VEGLIA DI NATALE
Paolo Cugini
“Questo per voi il segno:
troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Il segno era un bambino: che strano.
Che segno strano. Che cosa ha voluto Dio esprimere con un simile segno? Del
resto, ascoltando i profeti nel tempo di avvento, ci è stato detto che la
nascita di un bambino era stata annunciata sin dall’antichità, e non solo una
volta, ma più volte. Un bambino, la nascita di un bambino era annunciata dai
profeti, ed era attesa dal popolo d’Israele.
Il bambino è segno di debolezza, di
fragilità, di qualcosa che non riesce a vivere da solo. Il bambino è il massimo
della fragilità. Ebbene è questo il segno che Dio ha dato all’umanità. Facciamo
fatica a cogliere il valore positivo di questo segno perché c’è tutta una
tradizione che indica la fragilità come qualcosa di negativo, da nascondere,
qualcosa di cui vergognarsi. C’è poi tutta una tradizione spirituale che indica
il peccato come conseguenza della fragilità, che indica la fragilità con
connotati negativi. Invece Dio, inviando suo figlio Gesù come un bambino ci
dice che la fragilità, la mia fragilità, la nostra fragilità è il punto di
partenza del cammino, è il punto della nostra umanità che deve rimanere
scoperto e non ricoperto, deve essere ascoltato e non taciuto.
Questo mi sembra
il significato di questo segno. Dio conosce la nostra condizione umana, che è
una condizione di fragilità: per questo è venuto in questo modo, fragile e
bisognoso. E per questo motivo lo ha donato a noi come un segno: è il punto di
partenza. Il senso di una cammino spirituale sia di natura religiosa che
esistenziale consiste nello scoprire la nostra fragilità, nel prendere
coscienza della nostra condizione specifica di fragilità di debolezza, di
bisogno. Siamo fragili e quindi bisognosi di aiuto: non siamo autosufficienti. Per
questo Gesù continuamente nel Vangelo c’invita a ritornare bambini, a scoprire
le nostre fragilità, a sentire il bisogno del Padre. C’è tutta un’educazione
che prende questo punto della nostra umanità, che è la fragilità, che è la condizione di debolezza, e lo ricopre di
forza, lo nasconde agli occhi dell’interessato, gli fa credere che non ha
bisogno di nulla. C’è tutta un’impostazione educativa che porta i giovani
lontano da Dio, che non permette loro d’incontrare Dio. E’ la cultura della
forza, è l’educazione a primeggiare sugli altri, è il cammino verso la ricerca
dell’autosufficienza che, mentre procediamo, ci allontana progressivamente da
Dio, perdendo la possibilità di crescere in umanità.
Infatti, che cosa fa il Signore Gesù
con le nostre fragilità? Che cosa fa Dio con le nostre richieste di aiuto? Forse che
ci giudica, ci ridicolizza, ci umilia? La risposta a questa domanda la troviamo
leggendo i vangeli, ascoltando gli incontri di Gesù con le persone fragili, con
gli storpi, gli zoppi, i ciechi, i muti, i dubbiosi: Che cos’ha fatto Gesù con
tutti loro? Li ha coperti di misericordia e di bontà. Questo è il grande
miracolo. C’è tutta un’umanità ferita che il Signore cura con la sua bontà. C’è
tutta un’umanità disorientata che Gesù accoglie con la sua misericordia. Tutte
quelle ferite che noi con tanta cura e premura nascondiamo perché ci fanno
troppo male, perché non siamo riusciti a curarle, perché continuamente
ritornano davanti a noi, Gesù le ana con la sua bontà. Un bambino è nato per noi; perché ci è stato
dato un segno: ecco il segno: un bambino avvolto in fasce. Sono io quel
bambino; sei tu quel bambino: questa è la grande rivelazione del Natale. D’ora
innanzi non dobbiamo più fuggire da noi stessi, non dobbiamo più nascondere le
nostre fragilità, non siamo più condannati a mostrarci più forti di tutti, non
abbiamo più bisogno di porre delle maschere. Il bambino Gesù è lo strumento che
Dio ha scelto per smascherare l’umanità terrorizzata dalla propria fragilità,
che sistematicamente riveste il volto di forza, di potenza. Il bambino Gesù
rivela che il punto di partenza della vita non è la forza, ma la debolezza; il
punto di partenza di un autentico cammino di fede non è la dimostrazione della
propria potenza, ma la presa di coscienza della nostra fragilità. E’ proprio
questa debolezza e fragilità che Gesù assume e, durante la vita ci mostra il
cammino di come trasformarla in amore, in perdono, in sete di giustizia, in
misericordia e bontà.
C’è tutto un mondo malato al quale
Gesù ha donato misericordia. Ed è Lui stesso a ripeterlo più volte nei vangeli,
riprendendo alcune affermazioni dei profeti: misericordia io voglio e non
sacrificio. Gesù è la misericordia, è la bontà che Dio ha donato a noi per
rimetterci in piedi, per sanare le nostre ferite, per curare le nostre
solitudini, per lenire le grandi sofferenze che derivano da situazioni
affettive laceranti, che ci trasciniamo per tutta la vita e che non ci fanno
dormire. Ferite non curate che non lacerano solamente noi, ma che trasmettiamo
in un modo o in un altro anche alle persone che ci sono accanto. Umanità
ferita, lacerata, che non trova pace, non trova un rimedio, perché forse il
rimedio non c’è, per lo meno alla nostra portata umana. Ci sono delle ferite
umane che solo Dio può guarire. Veniamo alla grotta con il dolore delle nostre
ferite, con le conseguenze delle nostre fragilità. Veniamo alla grotta perché
abbiamo bisogno di te, abbiamo coscienza di questo bisogno profondo, che ci
lacera l’anima, che non ci fa dormire.
Questi sono allora i miei auguri di
Natale, che durante l’anno nuovo che si avvicina possiamo incontrare il Signore,
colui che solo può riempirci il cuore di bontà e di misericordia, colui che
solo può sanare le nostre ferite che vengono dalla solitudine, da rapporti
tesi, da relazioni carenti di amore. Gesù è la nostra pace.
GRAZIE,
RispondiEliminaGiuliana e Vincenzo
de nada
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