Paolo
Cugini
Guardare
il cammino della chiesa italiana da quell'angolo di mondo che ha visto il
fermento delle Comunità Ecclesiali di Base (Cebs) può senza dubbio aiutare a
cogliere sfumature che difficilmente si percepiscono quando si osserva un
fenomeno troppo da vicino e, soprattutto, da un unico punto di vista. Del
resto, una delle tante caratteristiche dello Spirito Santo che inventa e guida
la Chiesa affinché divenga sempre segno visibile della presenza del Signore
risorto, è quella dell’imprevedibilità, della creatività. Ciò significa che non
solo non bisogna fissarsi troppo sui modelli ecclesiali sorti storicamente, ma
anche e soprattutto, che bisogna essere attenti ai segni dei tempi e ai
cambiamenti che questi segni esigono. La libertà dei figli di Dio, che lo
Spirito Santo suscita, dovrebbe poter manifestarsi nella capacità di staccarci
dalle forme religiose storiche, per essere pronti ad abbracciare quello che lo
Spirito Santo suscita nella chiesa. Se c'è qualcosa che è chiaro e sorprendente
leggendo i racconti delle prime comunità cristiane, è quello di essere sempre
all'avanguardia nei tempi, anzi spesso e volentieri di essere qualche metro più
avanti. Quelli allora che ci appaiono come problemi insormontabili, che non ci
fanno dormire alla notte, alla luce della presenza misteriosa dello Spirito
Santo, che soffia dove vuole e come vuole, dovrebbero sempre di più apparire
come possibilità nuove, come cammini nuovi che il Signore ci sta presentando ai
nostri occhi.
Se
le caratteristiche delle comunità di base latinoamericane sono la
partecipazione attiva dei laici e la centralità della Parola di Dio, quelle
delle parrocchie italiane sono il sacerdote e l’Eucarestia. La parrocchia
italiana nasce con la presenza del sacerdote residente. Su questo rapporto
stretto tra parroco e parrocchia nasce e si sviluppa anche una specifica
spiritualità, che vede nella comunità parrocchiale la sposa del parroco. Per
questo, una volta entrato in parrocchia il parroco non si spostava più: era
inamovibile. Non può, infatti, lo sposo abbandonare la sposa e per questo le
rimane fedele fino alla morte. Questa identificazione stretta tra parroco e
comunità parrocchiale è ben visibile anche nelle sagrestie parrocchiali nelle
quali spesso viene riportato la lista di parroci che l’hanno servita. Se la
comunità esiste quando c’è un parroco, è chiaro che non si è mai fatto nulla
per mettere in grado i laici di guidare una comunità, di celebrare la Parola.
Forse sarebbe meglio dire che non solo non si è fatto nulla, ma non è mai
venuto in mente. Del resto, l’abbondanza impressionante di sacerdoti durante i
secoli, non ha fatto mai sospettare la possibilità di un cambiamento tanto
radicale come quello avvenuto negli ultimi decenni. Se la parrocchia è sempre
stata pensata a partire dal parroco, è veramente molto difficile cambiare
l’impostazione, anche perché nei secoli i fedeli si sono abituati a pensare la
comunità in funzione di figure stabili, che risiedevano nella comunità per
decenni e, spesso e volentieri, risolvendo tutte le problematiche legate alla
vita di comunità. Che bisogno c’era, infatti, d’interessarsi della catechesi o
della liturgia se in una parrocchia di 300 abitanti c’era il parroco residente?
Nel tempo, la spiritualità della gente di una comunità ha sempre dipeso dalla
spiritualità del parroco.
Le
unità pastorali nascono esattamente in questa prospettiva, tentando, cioè, di
rispondere a questo problema: in che modo le parrocchie possono essere servite
dal sacerdote nell'epoca della crisi di vocazioni? Se la parrocchia dipende
dalla presenza del sacerdote è chiaro che la comunità non esiste senza questa
presenza. Nelle comunità di base latinoamericane il centro non è il parroco, ma
il popolo di Dio, anche perché la comunità non s’identifica con una persona, ma
con l’assemblea riunita attorno alla Parola. E' per questo motivo che il grande
lavoro svolto nel cammino di Chiesa latinoamericano è avvenuto sulla formazione
dei laici, per metterli in grado di celebrare la Parola, di svolgere le
funzioni religiose della comunità, compresi i funerali e i matrimoni.
Chiaramente, non si tratta di contrapporre dei modelli ecclesiologici, o di
dire qual’è il migliore. Si stratta solo di guardare un problema da un altro
punto di vista e provare ad ascoltare l’effetto che fa. Senza dubbio, guardare
il problema pastorale, così come si sta configurando nella realtà italiana,
dalla prospettiva latinoamericana fa un certo effetto. Infatti, dove in
Italia si pone l’accento sulla crisi (di vocazioni) e dove tutte le
problematiche pastorali sono viste in funzione o alla luce della suddetta,
guardando questa crisi di vocazioni con il cannocchiale latinoamericano sembra
si tratti, in realtà, di un’abbondanza.
La
storia delle parrocchie italiane è antichissima. Ci sono parrocchie anche
piccole che risalgono al secolo 12º o anche prima. Si percepisce molta
sofferenza da parte delle persone di una piccola parrocchia che in poco tempo e
quasi per decisione d’ufficio, viene accorpata ad altre, perdendo la sua
identità e, per certi aspetti la sua storia. Bisognerebbe avere la pazienza di
accompagnare le comunità parrocchiali verso il nuovo modello di comunità che si
vuole mettere in atto. Non si può spazzare via una tradizione secolare
solamente per rispondere a quelle che vengono percepite come esigenze
impellenti. Guardare il problema da un altro punto di vista, può aiutare a
percepire il fenomeno in questione, non tanto come un problema, ma come un
segno dei tempi, che ha bisogno di essere letto e interpretato. Si tratterebbe,
allora, non semplicemente di creare queste strutture ecclesiali impersonali,
chiamate unità pastorali – impersonali perché non hanno un’identità ecclesiale
specifica, non hanno storia: sembrano proprio nate a tavolino – per rispondere
sempre al solito problema della presenza del sacerdote nelle parrocchie in
questo nuovo contesto pastorale. Alla luce dell’esperienza latinoamericana si
potrebbe leggere la situazione come un’occasione – un segno dei tempi? – che il
Signore sta presentando alla sua chiesa per investire maggiormente sulla
formazione dei laici. Questo non significa che sino ad ora non si è fatto nulla
in questa prospettiva. Anzi, molto si è fatto anche in Italia, soprattutto dopo
le indicazioni del Concilio Vaticano II. L’impressione, però, è che l’alto
livello della formazione offerta, non corrisponda poi al coinvolgimento dei
laici nelle comunità. Meno presenza dei sacerdoti nelle singole comunità, potrebbe
significare la possibilità una presenza più qualificata, più ministeriale dei
laici nelle suddette. Perché allora, laici debitamente preparati, non
potrebbero celebrare la Liturgia della Parola domenicale, con la distribuzione
dell’Eucarestia per opera dei ministri straordinari? E perché non potrebbero
celebrare i funerali o organizzare in modo diverso e più comunitario le
benedizioni alle famiglie? L’attuazione ministeriale effettiva nelle comunità
parrocchiali, renderebbe più significativo il cammino di formazione proposto ai
laici. Oltre a ciò, diverrebbe anche più visibile e, allo stesso tempo
necessaria, una corresponsabilità sempre maggiore dei laici nella vita della
comunità.
Mettersi
dal punto di vista dell’altro aiuta a vedere meglio il proprio punto di vista.
Non si tratta di copiare modelli pastorali per trasportarli da un posto
all'altro, ma semplicemente di guardare assieme lo stesso fenomeno con occhiali
diversi e cogliere così sfumature diverse. Il tanto agognato scambio di chiese,
può divenire efficace quando apprendiamo a fidarci, a confrontarci serenamente,
ad uscire dall’auto-referenzialità. Probabilmente, solo così potremmo scoprire
che, quello che da un punto di vista appare come un problema che ci toglie il sonno,
dall'altro sembra essere un’ottima occasione per crescere.
L'altro punto di vista che si dovrebbe assumere non è tanto quello dei cristiani latinoamericani ma piuttosto quello dei cristiani laici delle nostre parrocchie. Come vedono e leggono la situazione? Anche io ritengo necessario cambiare il punto di vista o "gli occhiali" per leggere i segni dei tempi, infatti, nonostante continuiamo a parlare di comunità cristiane, le decisioni pastorali sono sempre prese soltanto da una piccolissima parte di esse... quella del clero.
RispondiEliminaesattamente. Sarebbe bello e decisamente più evangelico, fare intervenire anche i laici nelle scelte che vengono fatte per le unità pastorali
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