FRATERNITÁ
DI BOSE
13
AGOSTO 2019
Relatore:
Goffredo Boselli
Sintesi:
Paolo Cugini
Dobbiamo
apprendere ad accompagnare le trasformazioni della ricerca della vita interiore
anche attraverso le nostre liturgie.
Valerie
Le Chevalier, Credenti non praticanti, Qiqaion, Bose 2019: non c’è un
modo solo di seguire Gesù. Nei Vangeli ci sono modalità diverse di seguire
Gesù.
Il
rapporto tra liturgia e ricerca spirituale contemporaneo è un tema sottovalutato
in Italia. Cosa vuole dire celebrare da cristiani in una società secolarizzata?
È diverso da come si celebrava anteriormente. Si constata una scarsa percezione
dello scarto tra liturgia e vita. Il credere in Dio non è scomparso, ma sono
mutate le forme del credere. L’evidenza è che la secolarizzazione da anni ha segnato
la fine del cattolicesimo per inerzia.
La terra
di mezzo del credere è l’immagine formulata da Alessandro
Castagnaro. La maggior parte delle persone sembra abitare questo territorio
intermedio. L’esistenza di questa terra di mezzo invita a ripensare le
categorie di credente e non credente, praticante e non praticante. Credere non
è più associato all’idea di certezza. Credere oggi significa piuttosto: “credere
di credere” (è il titolo di un libro del filosofo Gianni Vattimo). È una
situazione di stallo piuttosto che di incredulità.
Multiformi
profili del credere non significano mancanza di fede, ma
nemmeno sono riconducibili alla poca fede, ma si approssimano a quello che
Paolo dice alla lettera ai Romani: debolezza del credere, il vacillare del
credere. Quello maggioritario non è il territorio dell’indifferenza, del
disinteresse, o della poca fede, quanto piuttosto di chi vorrebbe credere,
di chi si trova all’interno di una dinamica del credere. Chi si trova in questo
territorio di mezzo non è disposto ad affermare di non credere. Quello che oggi
può scioccare è che il cristianesimo che ci attende è quello di dover accettare
che ci sono adulti che non hanno definito appieno la loro identità religiosa.
La
domanda da porsi nella riflessione liturgica è: come la liturgia della
Chiesa può rispondere alla sfida che questa ricerca spirituale? Le
nostre liturgie sono attente a queste domande di senso, oppure continuiamo a
celebrare e andare avanti come se il mondo non fosse cambiato?
Quattro possibili
metafore:
a.
La liturgia approdo. La
ricerca diventa la forma fondamentale della vita spirituale oggi. C’è la figura
del credente viandante, pellegrino, nomade. (Il pellegrino è un
convertito, ne parla in un libro una sociologa francese). Il credente nomade è
il credente disincantato, per il quale i sistemi di credenza tradizionali non
sono convincenti e allora compie una sua ricerca. Il credente viandante vive
una tensione interiore. Da un lato sente di dover sperimentare nuovi percorsi,
personalizzando valori e pratiche, rifondandoli sulla base delle proprie
conoscenze ed esperienze. Il loro mondo spirituale è il loro unico tempio. Tuttavia
questo credente nomade si trova abitato dal desiderio di trovare riposo in una
credenza stabile. Il pellegrinaggio ha senso un punto di arrivo. La liturgia in
questa prospettiva è come un porto nel quale attracca il pellegrino. Tempi
forti, feste religiose, esperienze di lutto, esigenze per i figli: sono tutto
occasioni per una liturgia come porto. L’attracco episodico non è subito
riconducibile ad una religione di socializzazione. Risponde ad una sorta di nostalgia
dell’origine. È nostalgia della casa dalla quale si è usciti, senza
abbandonarla. La liturgia approdo risponde al bisogno di una ritualità
conosciuta, fatta di luoghi, di simboli, di formule, di preghiere
interiorizzate condivise con altre. I luoghi sono importanti. Una liturgia
conosciuta alla quale poter tornare: si sa che è là e a quell’ora c’è quella
liturgia. Il nomade non chiede nulla di particolare alla liturgia, se non
di esserci, di essere fatta. Per questo è necessario che la liturgia
delle nostre comunità non crei barriere e ostacoli, con modi di guardare. La
liturgia non deve allontanare nessuno. Per questo è decisivo il clima, l’ambiente
umano di una celebrazione. Una liturgia diventa approdo se rinuncia ad essere
solo per i puri, gli eletti, capace di empatia con i cercatori di Dio. La liturgia
approdo è simile all’esperienza vissuta da quelle tante figure evangeliche che
vengono a Gesù in modo anonimo e che vengono accolte. Persone di cui non si
conosce neppure il nome, ma che Gesù accoglie, crea empatia. Gesù riesce
ad interpretare il desiderio di vita delle persone che incontra.
Desiderio di essere visti, guardati dal Signore.
b.
Liturgia pozzo. Si
rende disponibile a quelle persone che vivono la difficile condizione di
abitare sul crinale. Sono persone nelle quali è in atto un cammino di
conversione. La liturgia ha qui la funzione di essere luogo per cui andare ad
ascoltare. Il pozzo attira a sé per quello che offre di vitale. Restano
insuperate le parole che un liturgista di origine maronita jean Corbon, Liturgia
alla sorgente, Quiqaion, Bose 2003: l’uomo ha sete e cerca la sua acqua là
dove pensa di trovarla. La storia della salvezza inizia sempre da un pozzo. La
liturgia pozzo è vissuta come riserva si senso. La liturgia pozzo può essere
identificata con la liturgia delle comunità monastiche, in cui la liturgia
quotidiana è all’interno di un cammino di persone. Ci vuole un cristianesimo
capace di attrazione: lo diceva papa Benedetto XVI. La liturgia pozzo ispira a
credere. La sete è metafora del desiderio che pretende di essere saziato. Se la
liturgia vorrà sopravvivere a se stessa dovrà cercare un linguaggio diverso. Le
parole della liturgia devono diventare parole di salvezza che fanno bene alla
vita. Salvezza incarnata che ha a che fare con la vita delle persone. Ci sono
chiese che puzzano di sacrestia. Le chiese dovrebbero avere l’aria fresca dello
Spirito. La liturgia deve aiutare a dare senso alla vita, deve dare ragioni per
continuare a credere. I cristiani sono coloro che credono alla vita. Nel
Vangelo di Giovanni il pozzo è il luogo in cui Gesù offre la massima
rivelazione di se stesso e del culto in Spirito e Verità.
c.
Liturgia soglia.
Rappresenta il sottile confine tra i territori. È il momento più delicato e
complesso. La liturgia ha il compito di levatrice. La ritualità liturgica
diventa generativa quando sa suscitare l’interessa di chi sta sulla soglia.
La liturgia come soglia riconosce che questo passaggio, ha bisogno di tempo e
riconosce che ci sono persone che lo stare sulla soglia è la loro condizione
permanente di fede. Credere sulla soglia non si sceglie, ma si riconosce. Né
dentro né fuori: sul confine. Credenti del nartece: lo spazio
intermedio, già dentro, ma non del tutto, spazio di soglia. Il nartece nel
tempio di Gerusalemme c’era il cortile dei gentili: spazio di accoglienza dei
non appratenti alla fede d’Israele. Ciò comporta da parte della Chiesa
una maggiore penetrazione del mistero del corpo di Cristo. Le forme di
appartenenza e di comunione sono generate dallo Spirito Santo. Per questo la
liturgia come soglia sa tenere insieme l’apparenza spirituale a Gesù in forme
molteplici all’appartenenza alla comunità dei credenti. Ci sono due figure nei
vangeli che dicono di questo: Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Nicodemo,
capo dei Giudei, va da Gesù di notte, ma non prenderà mai la decisione di
seguirlo. Giuseppe d’Arimatea era un membro del sinedrio. Era discepolo di Gesù,
ma di nascosto per timore dei Giudei. Persone sulla soglia. Giuseppe vive la
doppia appartenenza al Sinedrio e a Gesù.
d.
Liturgia
casa. È la
liturgia di chi si dichiara agli altri come credente, di chi si sente fedele ed
appartenente ad una comunità cristiana. È la liturgia di chi si riunisce
assiduamente per spezzare il pane. I cedenti discepoli vivono anch’essi nella
città secolare e sperimentano le stesse dinamiche e fatiche del credere oggi. Più
che una realtà già data, la liturgia casa è un compito che ci attende. La
problematica più decisiva che la liturgia dovrà affrontare: la liturgia è
intrinseca alla vita di fede. Si è soliti ribadire che uno dei principali
cardini del Concilio è la partecipazione attiva dei credenti alla liturgia.
È un punto di non ritorno. Accanto all’esigenza di una maggiore partecipazione
attiva occorre domandarci se oggi ci sono le condizioni per questa
partecipazione attiva. Appare da più parti sempre più necessario la
riformulazione dei linguaggi liturgici per far abitare i fedeli la liturgia che
celebrano.
Di fronte
al grande cambiamento c’è bisogno di laboratori di liturgia, che
sperimentino un modo più inculturato di vivere la liturgia, modi diversi di
dire la fede. C’è una responsabilità nella Chiesa di oggi di coinvolgere i
giovani in questo percorso di ricerca. La Chiesa è davvero convinta che
la sua liturgia è ancora una risorsa nel cammino di fede?
Le quattro metafore proposte sono molto belle ed efficaci nel descrivere la varietà delle situazioni spirituali. Del tutto incongrua con queste metafore è però la richiesta di riformulazione del linguaggio liturgico. Con ogni evidenza le metafore dell'approdo del viandante, del pozzo, della soglia (nartece, cortile dei gentili) e della casa sono immagini di stabilità e di custodia (conservazione). L'ansia di cambiare continuamente qualcosa nella liturgia è propria dei liturgisti, non certo del popolo di Dio.
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