativa che porta i giovani lontano da Dio, che non permette loro d’incontrare Dio. E’ la cultura della forza, è l’educazione a primeggiare sugli altri, è il cammino verso la ricerca dell’autosufficienza che, mentre procediamo, ci allontana progressivamente da Dio, perdendo la possibilità di crescere in umanità.

Infatti, che cosa fa il Signore Gesù con le nostre fragilità? Che cosa fa Dio con le nostre richieste di aiuto? Forse che ci giudica, ci ridicolizza, ci umilia? La risposta a questa domanda la troviamo leggendo i vangeli, ascoltando gli incontri di Gesù con le persone fragili, con gli storpi, gli zoppi, i ciechi, i muti, i dubbiosi: Che cos’ha fatto Gesù con tutti loro? Li ha coperti di misericordia e di bontà. Questo è il grande miracolo. C’è tutta un’umanità ferita che il Signore cura con la sua bontà. C’è tutta un’umanità disorientata che Gesù accoglie con la sua misericordia. Tutte quelle ferite che noi con tanta cura e premura nascondiamo perché ci fanno troppo male, perché non siamo riusciti a curarle, perché continuamente ritornano davanti a noi, Gesù le ana con la sua bontà.  Un bambino è nato per noi; perché ci è stato dato un segno: ecco il segno: un bambino avvolto in fasce. Sono io quel bambino; sei tu quel bambino: questa è la grande rivelazione del Natale. D’ora innanzi non dobbiamo più fuggire da noi stessi, non dobbiamo più nascondere le nostre fragilità, non siamo più condannati a mostrarci più forti di tutti, non abbiamo più bisogno di porre delle maschere. Il bambino Gesù è lo strumento che Dio ha scelto per smascherare l’umanità terrorizzata dalla propria fragilità, che sistematicamente riveste il volto di forza, di potenza. Il bambino Gesù rivela che il punto di partenza della vita non è la forza, ma la debolezza; il punto di partenza di un autentico cammino di fede non è la dimostrazione della propria potenza, ma la presa di coscienza della nostra fragilità. E’ proprio questa debolezza e fragilità che Gesù assume e, durante la vita ci mostra il cammino di come trasformarla in amore, in perdono, in sete di giustizia, in misericordia e bontà.

C’è tutto un mondo malato al quale Gesù ha donato misericordia. Ed è Lui stesso a ripeterlo più volte nei vangeli, riprendendo alcune affermazioni dei profeti: misericordia io voglio e non sacrificio. Gesù è la misericordia, è la bontà che Dio ha donato a noi per rimetterci in piedi, per sanare le nostre ferite, per curare le nostre solitudini, per lenire le grandi sofferenze che derivano da situazioni affettive laceranti, che ci trasciniamo per tutta la vita e che non ci fanno dormire. Ferite non curate che non lacerano solamente noi, ma che trasmettiamo in un modo o in un altro anche alle persone che ci sono accanto. Umanità ferita, lacerata, che non trova pace, non trova un rimedio, perché forse il rimedio non c’è, per lo meno alla nostra portata umana. Ci sono delle ferite umane che solo Dio può guarire. Veniamo alla grotta con il dolore delle nostre ferite, con le conseguenze delle nostre fragilità. Veniamo alla grotta perché abbiamo bisogno di te, abbiamo coscienza di questo bisogno profondo, che ci lacera l’anima, che non ci fa dormire.


Questi sono allora i miei auguri di Natale, che durante l’anno nuovo che si avvicina possiamo incontrare il Signore, colui che solo può riempirci il cuore di bontà e di misericordia, colui che solo può sanare le nostre ferite che vengono dalla solitudine, da rapporti tesi, da relazioni carenti di amore. Gesù è la nostra pace. 

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