Paolo
Cugini
Non lo sapevo e
non me lo potevo immaginare. Quando si è giovani si pensa di sapere tutto,
perché ci si fida dell’istinto che, a quell'età è ancora buono. Ci sono cose,
però, che nella gioventù è impossibile sapere, perché fanno parte di quelle
conoscenze che si accumulano con il tempo, che apprendiamo con il passare del
tempo. Quello, allora, che non sapevo a vent'anni e che non potevo immaginare
anche perché si sa che la giovinezza è piena d’ideali, di speranze, è che nella
vita adulta la materia tende a ingoiare lo spirito, e cioè la pressione della
materia sul vissuto quotidiano è molto forte e spesso soccombiamo. Diveniamo
così presi dalle preoccupazioni materiali che il quotidiano ci fornisce, che
spesso e volentieri ci dimentichiamo di noi stessi, ci dimentichiamo che
abbiamo un’anima e, soprattutto, non ci ricordiamo più da dove veniamo, chi
eravamo, quali erano i nostri sogni, su che cosa puntavamo quando eravamo
giovani. Basterebbe fermarsi un attimo dal fornaio e, in modo distaccato,
ascoltare di che cosa parlano gli adulti. La cosa peggiore che ci può capitare
è arrivare ad un punto in cui identifichiamo la materia con la realtà, e cioè
pensiamo che la realtà sia esattamente ciò di cui viviamo, ciò di cui perdiamo
tempo, ciò che ci sta identificando. Quando la realtà è tutta materiale, quando
il processo d’identificazione della realtà ha come unico e inesorabile
orizzonte la materia, allora ragazzo mio possiamo dire che è proprio finita,
possiamo tranquillamente dire che la vita è morta, che non c’è orami più spazio
per nulla. Quando abbiamo l’anima piena di materia e non riusciamo più a
pensare ad altro, la nostra vita diviene spazio aperto per le emozioni e
corriamo il serio rischio di passare da una passione all'altra, rischio di
diventare lo zimbello delle nostre emozioni.
Nei vangeli che
narrano la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor ci sono degli elementi sui
quali vale la pena riflettere. In primo luogo il fatto che Gesù sale sul monte.
Per recuperare uno sguardo spirituale della vita, quello sguardo che ci toglie
dalla massificazione del quotidiano è necessario fare fatica. É il sacrificio
di colui che si distacca dall'abitudine di non pensare a nulla all'esigenza
percepita dal vuoto interiore, di dare una sapore, un significato ad un
quotidiano divenuto veramente opaco, dell’opacità della materia. Staccarsi
dalla materialità della vita per cercare qualcosa di spirituale è un’operazione
esistenziale molto difficile e dura. Si tratta di fare una fatica che diviene
tanto più dura quanto più è stato il tempo nel quale si è abbandonato qualsiasi
tipo di ricerca spirituale nella propria esistenza. Salire il monte per fare
cosa? Per cogliere la realtà, per scoprire che il significato profondo della realtà
non è la materia, ma lo spirito e che è quest’ultimo a fondare il primo. La
realtà è, allora, simblolizzata dalla veste bianca, la veste trasfigurata di
Gesù. Questa veste bianca, indica, infatti, la realtà delle cose così come la
vede e le ha pensate Dio. Salire sul monte, allora, per lasciarsi guardare da
Dio, per lasciarci guardare dentro.Bisogna prepararsi a questo sguardo. Non
possiamo pensare di resistere a questo sguardo se ci arriviamo così, in modo
superficiale. Ci dev'essere un certo percorso di svuotamento da quella materia
che ci ha resi opachi. Lo sguardo di Dio dentro di noi ci mostra il suo sogno
per noi, come ci aveva pensati. Non possiamo, allora pensare di resistere a
questo sguardo d’amore disinteressato, se siamo pieni di emozioni interessate,
se siamo immersi nella materialità delle cose. La veste bianca rappresenta lo
sguardo di Dio sul mondo degli uomini e delle donne, uno sguardo che smaschera,
che distrugge le ipocrisie costruite in anni di vita materiale. Il cammino
verso la cima del monte è dunque un processo di lento smascheramento, che pone
a nudo quello che veramente siamo, che smantella le nostre sicurezze. È
difficile incontrare un adulto che accetta un tale percorso, soprattutto se non
ha nella memoria niente di simile, e cioè se nella gioventù non ha mai avuto
esperienze spirituali significative.
La veste bianca, poi, non simbolizza solamente
il punto di vista di Dio sulla realtà, quel punto di vista che Gesù ha portato
in mezzo a noi incarnandosi, venendo ad abitare in mezzo a noi, ma rappresenta
anche il senso del nostro cammino. Che cosa fa, infatti lo Spirito che
riceviamo se non un lento e instancabile lavoro di trasformazione, di
trasfigurazione per formare nella nostra umanità le stesse caratteristiche
dell’umanità di Gesù (cfr. 2 Cor 3,18)? Il cammino della vita quotidiana, in
questa prospettiva, consiste nel permettere lo Spirito di trasformare la
realtà, di renderla bianca, giusta, misericordiosa, pacifica. Sono le nostre
relazioni quotidiane che rendono possibile questo processo di trasfigurazione
del mondo. É proprio questo che ha fatto Gesù: ha trasformato l’opacità del
mondo, immettendo in esso un principio vitale, il principio dell’amore, fatto di
attenzioni, di tempi nuovi, di sguardi, di perdono, di gesti di misericordia.
Se tutto ciò ha
un senso significa che la vita spirituale ci aiuta ad avere il senso della realtà,
a cogliere la realtà per quella che è, al di là delle apparenze che la materia
pone dinnanzi ai nostri occhi. Conoscere la realtà è importante perché ci
permette di indirizzare la nostra vita su ciò che è vero, autentico e che
riempe l’esistenza. Il problema è capire se ad un certo punto della vita c’interessa
questo sguardo, questa realtà, questa veste bianca. Anche perché la
materializzazione del vissuto quotidiano avvolge tutto, anche la religione. Che
cosa sono, infatti, quelle celebrazioni scialbe, quei riti asfittici che
vediamo nelle chiese e che allontanano le nuove generazioni dalla fede, se non la proiezione della nostra opacità materiale?
Che cosa ci
resta, allora? Che cosa possiamo fare? “Ascoltatelo”. La rivelazione del monte
Tabor offre questa semplice indicazione: ascoltate Lui. Sembra troppo semplice
per essere vero. Siamo così abituati alla ricercatezza sottile per nascondere
il nostro vuoto, che ci sembra impossibile credere che la possibilità di una
vita piena dipenda semplicemente da questo banale comando. Abbiamo riempito così
tanto il sacro di materia, di devozioni individualiste, di messaggi
extraterrestri, di miracoli portentosi e di esorcismi spaventosi, che ci sembra
davvero inverosimile che la chiave di svolta della nostra vita non sia nel miracolistico,
negli eventi e nei messaggi mirabolanti, ma in un semplice ascolto della Parola
evangelica. Eppure l’ha detto Lui: proviamo a crederci.
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