venerdì 16 agosto 2019

CENA DEL SIGNORE E CARITA’






Relatore: Enzo Bianchi
Sintesi: Paolo Cugini


L’ospitalità va messa a fuoco in due direzioni: i poveri e i peccatori. Padre Pedro Arrupe: Se nel mondo esiste la povertà, la fame, allora la nostra celebrazione dell’eucarestia è incompleta. Nell’eucarestia riceviamo il Cristo che ha fame della fame del mondo.

Questa osservazione è molto importante per noi oggi. Su questo punto si gioca l’autenticità della Chiesa e della nostra fede. L’Assemblea dei credenti si è definita come assemblea incontro con il Signore, che ha la capacità di guardare ai fratelli e alle sorelle. Dt 26,1-5.10-11: professione di fede del credente ebreo.  Questo brano è la professione di fede dell’israelita entrato nella terra. Nel momento della presentazione dei doni al Signore, subito il comando è: tu ti rallegrerai con quelli che non hanno parte alla terra. Ti rallegrerai con il levita, lo straniero e il povero. Nell’atto di culto c’è subito l’esigenza di condivisione, di ospitalità. Incontro con Dio, confessione di fede e condivisione dei beni. Questo pensiero è in linea con il pensiero profetico: cfr. Amos, Isaia, Geremia, Michea. Il culto può rischiare di essere vuoto, l’assemblea può rischiare di non essere in alleanza con Dio.

All’interno della Chiesa c’è stato un cambio profondo riguardo al culto. Rapporto tra sacrificio, culto e assemblea liturgica. La Legge prescrive i sacrifici. Il sacrificio è presente in tutte le culture e i popoli. Il sacrificio esprime il desidero di entrare in contatto con la divinità espiando il peccato, offrendo qualcosa. Nell’epoca giudaica il sacrifico di espiazione era il più significativo. Il sacrificio esprime la riparazione del peccato per tornare alla comunione con Dio. All’interno delle religioni si offre la possibilità di tornare in comunione con Dio attraverso il sacrificio di un animale. Il meccanismo è quello di sostituire l’animale con l’uomo. I sacrifici sono fatti con lo sgozzamento dell’animale. La Bibbia testimonia questo tipo di sacrifici. Noè dopo il diluvio fa un grande sacrificio, ma anche Abramo e i patriarchi lo fanno. La Legge ha presente un’economia sacrificale. Tempio, sacerdoti e la vittima: sono i tre elementi del sacrificio.

I profeti, da un punto di vista storico sono più antichi della Torah. Ci sono due correnti all’interno del cammino d’Israele: una profetica e una sacerdotale. La corrente profetica è sempre stata critica con quella sacerdotale. La storia d’Israele è complessa. L’esperienza di Babilonia è stata molto profonda, perché non c’è più il tempio, i sacerdoti, i sacrifici. Paradossalmente, questo periodo dell’esilio ha rappresentato una purificazione della fede d’Israele. Qui hanno capito che la vita di fede non può essere esaurita dai sacrifici e dal tempio. La diaspora è stata una condizione assoluta e nuova. Troviamo che, a partire dell’esperienza della profanazione del tempio nel II sec a.C., ci si è chiesti: quegli ebrei credenti in Dio possono vivere senza i sacrifici, senza il tempio e senza i sacerdoti?

Lentamente affiora una nuova concezione del rapporto con Dio. Giuditta, Daniele esprimono questa novità. Da un lato, si comincia intravedere la possibilità di una liturgia senza tempio e sacerdoti. Nel Targum (trazione in aramaico al tempo di Gesù) si dice in Malachia: non mi compiaccio di voi, non accetto l’offerta dalle vostre mani. Malachia è prima del giudaismo e intravede un tempo in cui Dio non gradisce il sacrifico fatto a Gerusalemme. Il targum traduceva: e la vostra preghiera davanti a me sarà una offerta pura perché grande è il mio nome su tutte le genti. Ormai l’offerta pura è la preghiera, e non un’oblazione. Sempre di più echeggiano le parole dei profeti: ascoltare la parola di Dio vale più dei sacrifici; voglio misericordia e non sacrifici. Ormai si parla anche di sacrifico di lode. Sparisce il sacrifico con la vittima. Tutto questo è molto importante. Al tempo di Gesù (Tb 1) acquistano valore di sacrificio le opere di misericordia. Siracide: osservare la legge equivale ad un sacrificio di lode. Il sacrifico è la misericordia verso i fratelli. Ecco il mutamento. Nel giudaismo post-esilico il linguaggio cultuale cambia.


Così comprendiamo nel cristianesimo che il culto, quale mediazione di salvezza, viene squalificato a servizio dell’amore fraterno. Gesù non ha mai fatto sacrifici cultuali. Nella lettera agli Ebrei Gesù diventa sommo sacerdote di un sacerdozio esclusivo: Eb 7,24 è il sacerdozio secondo Melchisedek. Non è il sacerdozio di Aronne.
 Il sacerdozio di Gesù è un sacerdozio che non porta come sacrifici le vittime. Il sacerdote è sempre più separato dagli uomini nel sacerdozio ebraico. È il movimento contrario a quello cristiano operato da Gesù, che è diventato colui che si è fatto peccatore per essere in comunione con noi, non di separazione.

 Il movimento di Gesù che Paolo fa notare in Filippesi 2,7: Gesù si umiliò, prese la forma di uomo, di schiavo sino alla morte. La vita di Gesù è una continua discesa per raggiungere i peccatori. È la santità di Gesù che sana e non i sacrifici. “Tu non hai voluto né sacrifici né offerte”. Il sacerdozio di Cristo abolisce per sempre il culto sacrificale. Gesù nella sua stessa persona ha offerto un culto esistenziale e non rituale. Gesù ha abolito il sacerdozio di Aronne e tutta l’economia dei sacrifici, ha abolito l’economia del tempio. I Vangeli dicono che con la morte di Gesù il velo del tempio viene strappato dall’alto in basso, perché è Gesù il tempio di Dio. Ormai il culto dei cristiani è offrire le nostre vite in sacrificio (Rom 12,1).
All’interno della vita cristiana è l’esistenza personale che dev’essere offerta a Dio, compiendo la volontà del Padre, che è una volontà di amore e di giustizia. La volontà cristiana è sempre seconda rispetto al Vangelo. Siamo cristiani non perché viviamo la liturgia come rito, ma perché ci sforziamo di vivere il Vangelo. Nelle altre religioni basta compiere dei riti: nel cristianesimo no. La ritualità cristiana è seconda rispetto all’esistenza plasmata dal Vangelo. L’eucarestia non basta a sé stessa, la carità sì.


Dobbiamo domandarci se la nostra eucarestia si ferma al rito o ci spinge a vivere il Vangelo. Il sacramento dell’altare è il sacramento del fratello e della sorella (San Giovanni Crisostomo). La patologia dell’eucarestia è presente già all’inizio della Chiesa. 1 Cor 11: Paolo ha trasmesso alla Chiesa di Corinto ciò che ha ricevuto, dei gesti e delle parole. Spezzare il pane: è questo il gesto. Questo gesto spiega profeticamente il gesto della croce: una vita spezzata per amore. Paolo deve intervenire e dire: fratelli voglio che voi lo sappiate: quando vi radunate non mangiate più la cena del Signore. Cosa succedeva a Corinto? Questi cristiani non avevano una prassi di condivisione e lo spezzare il pane diventava un rito senza una ricaduta nella vita della comunità. Spezzare il pane è un’espressione biblica che si trova in Isaia che significa condividere il pane con i poveri, e non il semplice gesto. Frazione del pane dice proprio questo, un gesto che deve diventare una realtà nella comunità. A Corinto sedevano cristiani abbienti e poveri e, nella celebrazione della cena del Signore, un unico pane era spezzato, ma quella celebrazione aveva assunto una patologia, perché i cristiani non condividevano i beni. La cena del Signore era diventato un pasto individualista, egoista: uno ha sete e l’altro è ebbro.



La cena del Signore rischia di diventare non eucarestia, ma ostentazione della disuguaglianza. Paolo in 1 Cor 10: un solo pane un solo corpo, manifesta il legame tra eucarestia e condivisione. È dalla qualità sacramentale della cena che deve scaturire l’amore tra i cristiani. Chi mangia e beve senza discernere il corpo del Signore mangia la propria condanna. Paolo denuncia la comunità che non sa più discernere che la comunità è il corpo e il sangue di Cristo. Paolo stigmatizza il non riconoscimento della comunione della Chiesa. Il vero problema è riconoscere il Cristo nei poveri con i quali devo condividere e rompere i pani. Se non c’è questo discernimento, allora si mangia e beve la propria condanna.

Qual è, allora, il nostro atteggiamento concreto quando partecipiamo alla cena del Signore nei confronti della comunità, nel confronto dei poveri? Cfr. Mt 25,32. Questa teologia di Paolo sull’assemblea eucaristica è coerente con tutta la sua predicazione su Gesù che da ricco che era si è fatto povero.

Questo è il mio corpo che è dato per voi (in sacrificio per voi è solo in italiano). È una traduzione – quella italiana - di accumulo che viene da una teologia sacrificale. L’etica di condivisione Paolo la indica come necessaria alla comunità cristiana. Paolo chiama liturgia, la colletta che organizza per i poveri di Gerusalemme.

L’assemblea eucaristica deve avere questa apertura verso i poveri. L’insistenza di papa Francesco sul tema dei poveri e dell’accoglienza agli stranierei è coerente con il Vangelo e con la celebrazione della cena del Signore. Se la liturgia eucaristica non accresce la nostra capacità di carità è sterile.

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