mercoledì 12 aprile 2017

TEOLOGIA DEL POPOLO DI DIO



P. Neuner, Per una teologia del popolo di Dio, Queriniana, Brescia 2016

Sintesi: Paolo Cugini

La proposta di questo libro nasce da alcune considerazioni che Papa Francesco ha espresso nell’Evangeli Gaudium, riguardo alla necessità dei laici di annunciare il Vangelo e di considerarli come soggetto dell’Evangelizzazione. Da queste sollecitazioni Neuner prende lo spunto per una ricostruzione storica non solo del concetto di laico, ma anche dell’ecclesiologia del Popolo di Dio sottesa all’impostazione pastorale di Papa Francesco.

L’opera è suddivisa in quattro parti. Nella prima l’autore cerca di mostrare, attraverso un percorso storico, come si sia sviluppata la concezione del laico nella chiesa, dalle affermazioni bibliche sul popolo di Dio alla differenziazione tra clero e laici. In questa analisi Neuner mostra come questa differenziazione diviene sempre più crescente con il passare del tempo, anche se nella chiesa delle origini non esisteva. Ciò diviene comprensibile dalla presa di coscienza che il termine laos viene usato per indicare tutti i cristiani e non per indicare i laici contrapposti ai sacerdoti. “Visto in questo modo, laos e il nostro termine laico, che da esso deriva, sono per la terminologia biblica i termini onorifici più alti che possono essere dati a un cristiano” (p.25).
Tutti coloro che appartengono al popolo sono laici e lo sono anche sia i ministri ordinati che color che sono dotati di un carisma particolare. In realtà, accompagnando gli sviluppi del Nuovo Testamento, la differenza a cui rimanda la parola Laos, è quella tra i credenti e i non credenti e quindi non una differenza riguardante classi diverse all’interno della chiesa. Dal punto di vista prettamente storico, il concetto di laico si è imposto in ambito ecclesiale nel III secolo. Infatti, il termine fratello usato dai cristiani per denominarsi a vicenda, passa sempre più in secondo piano. È Cipriano che inizia ad utilizzare il termine fratello per indicare i vescovi e i chierici. La seconda evoluzione del termine lo si deve alle comunità monastiche nelle quali i membri sono denominati fratelli. Nella ricostruzione storica di Neuner, si giunge a scoprire che è stato Origene nel III secolo il primo autore ad utilizzare il termine laico contrapponendolo al clero. Dopo di lui altri autori, come ad esempio Tertulliano, utilizzano il termine laico per indicare coloro che non detengono un ufficio, vale a dire i non-sacerdoti. Sarà poi con la svolta costantiniana del IV secolo che la contrapposizione laici - clero non solo si confermerà, ma si radicalizzerà, anche perché i rappresentanti della chiesa riceveranno una posizione sociale onorifica.
 Un altro sviluppo significativo nella stessa direzione che Neuner evidenzia riguarda il ruolo del Vescovo. Il consolidamento della classe dei chierici provocò come conseguenza, il recupero del termine sacerdote per indicare i ministri ordinati della chiesa. “Il termine sacerdote – sostiene Neuner – diventò familiare nel cristianesimo innanzitutto mediante un’interpretazione allegorica dell’Antico Testamento […] Come nell’Antica Alleanza c’era il sommo sacerdote, così in modo simile anche nella comunità cristiana c’è ora il sacerdote, il sacerdos, vale a dire il vescovo” (p. 37). Lo sviluppo dell’idea di vescovo deve molto alle tensioni con gli eretici dei primi secoli. È di fatti, in questo clima polemico che la figura del vescovo diviene sempre più segno visibile dell’unità della comunità, perché il vescovo rappresenta Cristo nella e per la comunità. Solo al vescovo appartiene la competenza di guidare la liturgia, di celebrare l’Eucarestia, di amministrare i sacramenti. Ignazio di Antiochia ed Ireneo di Lione, confrontandosi con le tendenze gnostiche dell’epoca, condussero la riflessione ecclesiale a dare sempre più risalto all’ufficio del vescovo. Ecco perché diviene fondamentale ad un certo punto la comunione con il vescovo, perché è solo in lui che diviene visibile la comunità.
Nello sviluppo della contrapposizione laici/clero, Neuner prende come riferimento nell’epoca medievale i papi Gregorio VII e Bonifacio VII: Il primo con il Dictatus papae rivendicò il primato di giurisdizione del vescovo di Roma su tutta la chiesa e il potere di deporre i re e di sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà. Quella di Gregorio fu senza dubbio un atto di forza nei confronti di una situazione per molti aspetti ambigua, che non aveva ancora risolto il rapporto tra impero e chiesa. La presa di posizione di Gregorio VII trovò anche il consenso non solo del clero, ma anche dei laici, che da tempo si opponevo all’influsso dei nobili nella chiesa. La teoria delle due spade di Bonifacio VIII era sulla stessa linea. Secondo questa teoria, il papa ha ricevuto direttamente da Cristo sia il potere spirituale che quello secolare. Affermazione chiara e categorica che condusse Bonifacio a dichiarare che: “L’essere sottomessi al romano pontefice è, per ogni umana creatura, necessario per la salvezza” (p.53). Le affermazioni perentorie dei due papi vennero messe in discussione nei secoli successivi dai movimenti pauperistici e dagli ordini mendicanti. Il dibattito viene concentrato sul significato dell’apostolicità. Solo colui che vive come gli apostoli e non chi è ordinato legittimamente, può essere considerato detentore di apostolicità e, quindi, può avere il diritto d’insegnare ciò che vive. Nasce in questo contesto la disputa sulla predicazione dei laici, che si concluderà con la soppressione, non solo verbale, di tutti i movimenti che avanzavano pretese al riguardo. Il caso più eclatante fu la presa di posizione nei confronti dei Valdesi. Fu proprio in questo contesto che si cominciò ad intervenire anche contro la lettura della Bibbia nelle lingue volgari sino al punto da interdire la lettura della Bibbia da parte dei laici. Il clima venutosi a creare si accentuò sempre di più in tutto il XIV e XV secolo al punto che: “clero e laici stavano ora uno di fronte all’altro in un atteggiamento di fondamentale ostilità, come chi domina e chi è dominato, chi opprime e chi lotta per la libertà” (p. 65). Queste tensioni si accentuarono nel periodo della Riforma protestante, che condussero Lutero da una parte a porre l’accento sull’eguaglianza e sull’unità della chiesa e, dall’altra, ad incentivare la lettura della Bibbia da parte dei laici. La disputa, come sappiamo, arrivava anche a toccare il problema del fondamento del sacerdozio e del battesimo. Secondo Lutero il battesimo, oltre ad essere alla base dell’appartenenza alla chiesa, fonda il sacerdozio comune di tutti i fedeli. Ecco perché, secondo Lutero, il ministero ordinato non è cristiano in misura maggiore rispetto a qualsiasi altro battezzato. Conosciamo molto bene la reazione alle affermazioni di Lutero da parte della chiesa che nel Concilio di Trento affermò che il sacramento dell’ordinazione sacerdotale conferisce un carattere indelebile che eleva il sacerdote al di sopra del laico. In questa prospettiva instauratisi in un clima fortemente polemico, i laici venivano sempre più relegati in secondo piano, come oggetti del diritto e non come soggetti di diritti. Nel capitolo conclusivo della prima parte Neuner accenna alla nuova riflessione che sul laicato si produsse nel XIX secolo. Come sostiene lo storico della chiesa Merkle, citato da Neuner: “il XIX secolo può essere indicato come l’epoca classica dei teologi-laici, poiché dove il clero aveva fallito erano ora i laici a salire sulla breccia” (p. 75). Fu il Sillabo di Pio IX ad aprire in un certo senso la porta al protagonismo dei laici. Il dibattito sull’attività dei laici nella vita della chiesa giunse al punto mettere in crisi le stesse posizioni del Sillabo. Il teologo John Henry Newman sostenne, infatti, che i laici avevano tutto il diritto di essere consultati anche nelle decisioni dogmatiche. Newman, per sostenere questa tesi, dimostrò come all’epoca del Concilio di Nicea, la retta fede apostolica fu salvata mediante il sensus fidelium. Fu a partire da simili prese di posizione che in varie parti d’Europa sorsero federazioni e associazioni cattoliche, nelle quali erano i laici ad organizzarsi per attivarsi soprattutto nelle questioni sociali. La risposta dei papi all’attivismo dei laici non si fece attendere. Pio X richiese l’inserimento di tutte le associazioni cattoliche nell’ordinamento gerarchico. Tutte le associazioni di cattolici furono obbligate a sottostare all’autorità dei vescovi. Fu in questo clima che Pio XI fondò l’Azione Cattolica. “La possibilità di permeare lo Stato, la cultura, l’economia e la società richiedeva necessariamente secondo il Papa la collaborazione dei laici. Questa doveva realizzarsi mediante l’Azione Cattolica. La sua caratteristica più profonda doveva essere costituita dalla stretta sottomissione alla gerarchia” (90).

Nella seconda parte dell’opera, Neuner analizza in poche battute, l’idea di laico nella concezione teologica del Concili Vaticano II. Dopo la presa di coscienza che i testi preparatori erano tutti condizionati dalla concezione ecclesiologica degli ultimi secoli, l’autore passa ad analizzare i principali documenti conciliari. Sfogliando le pagine dei documenti del Concilio Vaticano II si percepisce come la chiesa non è più pensata solamente nelle istituzioni e ni ministri ordinati e che il popolo è più ampio di loro. La riflessione sul laicato raccoglie la ricchezza della ricerca biblico-patristica dei decenni precedenti al Concilio. “Ogni laico in virtù dei doni che gli sono stati fati, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione della chiesa” (LG 33). Già da passi come questo si percepisce l’intenzione dei padri conciliari di andare al di là delle contrapposizioni, per camminare verso una visione di chiesa come popolo di Dio. In questa prospettiva Neuner sottolinea l’importanza storica del decreto sull’apostolato dei laici nel quale si afferma che i laici sono deputati dal Signore all’apostolato. Nei più diversi ambiti tipici della complessità del tempo presente, spesso la missione della chiesa può essere esercitata solo dai laici. Questa presenza significativa dei laici nella comunità viene ribadita nella Sacrosanctum Concilium, dove viene sottolineata la partecipazione attiva di tutti i fedeli alla celebrazione eucaristica. Le ultime pagine della seconda parte sono dedicate dall’autore al problema della giusta interpretazione dei testi conciliari. Neuner parla senza mezzi termini di rottura delle affermazioni conciliari sul laicato rispetto all’insegnamento ufficiale precedente. “La valorizzazione dei laici nella chiesa è uno dei punti nei quali il concilio ha superato se stesso” (p.110). Neuner riconosce comunque che il Concilio Vaticano II ha avuto nei confronti della sua minoranza conservatrice un tratto estremamente premuroso. Integrare le minoranze fu un desiderio dei padri conciliari e soprattutto di Paolo VI. In ogni modo “nelle affermazioni del Concilio sui laici si vede allora una nuova e fondamentale presa di coscienza che è in discontinuità con una lunga tradizione di segno opposto” (111).

Nella terza parte Neuner analizza gli sviluppi conciliari, vale a dire, l’annoso problema della ricezione degli insegnamenti del Concilio. Il limite di questa parte sta nel fatto che l’autore tende ad accompagnare soprattutto il cammino della chiesa tedesca. In ogni modo non mancano numerosi spunti per la riflessione. C’è la presa di coscienza che dopo il Concilio i laici hanno assunto di fatto in maniera intensa diversi compiti e doveri che prima erano svolti dai preti. In Germania una tappa fondamentale del cammino sperimentale dei primi anni del dopo Concilio fu il sinodo di Wurzburg (1971-1975). Durante il sinodo ci si interroga sulla responsabilità comune di tutti i fedeli, soprattutto in quelle comunità che non possono più beneficiare della presenza permanente del presbitero. Si giunge così a percepire che esiste un’unica missione della chiesa che viene svolta dai molteplici servizi che vanno esercitati in dipendenza l’uno dall’altro. È il principio della comunione nella diversità, che esige dal canto suo la valorizzazione degli organismi che permettano il funzionamento della comunità come, ad esempio, il consiglio pastorale. Queste aperture vengono ridimensionate dal documento dal documento del 1977: “Principi per l’ordinamento dei servizi pastorali” elaborato dalla Conferenza Episcopale Tedesca. La preoccupazione del documento è quella di non confondere il ministero del presbitero con quella di altri ministri. Il nuovo Codice di diritto Canonico del 1983 sembra superare le ristrettezze del documento della CET quado nel numero 208 afferma che: “Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo”. Questa uguaglianza che si fonda sul battesimo, include tutte le differenze di uffici e funzioni. Neuner a questo punto della ricerca, focalizza l’attenzione su quello che considera a ragione un testo chiave sia per la recezione degli spunti ecclesiologici del Vaticano II, sia per gli sviluppi futuri sul tema del laicato nella chiesa, vale a dire il sinodo dei vescovi sui laici del 1987 e l’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles Laici del 1989. All’autore non sfugge il poco conosciuto, ma di fondamentale importanza per l’ecclesiologia, il sinodo straordinario dei vescovi del novembre-dicembre 1985, per commemorare i 20 anni della conclusione del Concilio. Fu in questo sinodo che venne deciso che il tema della comunione della chiesa doveva essere considerato il concetto centrale del concilio. Veniva così scalzato il messaggio del concilio sul popolo di Dio per fare posto ad una concezione di chiesa che in un certo modo riportava all’interno del dibattito ecclesiale il rapporto tra gerarchia e laicato. Come sottolinea infatti Neuner, il termine comunione presta il fianco ad un’ambiguità, perché può significare sia il rapporto di reciprocità esistente tra tutti i membri della chiesa, sia la conformazione dei fedeli alle decisioni della gerarchia. Era proprio questo secondo aspetto ad essere introdotto nel dibattito sinodale e sarà alla luce di questo significato del tema della comunione che si svolgeranno i lavori del sinodo dei vescovi sui laici del 1987. L’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici resta sino ad ora il documento magisteriale più completo sui laici nella chiesa. La riflessione viene svolta nell’ecclesiologia di comunione, che comprende in sé unità, diversità e complementarietà delle vocazioni, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità (cfr. n.20). Viene sottolineata più volte la diversità del ministero dei pastori rispetto agli altri ministeri e uffici nella chiesa, diversità fondata sulla diversità tra il sacerdozio comune dei battezzati e il sacerdozio ministeriale. Anche i carismi che hanno dato vita negli ultimi decenni a numerosi movimenti, devono sottostare al giudizio dei pastori della chiesa. Si percepisce da questi passaggi come il tema della comunione con la gerarchia abbia preso il sopravvento rispetto alle sottolineature della parità di dignità dei fedeli che il concetto di popolo di Dio portava con sé. Anche il servizio che i laici compiono nel mondo deve avvenire nell’obbedienza verso i pastori. Neuner non lascia di annotare come: “l’autonomia delle realtà terrene, di cui aveva parlato il concilio, è stata così messa evidentemente in secondo piano rispetto alla richiesta di obbedienza” (p. 142). Secondo Neuner il documento sui laici voleva rendere attraente il ministero presbiterale. Per questo motivo Giovanni Paolo II per evitare una clericalizzazione dei laici e una laicizzazione del clero, ha lasciato il ministero secolare ai laici riservando il ministero della salvezza al clero. Come si prevedeva, il documento post-sinodale non risolveva i problemi concreti che le comunità stavano affrontando, dovuti soprattutto alla diminuzione significativa dei presbiteri e la conseguente difficoltà di accompagnare le comunità. Per rispondere a queste esigenze il testo più significativo risale al 1994, frutto di un simposio tenutosi a Roma sulla: Collaborazione dei laici al ministero pastorale dei presbiteri. Significativo fu il duro intervento del Papa che, a partire dal chiarimento del carattere sacerdotale compreso ontologicamente, definiva che, mentre i ministri ordinati hanno nella chiesa degli uffici, i laici hanno solo ministeri. Affermazioni forti che rilevano un disagio nella percezione della difficoltà di trovare un cammino adeguato alla crisi in atto. Nonostante i tanti pronunciamenti ufficiali a favore del sacramento dell’ordine, le vocazioni sacerdotali continuavano a diminuire rendendo difficile la soluzione della guida delle parrocchie. Neuner a questo punto sottolinea due prese di posizioni chiare che, però non furono ascoltate. La prima fu quella del Vescovo Walter Kasper che propose di ordinare presbiteri coloro che di fatto guidavano già le comunità parrocchiali e che stavano dando una buona prova di sé. L’altro intervento lasciato cadere fu quello del vescovo Kamphaus che sosteneva che non si possono trattare i laici come tappabuchi in un periodo di carenza di preti. “La chiesa esiste solo come popolo di Dio, nel quale preti e laici camminano insieme, il compito a cui siamo chiamati in questo momento non è quello di tracciare linee di separazione, ma di interagire”. Voci profetiche che però non vennero ascoltate. Neuner a questo punto mostra alcuni esempi di come alcune diocesi hanno reagito alla mancanza di presbiteri. Il primo esempio è la diocesi francese di Poitiers. Qui il sistema tradizionale delle parrocchie è stato abbandonato a favore di comunità locali. Per esse il vescovo nomina ogni tre anni un team di incaricati ai quali sono affidati diversi ministeri, tra i quali ci sono anche i preti. L’altro esempio è quello della chiesa latinoamericana dove le parrocchie sono costituite da comunità di base, guidate da dei laici. In questi contesti il prete coordina la formazione dei laici che svolgono il ministero nelle comunità, oltre a celebrare periodicamente nelle singole comunità di base.

Nella quarta ed ultima parte Neuner propone delle riflessioni sistematiche su tre temi specifici: la discussione sull’Azione Cattolica; la ricezione del Vaticano II nella discussione teologica; tentativi di definire il laico e i limiti di una tale definizione. Neuner, nella riflessione da lui proposta sull’Azione Cattolica, propone gli studi di due teologi di spicco quali Yves Congar e Gérard Philips. Congar in un testo del 1952, che diverrà punto di riferimento per tutti gli studi successivi sul laicato – Per una teologia del laicato – sosteneva che clero e laicato sono unitamente orientati al medesimo fine. Congar mostra come in ciascuno dei tre uffici – regale, sacerdotale e profetico-, che sono stati trasmessi da Cristo alla sua chiesa, i laici abbiano dei diritti che a loro appartengono in forma immediata. Per sostenere ciò Congar fa riferimento alla dottrina del sacerdozio comune ritenendo che non è necessario concedere degli uffici ai laici, in quanto già membri attivi per la costruzione dell’unica chiesa. Per questi motivi Congar distingue l’azione dei cattolici dall’Azione Cattolica. “È sempre esistito ed esiste un apostolato dei laici anteriore e, sotto certi aspetti, più ampio di quello dell’Azione Cattolica, Apostolato che si basava sui doni sacramentali ed extra-sacramentali che costituiscono il cristiano”. (183). Dovere del laico, dunque, è conoscere e far comprendere agli altri che le cause seconde sono aperte verso Dio, che è la causa Prima. Pochi anni dopo le riflessioni di Congar, che anticipavano il dibattito conciliare, Gérard Philips, nel suo: I laici nella chiesa del 1954, esprimeva la sua visione positiva sulla svolta operata negli ultimi decenni di una nuova presa di coscienza dei laici. Philips non era convinto della spartizione dei campi d’interesse che relegava i laici alla sfera secolare, mentre i presbiteri come custodi del sacro. Il rischio di questa impostazione era quello di chiudere la chiesa nella sagrestia e di offrire argomenti per un laicismo anticlericale. Rispetto a Congar, Philips attribuisce un ruolo maggiore al laico nell’ambito inter ecclesiale, facendo riferimento alla famiglia come la più piccola cellula della chiesa. Inoltre, Philips faceva notare sia la partecipazione dei laici al sacerdozio comune, sia il loro coinvolgimento nel movimento liturgico di quegli anni. Centrale nella riflessione di Philips è l’idea d’incarnazione perché, a suo dire, aiuta a superare le contrapposizioni classiche tra spirito e materia, secolare e profano. Per questo Philips evitò di separare in modo netto laicato e clero. Neuner nl cammino di ricerca di una spiritualità laicale non tralascia di citare i contributi di altri importanti teologi del tempo quali Friedrich Von Hugel, Franz Xavier Arnold, Alfonso Auer e Hans Urs Von Balthasar i cui contributi, come quelli dei precedenti già citati, contribuiranno significativamente nell’elaborazione della teologia del laicato sviluppatasi nel dibattito conciliare.

Neuner dedica la seconda riflessione sistematica alla ricezione del Vaticano II nella discussione teologica. Non poteva non partire per questa analisi dal teologo Karl Rahner che nel suo L’Apostolato dei laici del 1966 difese la necessità ecclesiale di un’autonomia del laicato. Riprendendo la riflessine dei primi secoli del cristianesimo, Rahner sostiene che chierico è chiunque sia in possesso di un ufficio ecclesiale e quindi non riguarda solo il prete o il diacono che hanno ricevuto l’ordinazione. “In questo senso strettamente teologico – sostiene Rahner – una donna può appartenere al clero” (p. 199). Per Rahner la chiesa no si fonda nei sui uffici, ma all’opera di Gesù e nella predicazione del Regno di Dio. È nel mondo che il laico dà forma alla sua vita cristiana e al suo apostolato. C’è un’insistenza di Rahner su questo tema perché ritiene che i laici non hanno bisogno di uffici per esercitare il loro apostolato. Infatti, i laici, sulla base del battesimo e della cresima sono membri della chiesa e vivono il loro cristianesimo e operano come apostoli mediante questa vita senza la necessità di ricevere un incarico ufficiale. Anche Edward Schillebeeckx sulla linea di Rahner, ma andando oltre, sottolinea sia l’autonomia del laico nella chiesa, sia la necessità di collocare la riflessione del laicato nel cammino della chiesa. Il carattere secolare del laico sta ad indicare un compito ecclesiologico. I laici non sono persone profane, ma membri del popolo di Dio nel mondo secolare. In questa prospettiva preti e laici hanno solo servizi diversi, hanno “doni diversi dalla cui coesione viene edificato il corpo ecclesiale come comunità di fede” (p. 205). A questo proposito Edward Schillebeeckx sviluppa il modello della chiesa futura che, riprendendo dalla chiesa antica, chiesa che è una fraternità di fratelli e sorelle nella quale le strutture di potere vigenti nel mondo vengono a poco a poco eliminate. Anche se ci sono diversità di funzioni, nella fraternità tutti hanno il diritto di parola.
L’ultima riflessione sistematica è dedicata da Neuner al tentativo di definire il laico. Sono brevi analisi su tematiche già dibattute durante il percorso di ricerca. Si passa così dai brevi accenni del laico come non-chierico, alla discussione sul carattere secolare, ai differenti modi di partecipare al triplice ufficio e all’affermazione sulla differenza essenziale tra sacerdozio comune e ministeriale. Secondo Neuner si deve prendere sul serio il concetto di laos, considerandolo di nuovo nel senso che aveva nella scrittura, quindi come termine che designa il popolo di Dio, la chiesa nel suo insieme. La tesi di Neuner è che: “se avessimo una teologia del popolo di Dio corretta, non avremmo più bisogno di una teologia del laicato. Se la realtà del popolo di Dio si realizzasse nelle forme nelle forme di organizzazione della chiesa, non dovremmo scervellarci sulla partecipazione attiva dei laici” (p. 228). Ecco perché secondo il nostro autore, la riflessione sui laici dovrebbe diventare una riflessione sul popolo di Dio, sulla sua forma e sulle strutture che gli sono adeguate. Questa difficoltà nello sviluppare una riflessione sul laicato tenendo come riferimento la riflessione del Concilio sulla chiesa come popolo di Dio, nasce secondo Neuner soprattutto dalla presa di coscienza che il processo di cambiamento di mentalità avviato dallo stesso concilio, non ha ancora lasciato grandi segni. Prova di ciò è il fatto che ancora oggi, come in passato, tutte le grandi decisioni non sono prese dal popolo di Dio, ma da pochi membri della gerarchia. Ciò significa che l’elemento sinodale così importante nel Concilio, è stato delimitato piuttosto che rafforzato nel corso degli anni. Neuner sottolinea che i ministri ordinati stanno nella chiesa e non sopra di essa. Per questo non è nella logica del concilio squalificare coloro che non ricoprono alcun ufficio nella chiesa. “L’ordinazione degli uni, non deve significare la subordinazione degli altri”. Recuperare il discorso del Concilio della chiesa come popolo di Dio significa ritornare alla volontà salvifica di Dio, all’evento della croce e risurrezione di Cristo e all’invio dello Spirito Santo che ne garantisce la presenza.




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