Paolo Cugini
La speranza non è una virtù come le
altre. Nella speranza Péguy legge il mistero dell’amore infinito di Dio per le
sue creature. La speranza dice anche il senso autentico e specifico del Dio di
Gesù che è racchiuso nel mistero dell’Incarnazione. Il Dio che ha inviato il
suo Figlio per la salvezza dell’uomo non può che essere il suo creatore. Lo si
riconosce dall’amore, dalla sofferenza, dalla speranza con cui segue la sua
creatura. Chi avverte la sofferenza di Dio nel proprio cuore, per la possibile
dannazione della propria anima, non può che lasciarsi andare e correre verso le
braccia dell’unico Padre. Questa profonda sensibilità spirituale è sottesa in
tutta l’opera mistica di Péguy e inizia a manifestarsi con tutto il suo vigore
nelle riflessioni che svolge a proposito della speranza. Il peccatore è la
situazione spirituale che mostra chiaramente il punto nel qale Dio si è
collocato: “Dio che è tutto ha avuto
qualcosa da sperare, da attendere da quel miserabile peccatore; Da quel nulla.
Da noi. E’ stato messo a questo punto, in questa condizione da aver da sperare,
da attendere da quel miserabile peccatore. Colui che tutto ha bisogno di ciò
che non è nulla. Colui che può tutto non può nulla senza colei che non può
nulla”.
La speranza è la virtù più importante
perché ha stravolto il senso della creazione. Da quando, infatti, esiste una
pecora smarrita Dio si è messo al suo servizio: il Creatore dipende dalla sua
creatura. Il senso di questo radicale stravolgimento è ancora più ampio se si
pensa a ciò che Dio ha fatto e provato per lui nel momento dello smarrimento. E’
lei, la speranza, che ha fatto questo capovolgimento più forte di tutto,
questo rivolgimento che tutto ciò che dobbiamo fare per Dio, è Dio che ci
previene, che comincia a farlo per noi. L’uomo è libero di essere infedele a
Dio e così facendo può perdersi, dannarsi. Dio freme per questa possibile
dannazione e spera che l’uomo ritrovi la strada della salvezza. L’uomo può,
così, mandare a monte il progetto di salvezza di Dio: l’uomo può far fallire i
piani di Dio! L’uomo può, dunque, far fallire tutto perché può non essere
presente nel giorno della sua chiamata. Péguy sembra quasi arrabbiarsi con Dio
per quello che lui chiama un’imprudenza, un’eccessiva fiducia, una mancanza di
previsione. Bisogna, però, aver fiducia anche perché in cielo con Dio vi sono
due razze di santi – quelli che provengono dai giusti e quelli che provengono
dai peccatori – a pregare affinché nulla vada perduto.
Delle tre parabole sulla speranza –
la parabola della pecorella smarrita, la parabola della dracma smarrita, la
parabola del figliol prodigo – quest’ultima è per Péguy la più bella e la più
cara. Nessuno può resistere alla grazia contenuta in questa parabola. La
parabola del figliol prodigo racchiude in sé una forza particolare: “solo a pensarci un singhiozzo vi sale in
gola”. Non solamente è la parola di Gesù che è arrivata più lontana, ma è
la sola che il peccatore non ha mai fatto tacere nel suo cuore. Quando,
infatti, il peccatore si allontana non ha più riguardo di nulla e getta via i
beni più preziosi come una zavorra ingombrante. C’è, però, una parola che
nemmeno il peccatore avrà la forza di gettare nei rovi e questa parola è la
parabola del figliol prodigo, che ha come caratteristica peculiare quella di
seguire l’uomo dovunque vada, persino nei più grandi allontanamenti.
La grandezza della parabola del
figliol prodigo sta dunque nel fatto che è lei che insegna che non tutto è
perduto. Ed è qui che il dilemma della dannazione eterna trova una risposta
risolutiva. Questa parabola, infatti, insegna – così come la legge Péguy – che
non esiste peccato tanto grande da far disperare Dio e di abbandonare per
sempre la sua creatura. Dio spera che il figlio torni e, in questa attesa,
soffre per il suo smarrimento. L’uomo non deve temere, non deve disperare
perché troverà sempre, in qualsiasi momento lui vorrà, il Padre pronto ad
accoglierlo tra le proprie braccia.
Se Péguy insiste tanto sulla speranza
è perché conosce molto bene in che condizione l’uomo vive la propria esistenza
di ogni giorno. La legge della materia, infatti, è la degradazione e l’uomo
rischia in ogni istante di ritenere che persino lo spirito partecipi a questa
legge. Del resto, il progressivo invecchiamento, le abitudini non sono altro
che l’esperienza quotidiana della finitudine che predispone l’uomo alla
rassegnazione o, nel peggiore dei casi, alla disperazione. Ecco, allora, il
grande compito della Speranza. Essa deve continuamente spezzare gli
irrigidimenti che l’abitudine costruisce e che non permette alla grazia di
penetrare, deve immettere la fiducia “che
andrà meglio nell’indomani mattina. Proprio l’indomani mattina. Tutti i giorni
da quando ci sono i giorni. E che si leverà un sole migliore”. Compito
davvero ingrato quello della speranza, perché sono innumerevoli i giorni che
possono smentire questa illusione, questa convinzione assurda che il giorno di
oggi sarà un giorno migliore.
La speranza, però, non guarda
all’apparenza e non ragiona secondo la logica dell’uomo. Differisce, inoltre,
dalle altre due virtù, le sorelle maggiori, “che camminano come le persone grandi […] si comportano con decenza”.
La speranza, invece, è come una bambina che partecipa ad una processione; “Lei non è mai stanca. Guardate un po’. Come
cammina. Corre avanti venti volte, come un cagnolino, ritorna riparte, fa la
strada venti volte. Lei si diverte con le ghirlande della processione[…]
Vorrebbe camminare tutto il tempo. Andare avanti. Saltare. Danzare. Lei è così
felice”. La speranza è il dono più grande che Dio poteva fare all’uomo,
perché non gli dà pace. Non gli permette, infatti, di stancarsi della strada
percorsa e di sedersi sulle macerie dei propri fallimenti, delle proprie
disillusioni, delle proprie abitudini. La speranza prende continuamente l’uomo
per mano e gli fa percorrere venti volte la stessa strada che è la strada che
dallo smarrimento, passando per il pentimento, giunge al perdono. Se è vero che
ad uno sguardo umano questo continuo ripercorrere gli stessi passi, la stessa
strada può apparire un fallimento, dobbiamo stare attenti, però, a non traviare
il senso che Dio vuole dare anche a questo modo di camminare. Sulla via della
santità l’uomo non deve preoccuparsi di percorrere tante volte lo stesso
cammino del pentimento. L’inganno che la speranza sembra operare ai danni
dell’uomo in realtà si rivela come un lavoro preziosissimo per la sua salvezza.
L’uomo, però, non subisce passivamente l’irruenza di questa bambina che lo prende per mano e sembra
quasi obbligarlo a percorrere una strada che lui non vuole. In realtà
segretamente nel nostro cuore ci facciamo suoi complici: “Affinché ci inganni. In fondo sappiamo benissimo cosa significhi tutto
ciò. E quella sorda complicità che abbiamo con lei. E’ ciò che abbiamo in noi
di più gradito a Dio”. Lasciarsi prendere per mano dalla speranza significa
lasciarsi condurre alla propria essenza. A questo punto del discorso Péguy
trova la risposta ad uno dei problemi fondamentali del suo pensiero: quale
senso, quale direzione offrire all’inquietudine strutturale dell’uomo? Solo nel
presente l’uomo può percepire ed ascoltare il fragore che l’Incarnazione del
Verbo ha prodotto. Per potere cogliere i suoni di trascendenza presenti nella
realtà, occorre all’uomo quel lungo tirocinio di spoliazione, di abbandono che
solo la bambina speranza può
produrre. Lo scopo della speranza consiste proprio nel fiaccare le resistenze
dell’uomo, che tende a non fidarsi di nessuno se non di se stesso. C’è una la logica perversa che attanaglia il
cuore dell’uomo e gli fa credere che la vera saggezza sia contenuta nella
massima: non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi stesso. È la logica che
tiene sveglio l’uomo e non lo lascia dormire e così adagiarsi sul letto della
Provvidenza divina, che si trova in una logica diametralmente opposta a quella
umana: “E io dico: colui che sa rimandare
al domani è quello che è più gradito a Dio. Colui che dorme come un bambino è
anche colui che dorme come la mia cara Speranza. E io dico: rimandate a domani
quelle preoccupazioni e quelle pene che oggi vi rodono e oggi potrebbero
divorarvi. Rimandate a domani quei singhiozzi che vi soffocano quando vedete
l’infelicità di oggi”.
Solamente l’uomo che ha già
assaporato l’amore misericordioso di Dio, solamente colui che ha già percorso
il cammino dell’abbandono e della spoliazione può indicare agli altri il
coraggio di rischiare. Le pagine di Péguy qui commentate, possiedono quella
forza che non è semplicemente persuasiva. E l’invito appassionato di un uomo
che con sua grande sorpresa si trova avvolto da un amore immenso, insospettate
e desidera che tutti partecipino alla sua gioia. E’ lo stupore del figliol
prodigo che per tutto il tragitto del ritorno pensa a tutti i lavori più umili
da eseguire pur di rimanere nei pressi della casa, e ritrova fra le braccia del
Padre festeggiato da tutti.
Nessun commento:
Posta un commento