FRATERNITÀ DI BOSE
Relatore:
Goffredo Boselli
Sintesi:
Paolo Cugini
Oggi è
necessario un po' di coraggio sul tema del linguaggio liturgico. Si ha la percezione
di un certo disagio della liturgia da parte dei credenti, anche quelli
motivati. C’è distanza tra il linguaggio liturgico e il modo di dire la fede
oggi. Ci sono molti linguaggi nella liturgia: verbale, gestuale, posturale,
immagini, artistico, musicale, dello spazio, della luce, ecc. I nostri sensi
sono via al senso. Ci soffermiamo sul linguaggio verbale.
“Se
non ricevo nulla, non partecipo alla liturgia. Ho altre fonti per alimentare la
mia fede”.
Tra le
difficoltà si avverte quella relativa al vocabolario liturgico, spesso ritenuto
desueto, astratto e lontano dalla vita. Il principio di unità
tra liturgia e vita è molto importante. Il Concilio parlava di partecipazione
attiva: non si può più solamente assistere. La partecipazione attiva è un
diritto in ordine al battesimo. Tutta la comunità celebra la liturgia. Occorre
andare oltre, confrontandosi con nuove difficoltà.
I
testi, le preghiere, le formule, rappresentano a volte un ostacolo. Dove si
trovano le difficoltà del linguaggio liturgico.
Salvezza,
redenzione, vittima, devota letizia, coeredi della gloria eterna, riconciliazione,
ispirazione, soddisfazione: cosa significano, cosa s’intende? Oppure il termine
pegno: cosa vuole dire? Nel dire la fede oggi ci sono dei termini che fanno
fatica ad essere recepiti.
C’è
anche una questione di grammatica. Siamo eredi della liturgia
romana. I riti latini sono formati da diverse liturgie: ambrosiana, ispanica, romana.
La liturgia romana ha uno stile romano, caratterizzato da frasi brevi. La
liturgia romana è molto breve, sintetica; quella ispanica è più debordante. Oggi,
questo stile romano, non è eccessivamente sintetico per dire la nostra fede?
Circa due terzi della liturgia sono o dell’antichità medievale o ancora più
antichi. I medievali avevano la nostra stessa fede, ma un modo diverso di
dirla. Le trasformazioni che sono in atto esigono un linguaggio attualizzato
nel dire la fede. La liturgia non può rimanere legata al medioevo, ma deve
attualizzarsi, altrimenti si diventa l’arca di Noè. Parallelamente si assiste
ad un impoverimento della cultura religiosa.
Il
problema è dato anche dall’ethos liturgico, dal modo in cui il
presbitero prega la preghiera al Padre. Il tono, la gestualità: fanno parte del
linguaggio liturgico.
Non è quindi un semplice problema lessicale: c’è qualcosa
di più. È un linguaggio preciso, ma non difficile. È un linguaggio nobile, ma
non ampolloso e desueto.
Quella
del linguaggio liturgico è una delle sfide maggiore della Chiesa oggi. La
riforma liturgica non ci sta semplicemente alle spalle, ma ci sta davanti. Non
possiamo stare bloccati: occorre guardare avanti. Il cristiano consapevole può
capire ogni singola parola, tuttavia pare che una buona parte di fedeli ha
difficoltà a pregare con le formule del messale. Difficoltà a farlo proprio,
nutrimento della propria vita di fede. La preghiera liturgica è preghiera del
credente.
Il
modo di formulare la preghiera liturgica è ancora nostro? Ci sentiamo espressi
da queste preghiere, oppure ci sono troppo formule stereotipate?
La
notte di Natale. La colletta è del VI secolo, attribuita a
papa Leone Magno: c’è l’antitesi terra e cielo. In una liturgia di grande
partecipazione popolare, si potrebbe pensare in modo più esteso ciò che si
celebra quella notte e ciò che i credenti sperano.
Nella
liturgia ci sono immagini che non utilizziamo nella vita di fede quotidiana. La
ricerca di un linguaggio liturgico appropriato è lungo, ma necessario. L’eucologia
è prevalentemente composta da orazioni latine e medievali, che riportano figure
retoriche tipiche di quella cultura e di quelle epoche. Oggi a noi quel mondo
appare distante.
I testi liturgici romani, hanno una grande ricchezza, ma
anche dei limiti per noi oggi. Alla Chiesa in preghiera oggi è offerto un
nutrimento spirituale inadeguato. Domandiamoci: la liturgia è oggi nelle
condizioni a corrispondere alle esigenze spirituali dei fedeli? C’è il rischio
di ridurre la liturgia domenicale alla solo liturgia della Parola.
Occorre
reagire alla diffusa rassegnazione dinanzi all’irrilevanza dei testi liturgici. Abbiamo
l’esigenza di avere testi liturgici che dicano la nostra fede. Ci vogliono persone
che scrivano testi. Non significa cambiare oggi il messale, ma quando verrà il
momento ci devono essere testi che possono essere integrati nella liturgia.
Certe immagini di Dio, che troviamo nei testi
liturgici, sono eredità di realtà non molto evangelizzate. “Guarda
con bontà o Signore il sacrificio […] Accetta con benevolenza l’offerta della
tua Chiesa”. Retaggio di una realtà religiosa in cui i sacrifici dovevano
placare l’ira divina. C’è l’eredità di una visione pagana. Occorre
evangelizzare la liturgia.
Preghiera
eucaristica IV: “guarda con amore o Dio la vittima che tu
stesso hai preparato per la tua Chiesa”. Gesù è vittima? C’è dietro una
teologia sacrificale che abbiamo interiorizzato. Gesù è stato fedele al Vangelo
e l’ha pagata con la morte, che il Padre non ha voluto. Dio non ha voluto la
morte del Figlio.
Evangelizzare
i testi liturgici affinché siano trasparenza del Vangelo: i
testi devono essere più vicini al linguaggio di Gesù. La nostra dottrina è
Cristo. Il linguaggio di Gesù era semplice, ma non banale. Le parabole non
avevano bisogno di spiegazione. L’insegnamento di Gesù era autorevole, comprensibile
e allo stesso tempo profondo. Gesù utilizzava immagini tratte dalla vita. La
nostra liturgia ha bisogno di un linguaggio poetico e meno dottrinale.
Gesù aveva un linguaggio aderente alla vita. Gesù
reciterebbe certi nostri prefazi?
La Chiesa è mandata ad annunciare a tutto il Mondo il Vangelo di Gesù, che ha ricevuto e accolto; per questo, essere “Chiesa in uscita” rappresenta anzitutto una tensione permanente e ideale. Ma oggi questa nota - e talvolta abusata - espressione indica anche un compito molto più concreto, ossia l’uscire da un modo abituale di pensare la vita cristiana, in tutte le sue espressioni, e andare incontro alla realtà delle donne e degli uomini del nostro tempo. Occorre imparare di nuovo come sia possibile vivere il Vangelo nell’attuale contesto storico e sociale, per darne una testimonianza che ne mostri la novità e la forza umanizzante. La liturgia deve contribuire significativamente a tutto questo, facendo vivere ai fedeli che vi partecipano una esperienza di uscita da sé, di inserimento in una comunità viva, di apertura a Colui che ci viene incontro, di valorizzazione e trasfigurazione della nostra vita.
RispondiEliminaL’incidenza sul volto delle nostre celebrazioni dovrà passare soprattutto attraverso il modo di celebrare. Sarà importante, allora, valorizzare tutti i linguaggi del rito: da quello verbale a quello gestuale, al canto in tutte le sue forme, al modo di usare gli spazi liturgici, alla promozione dei vari ministeri ecclesiali. Ogni comunità, pur riconoscendosi parte dell’unica Chiesa Universale, dovrà sentirsi chiamata ad affinare il proprio stile celebrativo, mettendo le proprie risorse a servizio della lode a Dio. Solo in questo modo si potrà avvertire come proprio e condiviso ogni momento dell’esperienza cristiana, celebrato e vissuto.