sabato 31 gennaio 2015

CHARLES PEGUY: STORIA DI UNA CONVERSIONE






 A CENT’ANNI DALLA MORTE DAL GRANDE PENSATORE E POETA FRANCESE
Don Paolo Cugini

Ricorre quest’anno il centenario della morte di Charles Péguy (Orleans 4 gennaio 1873 – Marna 5 settembre 1914), poeta e filosofo francese, la cui opera ha influenzato intere generazioni d’intellettuali. Il suo percorso spirituale fu piuttosto travagliato. Abbandonata la fede negli anni dell’adolescenza perché non ammetteva il dogma dell’inferno, la ritroverà a ventott’anni dopo un percorso culturale che lo vede protagonista nel movimento socialista e in alcune battaglie politiche piuttosto polemiche. Fonda infatti, agli inizi del novecento prima una libreria e poi una rivista, Cahiers de la Quinzaine, che sono quaderni d’informazione e dossiers relativi ai problemi e ai fatti del momento. Tra questi si possono segnalare i Congressi Socialisti, L’Affaire Dreyfus e il problema della separazione Chiesa - Stato. Se il primo gruppo dei Cahiers (1900-1905) può considerarsi come relativo al periodo della creazione, dell’organizzazione dell’impresa e della presa di coscienza dei problemi teorici e politici essenziali, il secondo (1905-1909) segna un periodo di approfondimento e di maturazione che condurrà alla tacita riscoperta della fede. In quest’atmosfera Péguy sente e riscopre il senso degli Eroi, dei santi, della Patria francese. Nel 1907 Charles Péguy si converte al cattolicesimo. E così ritorna sul dramma dedicato Giovanna d'Arco, che aveva iniziato a scrivere agli inizi del Novecento, cominciando una febbrile riscrittura, la quale darà vita ad un vero e proprio "mistero", come viene scritto nei "Cahiers" del 1909, e questo nonostante il silenzio del pubblico il quale, dopo un breve e iniziale interesse, sembra non gradire più di tanto l'opera dell'autore. Péguy però va avanti. Scrive altri due "misteri": "Il Portico del mistero della seconda virtù", datato 22 ottobre 1911, e "Il mistero dei Santi Innocenti", del 24 marzo 1912. I libri non si vendono, gli abbonati della rivista calano e il fondatore dei "Cahiers", si trova in difficoltà. Inviso ai socialisti per la sua conversione, non fa breccia nemmeno nel cuore dei cattolici, i quali gli rimproverano alcune scelte di vita sospette, come quella di non aver battezzato i figli, per venire incontro ai voleri della moglie. Nel 1912 il figlio minore Pierre si ammala gravemente. Il padre fa il voto di andare in pellegrinaggio a Chartres, in caso di guarigione. Questa arriva e Péguy compie un cammino di 144 chilometri in tre giorni, fino alla cattedrale di Chartres, in piena estate. È la sua più grande dimostrazione di fede. Ormai scrittore cattolico affermato, nel dicembre del 1913 scrive un poema enorme, che sconcerta pubblico e critica. Si intitola "Eve", ed è composto da 7.644 versi. Quasi contemporaneamente uno dei suoi saggi più polemici e brillanti vede la luce: "Il denaro".  Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Péguy si arruola volontario e il 5 settembre 1914, il primo giorno della famosa e sanguinosa battaglia della Marna, muore colpito proprio al fronte.

Nell’opera di Péguy, oltre ad una critica serrata al metodo moderno – siamo nel periodo nel quale scoppia in campo cattolico la polemica sul modernismo - troviamo soprattutto interessanti indicazioni di metodo per ascoltare la realtà, per valorizzare la pluralità. Assieme all’analisi puntuale dei danni provocati dalla mentalità moderna soprattutto all’interno della cultura francese – bellissime sono le pagine sulla vita contadina nelle campagne francesi dell’Ottocento -, troviamo in Péguy una lucidità intellettuale capace di mostrare con precisione le cause delle faglie del metodo moderno. Gli anni successivi alla sua conversione religiosa imprimeranno una profondità spirituale che lo condurranno a rileggere la Sacra Scrittura con occhi nuovi, gli occhi appunto del metodo intuitivo appreso da Bergson e messo a punto negli anni delle sue battaglie polemiche a tutti i livelli con gli uomini di cultura del suo tempo. Affascinanti sono le pagine che Péguy dedica alla riflessione sui vangeli. Come nelle pagine di poesia e di prosa, anche in queste più specificamente spirituali o, per alcuni, mistiche, Péguy riesce a scoprire novità di significati e di contenuti, analizzando testi ascoltati da sempre e che in apparenza non avrebbero la possibilità di dire nulla di nuovo. Se è vero che è importante ascoltare la realtà, senza volerla anticipare con angusti sistemi di pensiero che rischiano costantemente di reprimerla, lo stesso vale nel rapporto con la Sacra Scrittura. Troppe volte, secondo Péguy, si è trattato la Scrittura come se fosse un pezzo di materia freddo e distaccato, anticipandone il senso attraverso una griglia concettuale. Ascoltare la Scrittura significa per Péguy anzitutto liberarla dagli schemi freddi del metodo moderno, per seguirla pazientemente dove lei vuole condurre il lettore, e cioè alla conversione del cuore.  Questa relazione stretta tra filosofia e religione, tra metodo intuitivo e poesia, è una delle caratteristiche specifiche dell’opera di Péguy. 

Non è possibile avvicinare un’opera così profonda e allo stesso tempo così poliedrica, come è quella di Péguy, esclusivamente per sottolineare eventuali simpatie o affinità di vedute. Simili operazioni culturali rischiano non solo di decurtare l’integralità di un messaggio, quanto soprattutto di distorcerne il senso autentico. Del resto, Péguy sembra abituato a simili strumentalizzazioni. Se, infatti, si sfogliano le pagine dei suoi biografi, lo si trova tratteggiato con le sfumature più disparate: anarchico, socialista, comunista, rivoluzionario, reazionario, cattolico, mistico. Dinnanzi ad una tale varietà di opinioni viene spontaneo chiedersi chi sia realmente Péguy e quale sia in sostanza il suo messaggio. Per questo motivo organizzare un convegno di studi nel centenario della morte potrà servire non solo per conoscere e approfondire alcuni aspetti della sua opera, ma soprattutto per verificarne la sua attualità.

C’è un aspetto dell’opera di Péguy che è centrale e che può essere considerato il perno attorno al quale muove tutta la sua produzione culturale ed è il modo d’intendere il tempo presente. E’ nel presente, infatti, che Péguy individua il centro fondamentale a partire dal quale è possibile cogliere la realtà. Tutto dipende da come lo si ascolta, da come lo si percepisce o da come lo si modifica. Il presente è dunque il punto nel quale si manifesta la realtà. Cogliere il presente significa afferrare il nuovo, ciò che non era. E’ nell’immediatezza del tempo presente che occorre situarsi pena l’esclusione subitanea dalla percezione della realtà. Per l’uomo che vive nel tempo non vi sono a disposizione spazi illimitati, ma semplicemente un punto, che per propria natura non può essere irrigidito, fissato, solidificato. Il presente è mobile: è questa la consapevolezza che pone all’uomo la necessità di non sfuggire questo punto prezioso, che è un punto vitale, anzi è il punto vitale. Non c’è tempo da perdere: “Essere in anticipo, essere in ritardo, quali inesattezze. Essere in orario è la sola esattezza”. La mobilità quale caratteristica peculiare del tempo presente, non può che essere descritta con termini plastici: elastico, libero, vivo, gratuito, fecondo.

Nel presente vi è la novità del reale, una novità che è donata gratuitamente e che impone all’uomo, sorpreso da un tale gesto, una ricomprensione. Il problema è che la vita nel presente è inquietante, perché è il punto dal quale sgorgano le novità della realtà. La caratteristica della mentalità moderna che si è sviluppata nel mondo Occidentale, secondo Péguy, consiste nell’aver messo in atto una serie di strategie per difendersi dalla mobilità e quindi dall’inquietudine che il presente provoca. La prima di queste è l’utilizzo del passato poiché è fermo, rigido e soprattutto lo si può osservare e schedare. L’uomo moderno ha imparato a narcotizzare il presente trasformandolo (snaturandolo) in passato. Basta trasferirsi mentalmente nel futuro e da quella piattaforma artificiale di sicurezza osservare il presente come se fosse passato, che il gioco è fatto. Quando il travisamento del tempo presente è in atto allora tutta la storia che ne scaturisce ne subisce le conseguenze. Se, infatti, leghiamo il presente allora tutto è legato. Se conserviamo libero il presente, soltanto allora le altre libertà potranno essere risparmiate.

Il mondo moderno indurendo, legando il presente, ha devitalizzato la realtà. La difficoltà di conoscere il presente unita a quello che Péguy chiama il mostruoso bisogno della tranquillità, hanno fatto sì che l’uomo non gusti la vita nella sua essenza. L’uomo ha smesso di vivere perché non si trova più là dove la vita sgorga. L’uomo si è voluto situare in un tempo artefatto, un tempo presente-passato che è un tempo di morte. “E’ l’aridità del cuore e l’aridità della razza, che sono le due grandi e spaventose invenzioni moderne, le due grandi forme moderne dell’annientamento stesso del mondo”. Il fiume della realtà è stato dunque dirottato dal mondo moderno in un canale. La forza, la dinamicità, l’impetuosità del presente è stata placata. L’uomo moderno si illude di vivere nel fiume della realtà, della vita, invece si trova ad essere nel canale dell’abitudine, della memoria, della morte. Il mondo moderno vive nel tempo dell’abitudine. Il mondo moderno è come un bosco morto e gli esseri che vi sono, vivono una realtà di morte. “La morte di un essere è il suo riempirsi di abitudine, il suo riempirsi di memoria, cioè il suo riempirsi di invecchiamento, cioè il suo riempirsi di sclerosi e di ogni indurimento”. Possono sembrare quelle di Péguy delle mere elucubrazioni intellettuali, ma in realtà non è così. Serviranno queste riflessioni sul tempo presente per capire le difficoltà di tutta una generazione che si è abituata a vivere nel passato, di abitudini, di pensieri precostituiti, a incontrare Il Signore della storia, che si manifesta nell’oggi della nostra vita. Come disse Gesù a Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Se, però, noi non viviamo nell’oggi come facciamo ad incontrare Gesù che è vivo ed è presente nell’oggi della storia?




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