sabato 25 aprile 2015

CHE C'E' DI NUOVO IN CITTA'?


DIALOGHI SULLA PROSSIMITÀ
CONVEGNO DI STUDI – MILANO 22 APRILE 2015
Paolo Cugini

Si è svolto a Milano mercoledì 22 aprile presso i locali della Triennale, un convegno organizzato dalla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale sul tema della città. L’occasione di EXPO 2015 è apparsa favorevole per un approfondimento teologico e pastorale sul tema della città. Le domande che hanno provocato il dibattito hanno ruotato attorno alle sfide che la secolarizzazione ha portato all’interno della società plurale post moderna. Quali spazi offre la città moderna per la cura e la condivisione dell’esperienza religiosa? Quali trasformazioni chiede alla cultura e alla comunicazione della fede? A partire da queste provocazioni si è aperto un dibattito molto profondo, che ha permesso agli esperti invitati di proporre un vero e proprio mosaico plurale di riflessioni aperte, fornendo significativi spunti per la costruzione di spazi più umani di condivisione nelle nostre città.

 Il giornalista e scrittore Ernesto Galli della Loggia ha affermato che la secolarizzazione non è un progetto culturale che sia possibile dichiarare fallito. E’ indubitabile, infatti, l’aumento di libertà, di possibilità che il cammino della modernità ha immesso nella cultura Occidentale. Il crollo delle ideologie nella città secolare, se da un lato ha prodotto la fuga nel consumismo, dall’altro ha riproposto una crisi di senso che trova nel populismo una pericolosa deriva. E’ pericolosa perché oggi il popolo non c’è più e al suo posto c’è la frammentazione di appartenenze parziali. Il vuoto provocato dalla crisi delle ideologie forti apre la strada anche alle mode culturali che dominano la scena, ma uccidono la cultura. Secondo Ernesto Galli della Loggia la stessa Chiesa fa fatica a resistere al fascino di fare il verso a queste mode. E’ difficile mantenere un discorso religioso che sia antagonista alle mode culturali. Lo scrittore, allora, concludeva il suo intervento con una domanda provocatoria: la perdita di senso si è forse insinuata anche nell’accampamento dei buoni?

Provocazione che il cardinale Ettore Scola, Arcivescovo di Milano ha colto immediatamente rilanciando con alcune riflessioni significative sul rapporto tra cristianesimo e città. Se per Ernesto Galli della Loggia la secolarizzazione non è stato un progetto fallito, per Ettore Scola il fallimento è totale. I segni di questo fallimento vanno ricercati nella frammentazione che il vuoto di senso ha provocato. “L’epoca post secolare – ha sostenuto il cardinal Scola – ha abbandonato l’idea di trovare un principio unificatore”. I segni di questa frammentazione culturale sono visibili anche nel mondo religioso, in quel fenomeno sociologico chiamato di ritorno del sacro, ritorno che Scola ha più volte definito selvaggio, per stigmatizzare il vuoto di proposte religiose autoreferenziali. Il problema, che allo stesso tempo è la grande sfida che la secolarizzazione ha provocato nella città, è la possibilità di creare relazioni significative in uno spazio divenuto ormai frammentato e dove nemmeno gli antichi luoghi di aggregazione come le piazze, funzionano più. Si tratta, allora, secondo il Cardinale, di riproporre la familiarità di Dio con l’uomo, quella familiarità che si è manifestata nell’Incarnazione del Verbo. E’ possibile ritrovare il gusto del rapporto con gli altri, gusto svanito nella città secolare, solamente se sappiamo recuperare la relazione con Dio. Questo è il compito della Chiesa. Durante il suo intervento il cardinal Scola ha citato un’immagine cara a Papa Francesco, vale a dire l’immagine del poliedro come simbolo delle nuove relazioni che possono essere costruite nella città. Caratteristica, infatti del poliedro, è quella di creare unione mantenendo la diversità delle facce.

Il dibattito è poi continuato con vari interventi che hanno mantenuto la caratteristica del poliedro, vale a dire pluralità d’idee con l’intento di contribuire a recuperare la dimensione umano e relazionale della città secolare. In questa prospettiva, la professoressa Monica Martinelli dell’Università Cattolica di Milano mostrava la contraddizione tra l’apparente rivincita di Babele e la resistenza del soggetto a venire livellato. La Martinelli, per suffragare questa idea, ha citato alcune esperienze avvenute in alcuni quartieri di Milano nei quali i cittadini hanno resistito alla cementificazione selvaggia e alla spersonalizzazione dei territori, organizzando momenti di socializzazione, per recuperare una socialità di strada ormai perduta. Tentativi di recupero che mostrano come la secolarizzazione non sia un processo da leggere totalmente in negativo, ma che presenta cammini di umanizzazione necessari, se si vuole vivere la fede in un modo più adulto. Sono evidenti in queste riflessioni gli echi del pensiero di Bonhoeffer al quale la Martinelli ha fatto riferimento esplicito affermando che: “I cristiani che stanno sulla terra con un piede solo, staranno anche in paradiso con un piede solo”.


Molto apprezzati sono stati anche gli interventi del professor Luigino Bruni dell’Università Lumsa di Roma e di don Giuliano Zanchi, direttore del Museo Diocesano di Bergamo. Il professor Bruni ha messo il dito sulla piaga sul problema centrale della città contemporanea, vale a dire il dominio assoluto del mercato, dell’economia sulla politica e la religione. Se un tempo i tre settori vivevano in armonia, entrando in sinergia tra di loro, oggi non è più così, perché è l’economia che comanda tutto. “Una città funziona quando c’è equilibrio tra i tre elementi. Una città data completamente in mano ai marcanti nega se stessa”. E’ questa la sentenza di Bruni perché l’unico linguaggio per gestire una città non può essere l’efficienza. Occorre, allora, ripartire dalle periferie, perché solo dalle periferie è possibile ricreare un nuovo tessuto sociale. Alle riflessioni del professor Bruni fanno eco le profonde indicazioni di don Zanchi, che ha ricordato al pubblico presente, che la città nasce per dare luogo all’umano, quell’umano che si alimenta attraverso le relazioni quotidiane. In questa prospettiva, è possibile osservare come l’architettura e l’urbanistica degli ultimi due secoli abbiano agito sulla città senza tener conto dello specifico della città come luogo di relazioni. Tutto ciò è visibile proprio nelle periferie, spesso costruite come luoghi cumulativi di abitazioni, spazi dominati dal cemento e dal ferro, nei quali diviene evidente la separazione dell’abitazione delle famiglie dall’organizzazione della città. “L’avvento della famiglia nucleare- ha sostenuto don Zanchi – è apparso come frutto della diffusione dell’alloggio privato i cui legami sociali divengono una situazione di scelta, più che un dato di fatto”. La casa, allora, è sempre di più pensata come un rifugio e lo spazio sociale come un luogo di servizi. Oltre a ciò, nella città contemporanea, quei luoghi e spazi nei quali gli esseri umani passano la maggior parte del tempo, come scuole, ospedali, e altri servizi, sono nella norma meno qualificati, costruiti in maniera seriale, spersonalizzati. E così, la città del capitalismo avanzato impone le sue idee senza ascoltare nessuno, riversando sui centri storici ingenti investimenti per la manutenzione di spazi da museo per le classi aristocratiche. Occorre, allora, recuperare l’umano ed è possibile realizzare questo percorso, sosteneva don Zanchi, riprendendo e recuperando le immagini bibliche della città celeste, fatta di relazione trasformate dall’amore di Dio. 

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