mercoledì 30 settembre 2015

AMORE E CONTEMPLAZIONE




Paolo Cugini


Che cosa s'intende con la parola contemplazione?
Il verbo greco "thekamai", che nel nuovo testamento incontriamo per designare la contemplazione, significa vedere, gustare, osservare. Chi contempla, quindi, osserva, guarda. E’ l'uomo del Salmo 8 che rimane meravigliato, contemplando il cielo stellato e s'interroga sul senso dell'esistenza umana. È quindi un vedere con gli occhi della carne che conduce l'uomo dotato di ragione e di anima ad andare in profondità, ad interrogarsi intorno a ciò che sta vedendo, a cercare qualcosa di più profondo. I1 contemplativo è un uomo, una donna che cerca di vedere una realtà che sembra sfuggire al semplice dato sensibile. Rimanendo in compagnia dei salmi; la ricerca del contemplativo è orientata ad un volto misterioso.

"I1 tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il Tuo volto" (Ps): “I cuori retti contempleranno il Tuo volto” (Ps 11,7); "Cercate sempre il suo volto" (Ps 115,4)

Il contemplativo è dunque un ricercatore, è l'uomo della ricerca interiore, che avverte l'esigenza di stare alla presenza di colui che sta cercando. "Procurare il volto del Signore", infatti, in origine significava andare a consultare Ihwh nel santuario (2 Sam 21,1) e, più in generale, vivere alla sua presenza.
Non c'è pace nel cuore del contemplativo fino a quando non incontra il volto del SUO amato (cfr. Cantico dei Cantici), per stare per sempre alla sua presenza, la quale è divenuta visibile in Gesù Cristo. In lui "la vita si è manifestata'` (1 Gv 1,2), si è fatta visibile: l'eterno è entrato nel tempo. Nonostante Gesù Cristo sia uscito, per così dire, dalla storia e si trovi seduto alla destra del Padre, prima di andarsene ha lasciato delle tracce inconfondibili della sua presenza terrena: il suo corpo e la sua Parola.
Se il contemplativo sente l'esigenza non solo di cibarsi del corpo di Cristo, ma anche di rimanere ore dinanzi all'Eucarestia è perché, in questo gesto, esprime il cammino interiore dell'uomo biblico. Colui che cercava il volto del Signore ora lo trova nell'Eucarestia e non desidera altro che stare alla sua presenza. Per fare cosa? Non è tempo perso? Il contemplativo è essenzialmente un cercatore di Dio e cerca Dio per entrare in relazione con Lui. Chi cerca con tanta passione Dio, con tutte le proprie forze, con tutto se stesso (Dt 6) non può che essere un innamorato e, l'innamorato, cerca la relazione intima con l'oggetto del proprio amore, che in questo caso è Dio. Anche se c'è chi ha dimostrato che l'adorazione eucaristica è nata in un contesto culturale devozionale, mi sembra che i riferimenti biblici sopra riportati, manifestino la fondatezza di tale atto cultuale. È di fatti l'antropologia biblica che rivela la struttura relazionale dell'uomo, struttura che è costantemente minacciata dal peccato, che porta l'uomo a chiudersi in sé in una relazione esclusivamente egoistica e autocentrata. Quando l'uomo, però, si lascia guarire da Cristo, ciò che genera questa guarigione è l'immediato ristabilimento della relazione con Lui.

Il contemplativo, passando ore dinanzi all'Eucarestia, manifesta il senso profondo dell'umanità guarita, risanata, che si apre alla relazione d'amore con l'amato. Chi ama, infatti, non può stare senza l'amato e il contemplativo diviene il segno nascosto dell'umanità riconciliata con Dio.

Nei Vangeli i fedeli sono invitati a contemplare il volto del Verbo che si è fatto carne, un volto che è possibile contemplare sotto tre angolature diverse: figlio, doloroso, risuscitato. Per cogliere gli aspetti di questo volto non basta leggere il Vangelo, ma occorrono due elementi: il dono della fede e lo sforzo dell'uomo. Di fatto, se è vero che per riuscire a scorgere nei Vangeli il volto di Cristo occorre una "grazia di rivelazione" che solo il Padre può dare, dall'altra parte I ‘uomo deve creare le condizioni affinché la grazia possa illuminare la mente. Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offrono un ambiente adeguato per maturare e sviluppare una conoscenza vera di quel mistero espresso nel prologo di Giovanni: "E il Verbo si fece carne e abitò in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria che gli viene dal padre come Figlio unico, pieno di grazia e verità" (Gv 1,14).

L'icona della persona contemplativa è senza dubbio il brano di Luca 10,31-42 che narra l'incontro di Gesù con le sorelle Marta e Maria nella loro casa. In quanto Marta era tutta indaffarata nei lavori domestici, Maria, dice la scrittura, "si sedette ai piedi del Signore e ascoltava la sua Parola" (Lc 10,39). Non si può commentare questo brano semplicemente affermando un primato, in questo caso dell'ascolto sull'azione entrando in sterili ed inutili polemiche. Riflettendo attentamente, infatti, sulla pericope, l'atteggiamento di Maria lascia intravedere un'attenzione, una cura per il Signore che, più che rivelare delle priorità da imporre alla chiesa, manifestano l'autenticità di una relazione pura che nasce dal cuore di Maria. Per Maria, la sorella di Marta, mettersi ai piedi di Gesù per ascoltarlo è tutto fuorché uno sforzo: è un'esigenza che nasce dalla sua personalissima relazione con il Signore.

Altro brano che ha il valore di icona per la vita contemplativa lo si incontra sempre nel vangelo di Luca. "Sua madre serbava (conservava) tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 1,51). È l'immagine che mostra il cammino che la Parola compie in colui che la ascolta con il cuore. La Parola è serbata, accolta, perché cresca e maturi nel silenzio.
Significativo è il fatto che il verbo greco che in italiano è tradotto con "accogliere" non sia mai riferito nel nuovo testamento alla Parola ma ad una persona. Si accoglie una persona. Che cos'è, infatti, la Parola se non la Persona per eccellenza? Serbare la Parola ascoltata perché maturi e porti frutto, richiede un'accoglienza silenziosa e riservata. Ed è ciò che si vive nell'esperienza contemplativa: lasciare maturare dentro di sé la Parola, il Verbo perché possa essere donato. Non si dona infatti se non ciò che si possiede e, l'unica realtà che il contemplativo intende donare è la Parola, il Verbo. Mi sono dilungato un po' a riflettere su questo aspetto perché mi pare centrale per cogliere la figura del contemplativo. Questo, infatti, non è semplicemente l'uomo del silenzio e dell'adorazione, ma prima di tutto dell'ascolto orante della Parola.

L'esperienza mistica che scaturisce dalla vita contemplativa non si esaurisce nella ricerca di un volto, di una presenza misteriosa incontrata nella Parola e nell'Eucarestia. A differenza, infatti, della tradizione della mistica ortodossa che, a detta del suo maggior divulgatore Vladimir Lossky, è essenzialmente apofatica e cioè non si pone il problema né di imitare l'amato né di descriverlo logicamente, ma di narrare le meraviglie, per il contemplativo di tradizione cattolica l'imitazione è parte integrante del mistero che contempla. La relazione profondissima che il contemplativo instaura con l'Amato, lo conducono dentro un percorso spirituale di identità e differenza con l'Amato.

La ricerca della povertà materiale, di luoghi silenziosi, di una vita umile e casta, di elezioni umane con i più abbandonati, la ricerca, in definitiva, dell'ultimo posto fa parte integrante della vita contemplativa che non solo si ferma ad ascoltare ed ad osservare l'amato, ma gli obbedisce in un cammino personale di imitazione.

Paradossalmente, al contrario di quello che si è soliti pensare, i contemplativi sono persone molto attive, attente ai problemi dei tempi; non comunque un attivismo senza senso e schizzofrenico, bensì un'azione chiaramente e lucidamente orientata dal rapporto profondo e silenzioso con l'Amato. L'imitazione di Cristo segna profondamente la vita del contemplativo, che vuole seguire l'amato nelle forme storiche in cui si è manifestato. La santità diventa in questa prospettiva, un cammino interiore che costantemente si esteriorizza, si fa carne, storia.

Lungi da uno spiritualismo disincarnato, la vita contemplativa non solamente si manifesta in un cammino di imitazione a Cristo, ma sfocia in una cita di relazione. La ricerca dell'Amato, una ricerca interiore anzitutto, conduce ad aprirsi ai fratelli ed alle sorelle. E così quelle parole che troviamo nel Vangelo di Giovanni "avendo amati i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine" (Gv 13,1), che rivelano una relazione amicale, di fraternità tra Gesù e i suoi discepoli, la ritroviamo nella vita dei contemplativi. Del resto, se è nella relazione che passa il Vangelo, non può non trovarsi la vita relazionale nelle persone chiamate alla relazione profonda con il Signore. La relazione amicale e fraterna con i fratelli e le sorelle rivela poi, la bontà della vita contemplativa. Se, infatti, la vita trascorsa in ginocchio davanti al Signore, meditando la Parola non genera una vita di relazioni umane libere ed autentiche, significa che qualcosa di inautentico è intervenuto nella vita contemplativa.

Non basta, allora, sentire la chiamata alla vita contemplativa per divenire dei contemplativi. Questa chiamata, come del resto qualsiasi chiamata che viene da Dio, si riferisce a persone che vivono nel tempo, in cammino nella storia, soggetta ai condizionamenti culturali, atta all'influenza del mondo del peccato. Ciò significa che il contemplativo, come qualsiasi battezzato, deve continuamente lavorare su di sé, per permettere alla grazia di modificare e plasmare la natura personale. È importantissimo che il contemplativo non si nasconda dietro al carisma, ma prenda sul serio il miglioramento della propria struttura personale. Ne va della credibilità della stessa vita cristiana. Se, infatti, colui che per vocazione è chiamato ad un rapporto particolare e intenso con il Signore, manifesta inconsistenze e lacune nella propria vita personale e relazionale, come potrà essere segno della presenza del trascendente nella storia? La vita contemplativa autentica, spinge allora ad un continuo sforzo non solo di perfezionamento personale, ma anche di cura della relazione. È in questa prospettiva, in forza anche delle considerazioni sopra esposte, che mi sembra di poter affermare che non ci può essere missione senza contemplazione e, allo stesso modo, non ci può essere contemplazione che non produca un movimento verso l'esterno. È chiaro che i due momenti rimangono costantemente in tensione. Spetta, allora, al discernimento personale e comunitario, stabilire i criteri di un cammino in cui missione e contemplazione non siano percepiti come poli opposti di un sistema, ma complementari nel processo di evangelizzazione.


Nessun commento:

Posta un commento