venerdì 10 giugno 2016

DALLA COMUNITÀ AL MONDO



NUOVI ORIZZONTI PASTORALI

Paolo Cugini

Se è vero che il nuovo cammino pastorale intrapreso e cioè quello delle unità pastorali, deve sempre di più porre al centro il ruolo della comunità, è altrettanto vero che la comunità cristiana deve imparare ad aprirsi al mondo. Se c’è, infatti, una critica che spesso ascoltiamo nelle nostre comunità parrocchiali è di essere dei piccoli mondi chiusi su se stessi. A volte si tratta di critica gratuita, altre volte c’è del vero. Ci si abitua a stare sempre con le stesse persone, che si fa fatica ad aprirsi al nuovo. E’ questa la percezione che spesso hanno le persone arrivate sul territorio che tentano d’inserirsi nella comunità parrocchiale di riferimento: fanno fatica ad entrare. E’ la sindrome del campanile, se così vogliamo chiamarla, che si manifesta nel tipo di relazione chiuse tra i membri della comunità che, oltre ad assumere tutti i ruoli della parrocchia, non permettono ad altri di entrare.

La nuova impostazione ecclesiale delle Unità Pastorali – cercando di coglierne soprattutto gli aspetti positivi – dovrebbe aiutare a guarire da questa sindrome, o perlomeno dovrebbe aiutare le comunità ad un duplice cammino di apertura. Il primo cammino è all’interno delle comunità stesse per renderle luoghi aperti alle contaminazioni positive delle altre comunità dell’Unità Pastorale. Dovendo lavorare assieme nelle diversi coordinamenti della catechesi, delle pastorali giovanili, famigliare e altro, si dovrebbe apprendere ad uscire non solo dalla piccola cerchia dei pochi intimi, ma anche apprendere nuove modalità e contenuti. E’ questo a mio avviso, il primo e già visibile passo che le comunità stanno facendo per andarsi incontro, conoscersi, lavorare insieme. E’ il cammino indicato da san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: unità nella diversità.
Il secondo cammino che le comunità sono chiamate a compiere è verso l’esterno. Le positive sinergie che il lavoro nelle Unità Pastorali sta producendo, soprattutto nello sforzo di dover lavorare assieme nei diversi settori della pastorale ordinaria, dovrebbe lentamente scardinare le tradizionali chiusure per aprirsi all’esterno. Verso quale mondo dovrebbero aprirsi le comunità cristiane? Verso i tanti mondi dell’immigrazione, inventando forme di accoglienza dal volto umano, superando in questo modo le secche asfittiche della burocrazia ordinaria. Qui a Reggio c’è anche il mondo della corruzione e della mafia che attende una risposta con la formazione di comunità che resistano alla tentazione dei soldi facili, che sappiano opporre alla logica del profitto cammini di comunione. Una comunità aperta sul mondo significa anche comunità in grado di lasciarsi contaminare positivamente dagli imput che riceve, come ad esempio le relazioni che si possono costruire con la comunità islamica presente sul territorio.
Tante sfide ci attendono: sta a noi saperle cogliere.