giovedì 9 aprile 2015

SPIRITUALITÀ E REALTÀ



FUGA DALLA SPIRITUALITÀ DISINCARNATA
Paolo Cugini

Vivo spesso delle sensazioni strane, che mi fanno star male. Sono tutti i giorni a contatto con il mondo spirituale, con i riti, le liturgie, le preghiere. Ed è proprio in queste circostanze che vivo delle strane sensazioni e cioè la sensazione di essere fuori dal mondo, che lo spirituale sia qualcosa di distaccato dal reale, anzi a volte ho la sensazione che lo spirituale sia l’esatto contrario del reale. Osservo, infatti, come ci sia tutta una spiritualità che invece di sgorgare dalla realtà, nasce da un’altra parte – e non ho ancora capito dove, anche se lo sto intuendo – invece di nascere dalla terra, dalla carne, dalla vita personale, nasce come se si volessero proteggere gli uomini e le donne dalla realtà. C’è tutta una spiritualità che non sembra centrare nulla con la vita che gli uomini e le donne vivono, con la vita reale fatta di carne e di sangue, di gioia e dolore, di sacrificio ed entusiasmo, di eros ed agape, di lavoro e di gioco, di vita e morte. Sembra che s’inventi un mondo spirituale per proteggersi dalla vita, dalla realtà della vita, come se questa fosse qualcosa di negativo, come se la realtà fosse negativa, come se quella vita che sgorga dalla realtà fosse qualcosa dalla quale proteggersi. Come funzione questa spiritualità della fuga dalla realtà, dalla vita? Funziona giocando d’anticipo, anticipando il futuro, passando spiritualmente sopra al presente, per non sentirlo, per non annusarlo, per attutirne il più possibile la sua forza dirompente. Come se il presente fosse negativo, come se la vita fosse qualcosa dalla quale fuggire e, soprattutto, come se vivere fino in fondo e in modo autentico la vita fosse qualcosa di blasfemo. E’ molto strano che lo spirituale sia confuso con l’irreale o addirittura identificato con esso. Charles Péguy diceva che lo spirituale è costantemente disteso nel letto del temporale. Erano le riflessioni di un poeta che aveva fatto dell’incarnazione del Verbo il centro della sua vita. Viene immediatamente da pensare: ma come abbiamo fatto a ridurlo così? Com'è potuto avvenire che il grande mistero dell’incarnazione venisse così svilito da servire come surrogato, come anestetico del reale, come se lo spirituale fosse qualcosa di falso? Com'è mai potuto avvenire questo grande travisamento e cioè che lo spirituale, nella linea inaugurata da Gesù Cristo, uno spirituale cioè tutto intriso di carne e terra, di sangue e di vita, perché Lui era uomo come noi, potesse divenire strumento di percorsi religiosi che negano la realtà, che negano tutte quelle dimensioni che fanno parte della vita come la sofferenza, il pianto, il sorriso, la scelta per qualcosa di definitivo? Soprattutto, però, mi chiedo: perché lo si lascia credere? Com'è potuto avvenire che il più grande gesto d’amore dell’umanità venisse ridotto a rito e rinchiuso in esso, come se l’amore di Gesù fosse una questione di manine giunte e non di scelte di vita, una questione di turiboli e di pizzi e non di donazione totale di sé, infine una questione di rubriche e di formule e non una questione di vita vissuta in pieno.

Vivo tutti i giorni la sensazione di essere un funzionario religioso, un funzionario del nulla, che smercia il nulla, che permette alle persona di riempirsi del nulla, del vuoto, per stare bene, per avere la sensazione di stare bene o, perlomeno, di stare meglio. Perché è questo che producono le devozioni, gli spiritualismi disincarnati, i devoti del nulla, i cerimonieri del vuoto: un bene momentaneo, come un analgesico, un tranquillante. E’ questo quello che propone la spiritualità disincarnata, svuotata dal mistero dell’Incarnazione del Verbo: una giustificazione alla propria vita, un lasciapassare per non cambiare nulla, per pulire alla svelta quello che si è sporcato, un toccasana per continuare a fare ciò che si è sempre fatto. Gesù proponeva il Vangelo, il Regno di Dio, un regno di giustizia, di comunione. Gesù camminava per le strade d’Israele invitando le persone ad accogliersi gli uni gli altri, a rispettarsi, a perdonare, a dare dignità, a non vivere come servi, a non cercare il primo posto ma l’ultimo, a volersi bene, a condividere quello che si ha, a non umiliare il povero, ma ad accoglierlo, a non considerarsi superiori degli altri, ma a stare al proprio posto, a non cercare la felicità nelle cose materiali, a non vendersi per il denaro, ma a donare la propria vita per amore. E’ chiaro che per poter accogliere la sua proposta era necessaria la conversione, il cambiamento, il desiderio di una vita nuova. E invece no. La spiritualità disincarnata non ti chiede nulla di tutto questo, ma offre solamente un tranquillante interiore. E invece no, perché la devozione della candela facile, ti chiede al massimo due spiccioli e poi puoi rimanere al tuo posto, a fare le cose che facevi prima, perché t’insegnano questi disgraziati, che bastano due formule dette bene che tutto è messo a posto, che tutto è come prima, che con due formuline ben dette e qualche candelina, Dio è contento. Come se il problema fosse Dio! Come se tutto il problema della religione fosse Dio e non l’uomo, fosse Dio e non la donna, fosse Dio e non il modo. Disgraziati! Che cosa avete fatto? Che disastro avete costruito voi, i servi dello spirituale senza carne, del cielo senza terra, dello spirito che puzza di vuoto! Era così bello il Vangelo! Bello perché sapeva di vita, di terra, d’amore e di passione. Bello perché t’invitava a riflettere, a pensare, ad entrare in se stessi, per guardarsi dentro, per poi camminare meglio sulle strade della vita. Perché era esattamente lì che Gesù viveva: sulla strada. Ed era esattamente lì che ci ha insegnato a stare: sulle strade della vita, per starci con dignità, affrontando quello che c’era da affrontare. Gesù nel Vangelo ci ha invitato ad essere noi stessi, a non avere paura delle nostre debolezze, perché con Lui al fianco anche la debolezza si trasforma in forza e la pace diviene il segno inconfondibile della sua presenza.

Forse è questo quello che la gente cerca quando va in chiesa: un tranquillante, stare un po’ meglio, fuggire per alcuni istanti dai problemi reali, dai problemi della vita, da tutti quei problemi che si sono accatastati e dai quali non sembra esserci possibilità di soluzione, possibilità di uscita. Per fortuna che c’è la religione, le chiese, i preti nei confessionali; per fortuna che c’è qualcuno che può alleviare il dolore, la sofferenza, il male di vivere. Non ci sono, allora, solo le devozioni, ma anche coloro che le incentivano, le propongono, le inventano. Non ci sono solo le devozioni sorte in un’epoca – quella moderna – nella quale tutto si faceva derivare dall’uomo, come se noi uomini fossimo il centro del mondo, i signori della storia: ci sono anche coloro che le mantengono vive e, diciamolo pure, ci sono coloro a cui fa comodo tenerle vive. Spiritualità come sinonimo di irreale, non necessario alla vita, qualcosa di cui si può fare a meno, che serve appunto per distrarsi, per stare meglio in un momento di dispiacere o di depressione. E’ per questo motivo che molta gente fa a meno dello spirito, delle chiese e non sente il bisogno di guide spirituali di questo tipo, che ti guidano cioè nell’irreale, fuori dal tempo, dalla storia dalla vita. Chi vive bene, chi ama la vita, chi si trova bene nella realtà, non va in cerca di qualcosa che lo possa distogliere da ciò che ama, che lo conduca fuori dalla realtà. Chi ama la vita, chi sta bene a questo mondo, non cercherà mai quella religione che propone un’offerta spirituale del tipo che ho descritto sopra e starà lontano il più possibile dai sacerdoti del nulla, dai cerimonieri del vuoto.

 Ritornare al Vangelo per non morire, per uscire dalla religione vuota e trovare la luce della vita, la realtà delle cose: è questo il nostro compito più urgente!




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