NUOVI ORIZZONTI PASTORALI
Paolo Cugini
Se è vero che
il nuovo cammino pastorale intrapreso e cioè quello delle unità pastorali, deve
sempre di più porre al centro il ruolo della comunità, è altrettanto vero che
la comunità cristiana deve imparare ad aprirsi al mondo. Se c’è, infatti, una
critica che spesso ascoltiamo nelle nostre comunità parrocchiali è di essere
dei piccoli mondi chiusi su se stessi. A volte si tratta di critica gratuita,
altre volte c’è del vero. Ci si abitua a stare sempre con le stesse persone,
che si fa fatica ad aprirsi al nuovo. E’ questa la percezione che spesso hanno
le persone arrivate sul territorio che tentano d’inserirsi nella comunità
parrocchiale di riferimento: fanno fatica ad entrare. E’ la sindrome del
campanile, se così vogliamo chiamarla, che si manifesta nel tipo di relazione
chiuse tra i membri della comunità che, oltre ad assumere tutti i ruoli della
parrocchia, non permettono ad altri di entrare.
La nuova
impostazione ecclesiale delle Unità Pastorali – cercando di coglierne
soprattutto gli aspetti positivi – dovrebbe aiutare a guarire da questa
sindrome, o perlomeno dovrebbe aiutare le comunità ad un duplice cammino di
apertura. Il primo cammino è all’interno delle comunità stesse per renderle
luoghi aperti alle contaminazioni positive delle altre comunità dell’Unità
Pastorale. Dovendo lavorare assieme nelle diversi coordinamenti della
catechesi, delle pastorali giovanili, famigliare e altro, si dovrebbe
apprendere ad uscire non solo dalla piccola cerchia dei pochi intimi, ma anche
apprendere nuove modalità e contenuti. E’ questo a mio avviso, il primo e già
visibile passo che le comunità stanno facendo per andarsi incontro, conoscersi,
lavorare insieme. E’ il cammino indicato da san Paolo nella prima lettera ai
Corinzi: unità nella diversità.
Il secondo
cammino che le comunità sono chiamate a compiere è verso l’esterno. Le positive
sinergie che il lavoro nelle Unità Pastorali sta producendo, soprattutto nello
sforzo di dover lavorare assieme nei diversi settori della pastorale ordinaria,
dovrebbe lentamente scardinare le tradizionali chiusure per aprirsi
all’esterno. Verso quale mondo dovrebbero aprirsi le comunità cristiane? Verso
i tanti mondi dell’immigrazione, inventando forme di accoglienza dal volto
umano, superando in questo modo le secche asfittiche della burocrazia ordinaria.
Qui a Reggio c’è anche il mondo della corruzione e della mafia che attende una
risposta con la formazione di comunità che resistano alla tentazione dei soldi facili,
che sappiano opporre alla logica del profitto cammini di comunione. Una
comunità aperta sul mondo significa anche comunità in grado di lasciarsi
contaminare positivamente dagli imput che riceve, come ad esempio le relazioni
che si possono costruire con la comunità islamica presente sul territorio.
Tante sfide
ci attendono: sta a noi saperle cogliere.