RITIRO SPIRITUALE ADULTI UNITA’ PASTORALE SANTA MARIA DEGLI ANGELI
CODEMONDO - DOMENICA 2 APRILE 2017
MISERICORDIA E DISCERNIMENTO
AMORIS LAETITIA (CAP 8)
Giornata di ritiro spirituale cercando di entrare al cuore del
Vangelo. Lo abbiamo colto nel messaggio di misericordia del Signore, ripreso
più volte da Papa Francesco nel suo pontificato. Messaggio che apre cammini di
salvezza per tutti gli uomini e le donne. Francesco c’invita non solo a non
condannare nessuno, ma a sforzarci di metterci in cammino con le persone che
vivono situazioni difficili, per ascoltare, discernere e reintegrare. Chiesa
chiamata ad essere segno della misericordia di Dio che si è manifestata in Gesù
e che ci è stata donata. È questa la nostra missione nel mondo: non chiudere le
porte del Regno a nessuno, ma aiutare l’umanità a trovare il cammino tracciato
dal Signore che conduce alla vita vera.
Sintesi:
Paolo Cugini
I Padri
sinodali hanno affermato che, nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del
vincolo matrimoniale «è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della
fragilità di molti suoi figli». Illuminata dallo sguardo di Cristo, «la Chiesa
si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto,
riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il
coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed
essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano». D’altra parte,
questo atteggiamento risulta rafforzato nel contesto di un Anno Giubilare
dedicato alla misericordia. Benché sempre proponga la perfezione e inviti a una
risposta più piena a Dio, «la Chiesa deve accompagnare con attenzione e
premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito,
ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una
fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito
la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta». Non dimentichiamo che
spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo.
I Padri hanno
anche considerato la situazione particolare di un matrimonio solo civile o,
fatte salve le differenze, persino di una semplice convivenza in cui, « quando
l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è
connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da
capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare
nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio ». D’altra parte è
preoccupante che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e
convivano rinviando indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono
fine all’impegno assunto e immediatamente ne instaurano uno nuovo. Coloro « che
fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale
misericordiosa e incoraggiante ».Infatti, ai Pastori compete non solo la
promozione del matrimonio cristiano, ma anche « il discernimento pastorale delle
situazioni di tanti che non vivono più questa realtà », per « entrare in
dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della
loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del
matrimonio nella sua pienezza ». Nel discernimento pastorale conviene «
identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita
umana e spirituale ».
« La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della
semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei
confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti ».
In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni di amore che in
qualche modo riflettono l’amore di Dio. Sappiamo che « è in continua crescita
il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la
celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a
causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni
definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e
salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose,
non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma
soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le
condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di
fatto ». Comunque, « tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva,
cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del
matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e
accompagnarle con pazienza e delicatezza ». È quello che ha
fatto Gesù con la samaritana (cfr Gv
4,126): rivolse una parola al suo desiderio di amore vero, per liberarla da tutto
ciò che oscurava la sua vita e guidarla alla gioia piena del Vangelo.
È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una
persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non
basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza
concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che
insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento
pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più
si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In
campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al
particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli
che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è
ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione
quanto più si scende nel particolare». È vero che le norme generali
presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella
loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni
particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione,
ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione
particolare non può essere elevato al livello di una norma. Pertanto, un
Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che
vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano
contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si
nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla
cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i
casi difficili e le famiglie ferite.
A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile
che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente
colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si
possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità,
ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa Il discernimento deve aiutare a
trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti.
Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e
della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio.
Ricordiamo che « un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere
più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi
giorni senza fronteggiare importanti difficoltà ». La pastorale concreta dei
ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.
Non possiamo dimenticare che «la misericordia non è solo l’agire
del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma,
siamo
chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata
misericordia». Non è una proposta romantica o una risposta
debole davanti all’amore di Dio, che sempre vuole promuovere le persone, poiché
«l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto
della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si
indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso
il mondo può essere privo di misericordia.
A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore
incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia
che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo
peggiore di annacquare il Vangelo. È vero, per esempio, che la
misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire
che la
misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa
della verità di Dio. Pertanto, conviene sempre considerare « inadeguata
qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio
l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia
TUTTI
Abbiamo iniziato la riflessione commentando la
preghiera eucaristica dove per tre volte viene ripetuta la parola: tutti.
“Prendete mangiatene e bevetene tutti”. Abbiamo visto come dalle parole del
Signore che inaugura una comunità aperta a tutti, lentamente durante i secoli
l’apertura si restringe. La prima restrizione avviene già alla fine del primo
secolo quando il Vescovo Clemente inizia a chiamare con i fratelli solamente i
colleghi vescovi. Altra restrizione avviene con il Concilio Lateranense del
XIII secolo che decide di ammettere all’eucarestia solo chi si fosse
precedentemente confessato. Abbiamo così ascoltato le parole di Papa Francesco
che, d’un soffio, ci riportano al cuore del Vangelo.
Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di
imperfezione. Al riguardo, desidero qui ricordare ciò che ho voluto prospettare
con chiarezza a tutta la Chiesa perché non ci capiti di sbagliare strada: « due
logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […].
La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di
Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è
quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la
misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […].
Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! ».
Pertanto, « sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle
diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone
vivono e soffrono a motivo della loro condizione ».
Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare
il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto
di una misericordia “ immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno
può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del
Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma
a tutti, in qualunque situazione si trovino. Ovviamente, se qualcuno
ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o
vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può
pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che
lo separa dalla comunità (cfr Mt
18,17). Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito
alla conversione. Ma perfino per questa persona può esserci qualche maniera di
partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di
preghiera, o secondo quello che la sua personale iniziativa, insieme al
discernimento del Pastore, può suggerire. Riguardo al modo di trattare le
diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno raggiunto un
consenso generale, che sostengo: « In ordine ad un approccio pastorale verso le
persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati,
o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina
pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del
piano di Dio in loro », sempre possibile con la forza dello Spirito
Santo.
Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto
affermare che « i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono
essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili,
evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la
chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che
appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una
gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo
Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro
partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò
discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in
ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate.
Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare
come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie
sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della
vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e
l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più
importanti.
ricordiamo che il discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a
nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare
l’ideale in modo più pieno.
In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere
pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via
caritatis.
La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al
momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una
mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le
situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno
né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di
una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni
e così prevenire le rotture. Per evitare qualsiasi interpretazione deviata,
ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno
del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza. I giovani
battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro
progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che
ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente
alla vita della Chiesa .Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle
circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – ne segue
che « senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia
e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo
giorno per giorno », lasciando spazio alla « misericordia del Signore che ci
stimola a fare il bene possibile ». Comprendo coloro che preferiscono
una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo
sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in
mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime
chiaramente il suo insegnamento obiettivo, « non rinuncia al bene possibile,
benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada ».I
Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della
Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le
persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti.
Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr
Mt 7,1; Lc 6,37). Gesù « aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari
personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del
dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con
l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando
lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente ».
Questo ci fornisce un quadro e un
clima che ci impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel
trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un
discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a
comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a
integrare. Questa è la logica che deve prevalere nella Chiesa, per « fare
l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie
esistenziali ». Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi
con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al
Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee
e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro
di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino
di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto
e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle
persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e
a riconoscere il loro posto nella Chiesa.
Per ritrovare il SENSO DEL SACRO, che lo psichiatra Vittorino Andreoli ritiene essere presente come categoria della mente nell'uomo di tutti i tempi ed età, bisogna ricostruire la famiglia intorno alle esperienze quotidiane di condivisione di affetti, idee, emozioni, momenti di vita condivisa che devono tornare a trovare uno spazio ed un tempo. Il percorso allora può essere quello di avvicinare il senso del sacro “innato” nella gente con la risposta religiosa a tale sacralità, senza calpestare la prima, ma preservandola e riscoprendola anche nei piccoli gesti della vita di tutti i giorni, che necessitano di essere orientati attraverso quel vangelo che racconta una quotidianità ancora presente, fatta di azione e contemplazione che vanno a braccetto anche in famiglia (utile la lettura del Vangelo secondo Luca 10,38-42). Se il senso del sacro è una categoria della mente umana, perché allora le comunità parrocchiali non debordano di gente? Nella vita comunitaria parrocchiale, così come in famiglia, la preoccupazione dovrebbe essere quella di essere tutti “un cuore solo e un'anima sola”, proprio come tra fratelli, perché questo siamo, anche se proveniamo da famiglie diverse, anche se facciamo parte di quelle “periferie esisteziali” di cui parla l'Amoris laetitia: anche in famiglia talvolta i figli o i genitori sono una periferia esistenziale gli uni verso gli altri, anche Gesù, rispetto agli scribi e ai farisei era una periferia esistenziale. Poi, come ci sono le distanze tra padri e figli, ci sono anche quelle distanze generate dalle diverse modalità di stare ed essere inclusi nella società che ieri erano in un modo e oggi sono in un altro. L'abilità di chi educa sta proprio nel comprendere quali rituali o comportamenti sono necessari ancora oggi e quali invece rispondono o rispondevano a modalità contingenti, utili in un dato contesto storico e culturale. Rispetto alla necessità di costruire la comunità sul senso di appartenenza aperto a tutti quelli che gravitano sul territorio, luogo di vita comune, non si può far finta di niente, anzi rientra nel senso di corresponsabilità educativa che le istituzioni dovrebbero condividere con ogni cittadino e con ogni uomo: per educare un bambino ad essere un futuro uomo ci vuole un villaggio intero, ed un villaggio che non fa differenze tra bambini e bambini, che non mette a disposizione le migliori risorse e capacità d'inclusione solo quando c'è da educare i figli di Tizio e Sempronio e gli altri devono sperare che i propri figli capitino in quel frangente. A tale proposito bisogna farsi portatori di valori, accettando anche di vivere nei non valori altrui, certi che non ciò che viene da fuori possa recare danno allo spirito di cristianità o di comunità di chi è della cerchia, ma le cattive intenzioni dell'animo, presenti sia in chi vive al centro, come in chi vive nelle periferie. Anche rispetto alle cattive intenzioni poi bisogna discernere: provengono da continue frustrazioni nel sentirsi messi continuamente da parte e nel comprendere che non si ha futuro in un dato luogo? Si dice pure: “l'occasione rende l'uomo ladro”, capace di atti di vandalismo, di atti eroici, di gesti eclatanti che lo pongano al centro delle cronache. L'apertura al dialogo e alla condivisione di gesti quotidiani ed esperienze sulle quali poi riflettere insieme è un cammino possibile anche rispetto alla vita comunitaria, basta non imporre gioghi troppo pesanti a chi non è parte di un contesto, basta lasciare da parte qualche impegno che ci fa riconoscere come cristiani praticanti per condividere con gli emarginati qualche momento del loro cammino: ecco allora che si genera un clima di reciprocità e di timore di Dio.
RispondiElimina