mercoledì 16 dicembre 2015

PAROLA E STORIA




RIFLESSIONI SUL LIBRO DELL’APOCALISSE

 PAOLO CUGINI

 L’ascolto della parola

Il libro dell’Apocalisse si apre con la parola “Rivelazione”. In questo nuovo millennio che si apre sarebbe importante riscoprire la Parola di Dio come un dono, una Rivelazione. Essendo la Parola una rivelazione ciò significa due cose: la prima è che Dio desidera dire qualcosa all'uomo; la seconda è che l’uomo, per scoprire il contenuto che Dio intende rivelargli, deve stare attento, aprire l’orecchio. C’è un versetto significativo che, nel primo capitolo dell’Apocalisse, mostra il rapporto tra Dio che parla e l’uomo che ascolta: ”Rapito in Spirito nel giorno del Signore, udii dietro a me una voce possente, come di tromba” (Ap 1,10). La Parola di Dio è come una voce possente che sta dietro all'umanità e deve essere ricevuta come un dono. La Parola precede l’uomo: c’è una storia, secoli di avvenimenti, tradizioni. La Parola non è invenzione dell’uomo, per questo l’atteggiamento che la Parola intende suscitare è quello dell’ascolto attento affinché il contenuto rivelato dalla Parola possa scendere fino al cuore. ”Mi voltai per vedere chi mi parlava” (Ap 1,12). Per fare in modo che la Parola scenda in profondità è necessario voltarsi indietro, entrare nella storia di colui che Parla, conoscere le tradizioni passate. Cercare il volto del Signore nella Parola vuole dire accettare la fatica quotidiana di conoscere la provenienza di questo volto, la sua origine, il suo passato. Il tempo è un dato antropologico dell’universo personale: non si può pretendere di conoscere qualcuno se non si fa lo sforzo di conoscerne la storia. Ciò vale anche per la Parola di Dio. Ce lo ricorda l’autore della lettera agli Ebrei: ”Dio che nel tempo antico molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri nei profeti, in questa fine dei tempi ha parlato a noi nel Figlio” (Eb 1,1-2a).

 La Parola si è comunicata all’uomo entrando nella sua storia, influenzando le sue scelte, le sue leggi. C’è stato un lento cammino di entrata nel tempo fino all’evento cruciale che è stata l’incarnazione che ha fatto della Parola una Persona: Gesù Cristo. Il gesto, allora, di Giovanni che si volta per vedere colui che gli rivolgeva la Parola, è il gesto che la Chiesa compie ogni qual volta si mette in ascolto del “Testimone fedele, il primo nato fra i morti, il principe dei re della terra “ (Ap1,5).Compiendo lo sforzo di voltarsi indietro per conoscere l’Agnello, la Chiesa può presentare all’umanità una verità autentica. Di fatto, in questo mondo così detto post-moderno, caratterizzato dalla frammentazione dei saperi, dalle “verità deboli “, dalla crisi di punti di riferimento chiari e distinti, la presa di coscienza di una Parola vera, rivelata, che precede l’uomo è un dato di grande consolazione. Ci chiediamo allora: quando la chiesa è in grado di presentare all’umanità post-moderna la Verità di Gesù? Ogni volta che riesce a trasformare la Parola in storia, ogni volta che “segue l’Agnello ovunque vada” (Ap 14,4), ogni volta che le azioni che compie sono risposta alla “voce possente” del “Testimone fedele”, la Chiesa sta manifestando ciò che il mondo non conosce: “ Il Signore Dio, Colui che è, che era, che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8)

 Celebrare la vita

L’ascolto della Parola di Dio, conduce l’uomo nella storia d’amore che il Padre sta preparando sin dall’inizio della creazione. L’uomo, coinvolto in questa storia d’amore, non può che lodare Dio. La Parola di Dio apre il cammino alla celebrazione liturgica e, senza una vita immersa nella Parola, diviene difficile cogliere la pienezza della liturgia. Lo diceva il papa Giovanni Paolo II in occasione del 40° anniversario della Sacrosanctum Concilium: “La liturgia da una parte suppone l’annuncio del Vangelo, dall’altra esige la testimonianza cristiana nella storia”.

 In questa prospettiva il libro dell’Apocalisse, che abbiamo preso come punto di riferimento, aiuta a cogliere il significato profondo della liturgia. I capitoli 4 e 5 descrivono in modo suggestivo e spettacolare la liturgia celeste, come centro e meta di tutta la storia dell’umanità: Dio è seduto sul trono e l’Agnello immolato in piedi. Qui viene celebrata la vittoria di Dio sul mondo dell’egoismo, vittoria manifestata nella morte e resurrezione del Figlio, l’Agnello immolato. A questa liturgia partecipa tutta la storia della salvezza assieme a coloro che hanno testimoniato con la propria vita l’amore a Gesù Cristo. E’ questo che fa riflettere: nella liturgia celeste è celebrata la vita! Viene dato gloria a Dio, infatti, per la vita che il Figlio ha saputo realizzare nell’amore a coloro che celebrano questa liturgia sono coloro che hanno vissuto sulla propria pelle questo amore. Troviamo così tutti gli elementi di una qualsiasi liturgia come inni, canti, genuflessioni, adorazione, silenzio, in un contesto vivo, in cui non c’è nulla di formale o di obsoleto.
 “Ero morto, ma ora sono vivo” (Ap 1,18). E’ ciò che l’Agnello dice di sé a Giovanni nella visione di apertura dell’Apocalisse. Se è il vivente, vuole dire che accompagna la vita e il cammino della Chiesa. Di fatto nei capitoli 2 e 3 leggiamo che cosa il Vivente ha da dire alle 7 chiese dell’Asia che, simbolicamente, rappresentano il cammino della Chiesa nella storia. In questa prospettiva diviene chiaro che il rito liturgico non celebra appena un evento passato, quanto quell’unico evento, la morte e risurrezione di Cristo, di colui che è vivo e presente nella storia. Ciò è lo specifico del rito Cristiano in una prospettiva di fenomenologia delle religioni: noi celebriamo il Vivente, il Dio che si è fatto carne, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che per noi è morto e il Padre ha resuscitato ed è e sarà sempre con noi (Mt 28,20). Il libro dell’Apocalisse oltre a ricordare che la liturgia celebra la vita, aiuta a cogliere anche il significato del sacerdozio. “Fosti immolato e acquistasti per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, ne facesti per il nostro Dio un regno di sacerdoti.” (Ap 5,9b-10). Chi partecipa alla liturgia è, dunque, un regno di sacerdoti. Lo stesso Agnello immolato è il sacerdote che, nella liturgia celeste, non ha offerto un animale come prescriveva la legge mosaica, ma se stesso, la propria vita. E’ questo il sacrificio che, dopo quello salvifico di Gesù, deve essere offerto. San Paolo, all'inizio della parte parenetica della lettera ai romani, invitava i suoi amici ad “offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come vostro culto spirituale” (Rom 12,1). Gesù è entrato nel mondo ed ha fatto della propria vita una liturgia, nella quale ha offerto se stesso al Padre, trasformando la propria vita in amore, in perfetta obbedienza (cfr. Eb 4,14-16). E’ a questo sacerdozio che i battezzati, coloro che sono stati resi veramente Figli di Dio dall’amore del Padre (1Gv 1,3), sono chiamati a partecipare, E’ donando la vita, trasformando la vita in amore, in obbedienza alla Parola che dall'eternità chiama l’umanità ad una vita santa e immacolata (Ef 1,4), che l’uomo vive il proprio sacerdozio. 

Nella prospettiva aperta dal libro dell’Apocalisse, la liturgia non si presenta come una realtà separata dalla vita. Al contrario, è la vita quotidiana trasformata dall'amore del Padre che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito del Signore (Rom 4) che viene celebrata. E’ di questa liturgia che celebra la vita che il mondo post-moderno ha bisogno. Di fatto, se la fine delle grandi narrazioni(6) ha provocato sfiducia nelle possibilità umane di dare un senso all'esistenza, una liturgia di persone che celebrano la vita, la vittoria di Cristo sulla morte e la possibilità di una vita quotidiana plasmata dall'amore del Padre, non può che destare interesse assieme al desiderio di percorrere questo cammino.



Nessun commento:

Posta un commento