Paolo Cugini
Che cosa s'intende con la
parola contemplazione?
Il verbo greco
"thekamai", che nel nuovo testamento incontriamo per designare la
contemplazione, significa vedere, gustare, osservare. Chi contempla, quindi, osserva,
guarda. E’ l'uomo del Salmo 8 che rimane meravigliato, contemplando il cielo
stellato e s'interroga sul senso dell'esistenza umana. È quindi un vedere con
gli occhi della carne che conduce l'uomo dotato di ragione e di anima ad andare
in profondità, ad interrogarsi intorno a ciò che sta vedendo, a cercare qualcosa
di più profondo. I1 contemplativo è un uomo, una donna che cerca di vedere una
realtà che sembra sfuggire al semplice dato sensibile. Rimanendo in compagnia
dei salmi; la ricerca del contemplativo è orientata ad un volto misterioso.
"I1 tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il Tuo volto"
(Ps): “I cuori retti contempleranno il
Tuo volto” (Ps 11,7); "Cercate
sempre il suo volto" (Ps 115,4)
Il contemplativo è dunque un
ricercatore, è l'uomo della ricerca interiore, che avverte l'esigenza di stare
alla presenza di colui che sta cercando. "Procurare il volto del Signore", infatti, in origine
significava andare a consultare Ihwh nel santuario (2 Sam 21,1) e, più in
generale, vivere alla sua presenza.
Non c'è pace nel cuore del
contemplativo fino a quando non incontra il volto del SUO amato (cfr. Cantico
dei Cantici), per stare per sempre alla sua presenza, la quale è divenuta
visibile in Gesù Cristo. In lui "la vita si è manifestata'` (1 Gv 1,2), si
è fatta visibile: l'eterno è entrato nel tempo. Nonostante Gesù Cristo sia
uscito, per così dire, dalla storia e si trovi seduto alla destra del Padre,
prima di andarsene ha lasciato delle tracce inconfondibili della sua presenza
terrena: il suo corpo e la sua Parola.
Se il contemplativo sente
l'esigenza non solo di cibarsi del corpo di Cristo, ma anche di rimanere ore
dinanzi all'Eucarestia è perché, in questo gesto, esprime il cammino interiore
dell'uomo biblico. Colui che cercava il volto del Signore ora lo trova
nell'Eucarestia e non desidera altro che stare alla sua presenza. Per fare
cosa? Non è tempo perso? Il contemplativo è essenzialmente un cercatore di Dio
e cerca Dio per entrare in relazione con Lui. Chi cerca con tanta passione Dio,
con tutte le proprie forze, con tutto se stesso (Dt 6) non può che essere un
innamorato e, l'innamorato, cerca la relazione intima con l'oggetto del proprio
amore, che in questo caso è Dio. Anche se c'è chi ha dimostrato che l'adorazione
eucaristica è nata in un contesto culturale devozionale, mi sembra che i
riferimenti biblici sopra riportati, manifestino la fondatezza di tale atto
cultuale. È di fatti l'antropologia biblica che rivela la struttura relazionale
dell'uomo, struttura che è costantemente minacciata dal peccato, che porta
l'uomo a chiudersi in sé in una relazione esclusivamente egoistica e
autocentrata. Quando l'uomo, però, si lascia guarire da Cristo, ciò che genera
questa guarigione è l'immediato ristabilimento della relazione con Lui.
Il contemplativo, passando
ore dinanzi all'Eucarestia, manifesta il senso profondo dell'umanità guarita,
risanata, che si apre alla relazione d'amore con l'amato. Chi ama, infatti, non
può stare senza l'amato e il contemplativo diviene il segno nascosto
dell'umanità riconciliata con Dio.
Nei Vangeli i fedeli sono
invitati a contemplare il volto del Verbo che si è fatto carne, un volto che è
possibile contemplare sotto tre angolature diverse: figlio, doloroso,
risuscitato. Per cogliere gli aspetti di questo volto non basta leggere il
Vangelo, ma occorrono due elementi: il dono della fede e lo sforzo dell'uomo.
Di fatto, se è vero che per riuscire a scorgere nei Vangeli il volto di Cristo
occorre una "grazia di rivelazione" che solo il Padre può dare,
dall'altra parte I ‘uomo deve creare le condizioni affinché la grazia possa
illuminare la mente. Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offrono
un ambiente adeguato per maturare e sviluppare una conoscenza vera di quel
mistero espresso nel prologo di Giovanni: "E il Verbo si fece carne e abitò in mezzo a noi, e noi abbiamo visto la
sua gloria, gloria che gli viene dal padre come Figlio unico, pieno di grazia e
verità" (Gv 1,14).
L'icona della persona
contemplativa è senza dubbio il brano di Luca 10,31-42 che narra l'incontro di
Gesù con le sorelle Marta e Maria nella loro casa. In quanto Marta era tutta
indaffarata nei lavori domestici, Maria, dice la scrittura, "si sedette ai piedi del Signore e ascoltava
la sua Parola" (Lc 10,39). Non si può commentare questo brano
semplicemente affermando un primato, in questo caso dell'ascolto sull'azione
entrando in sterili ed inutili polemiche. Riflettendo attentamente, infatti,
sulla pericope, l'atteggiamento di Maria lascia intravedere un'attenzione, una
cura per il Signore che, più che rivelare delle priorità da imporre alla
chiesa, manifestano l'autenticità di una relazione pura che nasce dal cuore di
Maria. Per Maria, la sorella di Marta, mettersi ai piedi di Gesù per ascoltarlo
è tutto fuorché uno sforzo: è un'esigenza che nasce dalla sua personalissima
relazione con il Signore.
Altro brano che ha il valore
di icona per la vita contemplativa lo si incontra sempre nel vangelo di Luca.
"Sua madre serbava (conservava)
tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 1,51). È l'immagine che mostra il
cammino che la Parola
compie in colui che la ascolta con il cuore. La Parola è serbata, accolta,
perché cresca e maturi nel silenzio.
Significativo è il fatto che
il verbo greco che in italiano è tradotto con "accogliere" non sia
mai riferito nel nuovo testamento alla Parola ma ad una persona. Si accoglie
una persona. Che cos'è, infatti, la
Parola se non la
Persona per eccellenza? Serbare la Parola ascoltata perché
maturi e porti frutto, richiede un'accoglienza silenziosa e riservata. Ed è ciò
che si vive nell'esperienza contemplativa: lasciare maturare dentro di sé la Parola , il Verbo perché
possa essere donato. Non si dona infatti se non ciò che si possiede e, l'unica
realtà che il contemplativo intende donare è la Parola , il Verbo. Mi sono
dilungato un po' a riflettere su questo aspetto perché mi pare centrale per
cogliere la figura del contemplativo. Questo, infatti, non è semplicemente
l'uomo del silenzio e dell'adorazione, ma prima di tutto dell'ascolto orante
della Parola.
L'esperienza mistica che
scaturisce dalla vita contemplativa non si esaurisce nella ricerca di un volto,
di una presenza misteriosa incontrata nella Parola e nell'Eucarestia. A
differenza, infatti, della tradizione della mistica ortodossa che, a detta del
suo maggior divulgatore Vladimir Lossky, è essenzialmente apofatica e cioè non
si pone il problema né di imitare l'amato né di descriverlo logicamente, ma di
narrare le meraviglie, per il contemplativo di tradizione cattolica
l'imitazione è parte integrante del mistero che contempla. La relazione
profondissima che il contemplativo instaura con l'Amato, lo conducono dentro un
percorso spirituale di identità e differenza con l'Amato.
La ricerca della povertà
materiale, di luoghi silenziosi, di una vita umile e casta, di elezioni umane
con i più abbandonati, la ricerca, in definitiva, dell'ultimo posto fa parte
integrante della vita contemplativa che non solo si ferma ad ascoltare ed ad
osservare l'amato, ma gli obbedisce in un cammino personale di imitazione.
Paradossalmente, al
contrario di quello che si è soliti pensare, i contemplativi sono persone molto
attive, attente ai problemi dei tempi; non comunque un attivismo senza senso e
schizzofrenico, bensì un'azione chiaramente e lucidamente orientata dal rapporto
profondo e silenzioso con l'Amato. L'imitazione di Cristo segna profondamente
la vita del contemplativo, che vuole seguire l'amato nelle forme storiche in
cui si è manifestato. La santità diventa in questa prospettiva, un cammino
interiore che costantemente si esteriorizza, si fa carne, storia.
Lungi da uno spiritualismo
disincarnato, la vita contemplativa non solamente si manifesta in un cammino di
imitazione a Cristo, ma sfocia in una cita di relazione. La ricerca dell'Amato,
una ricerca interiore anzitutto, conduce ad aprirsi ai fratelli ed alle
sorelle. E così quelle parole che troviamo nel Vangelo di Giovanni "avendo amati i suoi che erano nel mondo li
amò sino alla fine" (Gv 13,1), che rivelano una relazione amicale, di
fraternità tra Gesù e i suoi discepoli, la ritroviamo nella vita dei
contemplativi. Del resto, se è nella relazione che passa il Vangelo, non può
non trovarsi la vita relazionale nelle persone chiamate alla relazione profonda
con il Signore. La relazione amicale e fraterna con i fratelli e le sorelle
rivela poi, la bontà della vita contemplativa. Se, infatti, la vita trascorsa
in ginocchio davanti al Signore, meditando la Parola non genera una vita di relazioni umane
libere ed autentiche, significa che qualcosa di inautentico è intervenuto nella
vita contemplativa.
Non basta, allora, sentire
la chiamata alla vita contemplativa per divenire dei contemplativi. Questa
chiamata, come del resto qualsiasi chiamata che viene da Dio, si riferisce a
persone che vivono nel tempo, in cammino nella storia, soggetta ai condizionamenti
culturali, atta all'influenza del mondo del peccato. Ciò significa che il
contemplativo, come qualsiasi battezzato, deve continuamente lavorare su di sé,
per permettere alla grazia di modificare e plasmare la natura personale. È
importantissimo che il contemplativo non si nasconda dietro al carisma, ma
prenda sul serio il miglioramento della propria struttura personale. Ne va
della credibilità della stessa vita cristiana. Se, infatti, colui che per
vocazione è chiamato ad un rapporto particolare e intenso con il Signore,
manifesta inconsistenze e lacune nella propria vita personale e relazionale,
come potrà essere segno della presenza del trascendente nella storia? La vita
contemplativa autentica, spinge allora ad un continuo sforzo non solo di
perfezionamento personale, ma anche di cura della relazione. È in questa
prospettiva, in forza anche delle considerazioni sopra esposte, che mi sembra
di poter affermare che non ci può essere missione senza contemplazione e, allo
stesso modo, non ci può essere contemplazione che non produca un movimento
verso l'esterno. È chiaro che i due momenti rimangono costantemente in
tensione. Spetta, allora, al discernimento personale e comunitario, stabilire i
criteri di un cammino in cui missione e contemplazione non siano percepiti come
poli opposti di un sistema, ma complementari nel processo di evangelizzazione.
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