RIFLESSIONI SUL LIBRO DELL’APOCALISSE
PAOLO CUGINI
L’ascolto della parola
Il libro
dell’Apocalisse si apre con la parola “Rivelazione”. In questo nuovo
millennio che si apre sarebbe importante riscoprire la Parola di Dio come un
dono, una Rivelazione. Essendo la Parola una rivelazione ciò significa due
cose: la prima è che Dio desidera dire qualcosa all'uomo; la seconda è che l’uomo, per scoprire il contenuto che Dio intende rivelargli, deve stare
attento, aprire l’orecchio. C’è un versetto significativo che, nel primo
capitolo dell’Apocalisse, mostra il rapporto tra Dio che parla e l’uomo che
ascolta: ”Rapito in Spirito nel giorno del Signore, udii dietro a me una voce
possente, come di tromba” (Ap 1,10). La Parola di Dio è come una voce possente
che sta dietro all'umanità e deve essere ricevuta come un dono. La Parola
precede l’uomo: c’è una storia, secoli di avvenimenti, tradizioni. La Parola
non è invenzione dell’uomo, per questo l’atteggiamento che la Parola intende
suscitare è quello dell’ascolto attento affinché il contenuto rivelato dalla
Parola possa scendere fino al cuore. ”Mi voltai per vedere chi mi parlava” (Ap
1,12). Per fare in modo che la Parola scenda in profondità è
necessario voltarsi indietro, entrare nella storia di colui che Parla,
conoscere le tradizioni passate. Cercare il volto del Signore nella Parola
vuole dire accettare la fatica quotidiana di conoscere la provenienza di questo
volto, la sua origine, il suo passato. Il tempo è un dato antropologico
dell’universo personale: non si può pretendere di conoscere qualcuno se non si
fa lo sforzo di conoscerne la storia. Ciò vale anche per la Parola di Dio. Ce
lo ricorda l’autore della lettera agli Ebrei: ”Dio che nel tempo antico molte
volte e in diversi modi aveva parlato ai padri nei profeti, in questa fine dei
tempi ha parlato a noi nel Figlio” (Eb 1,1-2a).
La Parola si è
comunicata all’uomo entrando nella sua storia, influenzando le sue scelte, le
sue leggi. C’è stato un lento cammino di entrata nel tempo fino all’evento
cruciale che è stata l’incarnazione che ha fatto della Parola una Persona: Gesù
Cristo. Il gesto, allora, di Giovanni che si volta per vedere colui che gli
rivolgeva la Parola, è il gesto che la Chiesa compie ogni qual volta si mette
in ascolto del “Testimone fedele, il primo nato fra i morti, il principe dei re
della terra “ (Ap1,5).Compiendo lo sforzo di voltarsi indietro per
conoscere l’Agnello, la Chiesa può presentare all’umanità una verità autentica.
Di fatto, in questo mondo così detto post-moderno, caratterizzato dalla
frammentazione dei saperi, dalle “verità deboli “, dalla crisi di punti di
riferimento chiari e distinti, la presa di coscienza di una Parola vera,
rivelata, che precede l’uomo è un dato di grande consolazione. Ci chiediamo
allora: quando la chiesa è in grado di presentare all’umanità post-moderna la
Verità di Gesù? Ogni volta che riesce a trasformare la Parola in storia, ogni
volta che “segue l’Agnello ovunque vada” (Ap 14,4), ogni volta che
le azioni che compie sono risposta alla “voce possente” del “Testimone fedele”,
la Chiesa sta manifestando ciò che il mondo non conosce: “ Il Signore Dio,
Colui che è, che era, che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8)
Celebrare la vita
L’ascolto
della Parola di Dio, conduce l’uomo nella storia d’amore che il Padre sta
preparando sin dall’inizio della creazione. L’uomo, coinvolto in questa storia
d’amore, non può che lodare Dio. La Parola di Dio apre il cammino alla
celebrazione liturgica e, senza una vita immersa nella Parola, diviene
difficile cogliere la pienezza della liturgia. Lo diceva il papa Giovanni Paolo
II in occasione del 40° anniversario della Sacrosanctum Concilium:
“La liturgia da una parte suppone l’annuncio del Vangelo, dall’altra esige la
testimonianza cristiana nella storia”.
In questa prospettiva il libro
dell’Apocalisse, che abbiamo preso come punto di riferimento, aiuta a cogliere
il significato profondo della liturgia. I capitoli 4 e 5 descrivono in modo
suggestivo e spettacolare la liturgia celeste, come centro e meta di tutta la
storia dell’umanità: Dio è seduto sul trono e l’Agnello immolato in piedi. Qui
viene celebrata la vittoria di Dio sul mondo dell’egoismo, vittoria manifestata
nella morte e resurrezione del Figlio, l’Agnello immolato. A questa liturgia
partecipa tutta la storia della salvezza assieme a coloro che hanno
testimoniato con la propria vita l’amore a Gesù Cristo. E’ questo che fa
riflettere: nella liturgia celeste è celebrata la vita! Viene dato gloria a
Dio, infatti, per la vita che il Figlio ha saputo realizzare nell’amore a
coloro che celebrano questa liturgia sono coloro che hanno vissuto sulla
propria pelle questo amore. Troviamo così tutti gli elementi di una qualsiasi
liturgia come inni, canti, genuflessioni, adorazione, silenzio, in un contesto
vivo, in cui non c’è nulla di formale o di obsoleto.
“Ero morto, ma ora sono
vivo” (Ap 1,18). E’ ciò che l’Agnello dice di sé a Giovanni nella
visione di apertura dell’Apocalisse. Se è il vivente, vuole dire che accompagna
la vita e il cammino della Chiesa. Di fatto nei capitoli 2 e 3 leggiamo che
cosa il Vivente ha da dire alle 7 chiese dell’Asia che, simbolicamente,
rappresentano il cammino della Chiesa nella storia. In questa prospettiva
diviene chiaro che il rito liturgico non celebra appena un evento passato,
quanto quell’unico evento, la morte e risurrezione di Cristo, di colui che è
vivo e presente nella storia. Ciò è lo specifico del rito Cristiano in una
prospettiva di fenomenologia delle religioni: noi celebriamo il Vivente, il Dio
che si è fatto carne, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che per noi è
morto e il Padre ha resuscitato ed è e sarà sempre con noi (Mt 28,20).
Il libro dell’Apocalisse oltre a ricordare che la liturgia celebra la vita,
aiuta a cogliere anche il significato del sacerdozio. “Fosti immolato e
acquistasti per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e
nazione, ne facesti per il nostro Dio un regno di sacerdoti.” (Ap 5,9b-10).
Chi partecipa alla liturgia è, dunque, un regno di sacerdoti. Lo stesso Agnello
immolato è il sacerdote che, nella liturgia celeste, non ha offerto un animale
come prescriveva la legge mosaica, ma se stesso, la propria vita. E’ questo il
sacrificio che, dopo quello salvifico di Gesù, deve essere offerto. San Paolo, all'inizio della parte parenetica della lettera ai romani, invitava i suoi
amici ad “offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a
Dio, come vostro culto spirituale” (Rom 12,1). Gesù è entrato nel
mondo ed ha fatto della propria vita una liturgia, nella quale ha offerto se
stesso al Padre, trasformando la propria vita in amore, in perfetta obbedienza
(cfr. Eb 4,14-16). E’ a questo sacerdozio che i battezzati, coloro
che sono stati resi veramente Figli di Dio dall’amore del Padre (1Gv 1,3),
sono chiamati a partecipare, E’ donando la vita, trasformando la vita in amore,
in obbedienza alla Parola che dall'eternità chiama l’umanità ad una vita santa
e immacolata (Ef 1,4), che l’uomo vive il proprio sacerdozio.
Nella
prospettiva aperta dal libro dell’Apocalisse, la liturgia non si presenta come
una realtà separata dalla vita. Al contrario, è la vita quotidiana trasformata dall'amore del Padre che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
del Signore (Rom 4) che viene celebrata. E’ di questa liturgia che celebra la
vita che il mondo post-moderno ha bisogno. Di fatto, se la fine delle grandi
narrazioni(6) ha provocato sfiducia nelle possibilità umane di dare
un senso all'esistenza, una liturgia di persone che celebrano la vita, la
vittoria di Cristo sulla morte e la possibilità di una vita quotidiana plasmata dall'amore del Padre, non può che destare interesse assieme al desiderio di
percorrere questo cammino.
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