sabato 9 novembre 2024

IN MEMORIA DI GUSTAVO GUTIERREZ, IL TEOLOGO DEL DIO LIBERATORE

 






Paolo Cugini

Il 22 ottobre 2024, Gustavo Gutiérrez, “il teologo del Dio liberatore”, è morto a Lima all’età di 96 anni, come lo definì il suo amico e connazionale, l’antropologo e scrittore José María Arguedas. Con la sua morte, la teologia cristiana perde uno dei suoi riferimenti più importanti, creativi e riconosciuti e la teologia della liberazione perde colui che è considerato il padre del nuovo paradigma teologico liberatore in America Latina, che ha rappresentato una vera rivoluzione epistemologica e metodologica nel discorso religioso e nella prassi dei cristiani con importanti ricadute nelle scienze sociali. 

Nel prologo al libro del teologo peruviano “La densità del presente” (Seguimi, Salamanca, 2003) Casiano Floristán traccia il seguente profilo dell'amico e collega Gustavo: “Veloce e nervoso, piccolo di statura, con le lenti spesse e analisi e giudizi taglienti, con sguardo scherzoso e verbo debordante […]. Gustavo ha una solida formazione umanistica, letteraria e teologica. La sua formazione universitaria francese è evidente nella chiarezza, sagacia e umorismo con cui affronta i temi”. 


Formazione interdisciplinare

Gustavo Gutiérrez ha avuto un'eccellente formazione interdisciplinare. Ha studiato medicina presso l'Universidad Nacional Mayor San Marcos (Lima), filosofia e psicologia presso l'Università Cattolica di Leuven (Belgio), e teologia presso la Facoltà di Lione (Francia) e presso l'Università Gregoriana. (Roma). È stato professore di teologia alla Pontificia Università Cattolica del Perù e all'Università di Notre Dame (Stati Uniti) e fondatore dell'Istituto Bartolomé de Las Casas a Lima. Ha svolto il ministero pastorale nella parrocchia di Cristo Redentore, nel quartiere popolare di Rimac (Lima), dove ha conosciuto e sperimentato in prima persona la povertà, che ha sempre considerato frutto di un'ingiustizia strutturale, e ha praticato la solidarietà con i settori più vulnerabili. Questa esperienza è alla base dell'opzione per le persone, i gruppi e i popoli poveri, che nei suoi scritti e nella sua vita egli ha elevato a categoria di verità teologica radicata nel Dio della speranza, a partire da Gesù di Nazaret, il Cristo liberatore. e virtù etiche ed evangeliche. Queto è uno degli aspetti più significativi che segna la differenza tra i teologi occidentali e quelli latinoamericani. Mentre i primi sono essenzialmente cattedratici, senza un contatto pastorale con la realtà, i teologi latinoamericani scrivono quello che vivono. Per questo i libri della teologia della liberazione sono alla portata di tutti e tutte, perché parlano del respiro del popolo di Dio.

Gutierrez Partecipò al Concilio Vaticano II, insieme al teologo cileno Segundo Galilea, entrambi consiglieri del vescovo cileno Manuel Larraín, allora presidente del CELAM ed evidenziarono la necessità di celebrare la Seconda Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano, avvenuta nel 1968. a Medellín. Anche se valutava molto positivamente l'orientamento riformatore del Consiglio, Gutiérrez non era del tutto soddisfatto dei suoi risultati, che considerava troppo eurocentrici. Partecipò come consulente teologico al Congresso di Medellín, che realizzò un cambiamento radicale dalla Chiesa coloniale al cristianesimo liberatore.



Teologia della liberazione: cambiamento di paradigma

Nel 1971, il Centro di Studi e Pubblicazioni di Lima pubblicò: Teologia della Liberazione. Prospettive. la sua opera più emblematica e influente sulla scena teologica mondiale. 

L'inizio dell'edizione originale della “Teologia della Liberazione”, costituisce la migliore dimostrazione che questo libro inaugura un cambiamento radicale di paradigma teologico in America Latina, che definisce “subcontinente di oppressione e di espropriazione”:

“Questo lavoro tenta una riflessione, basata sul Vangelo e sulle esperienze di uomini e donne impegnati nel processo di liberazione, in questo subcontinente di oppressione e di espropriazione che è l’America Latina. Riflessione teologica condivisa nello sforzo di abolire l'attuale situazione di giustizia e di costruire una società diversa, più giusta e umana. Il cammino dell'impegno liberante è stato intrapreso da un numero crescente di cristiani: dalle loro speranze e riflessioni è responsabile il valore di queste pagine. Il nostro desiderio è non tradire le loro esperienze e i loro sforzi per chiarire il significato della loro solidarietà con gli oppressi”.

Gutiérrez definisce la teologia come riflessione critica della prassi storica alla luce della Parola, come teologia della trasformazione liberatrice della storia dell'umanità, che non si limita a pensare il mondo, ma è un momento del processo di trasformazione del mondo, che si apre al dono del Regno di Dio: “nella protesta contro la dignità umana calpestata, nella lotta contro l’espropriazione della stragrande maggioranza degli uomini, nell’amore che libera, nella costruzione di una società nuova, giusta e fraterna” . 




La teologia della liberazione unisce armonicamente pensiero e vita, teoria e prassi, rigore metodologico e denuncia profetica delle ingiustizie, discorso religioso e scienze sociali, salvezza e giustizia, studio e preghiera, spiritualità liberatrice e impegno sociale, contemplazione e azione, amore universale e opzione preferenziale per la persone e gruppi poveri. È un nuovo modo di fare teologia, di sentire, di vivere e di pensare Dio dal “rovescio della storia” con ricadute sociali, politiche ed economiche destabilizzanti per il sistema neocoloniale e neoliberista latinoamericano. Un sistema che Papa Francesco definisce “la globalizzazione dell’indifferenza”, che ci rende incapaci di piangere per il dramma altrui e di prenderci cura delle persone più vulnerabili.

La teologia, per Gutiérrez indica l'incontro con il Dio dei poveri e la sete di giustizia manifestata da Gesù nel discorso della montagna. Ce ne fossero dei teologi alla Gutierrez: meno cattedratici e più umani, vicini al popolo di Dio. 


giovedì 7 novembre 2024

LIBRO DI OMELIE DELL'ANNO C

 



CUGINI, Paolo. Come la pioggia e la neve. Omelie per l’anno C. Bologna: Dehoniane, 2024. 



INTRODUZIONE



Il contatto quotidiano con il cammino delle comunità ecclesiali dovrebbe condurre coloro che hanno una responsabilità pastorale, ad un’attenzione sempre più attenta e profonda alla Parola di Dio e al desiderio di trasmetterla. È, infatti, quello che ci dice il profeta Isaia nel versetto dal quale ho estratto il titolo di queste omelie dell’anno liturgico C. 

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo

e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,

senza averla fecondata e fatta germogliare,

perché dia il seme a chi semina

e il pane a chi mangia,

così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:

non ritornerà a me senza effetto,

senza aver operato ciò che desidero

e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata (Is 55, 10-11).

C’è una fiducia impressionante nell’efficacia della Parola di Dio, espressa da queste profondissime parole del profeta. Fiducia che non può che venire dall’esperienza personale di Isaia, dalla sua relazione con il Signore, da tutto ciò che l’ascolto attento della sua Parola ha prodotto nella sua vita e nel cammino del popolo di Israele. Fiducia che diventa nel lettore un impulso a divenire annunciatore della Parola, perché solo in questo modo potrà generare frutti di pace e di giustizia in color che l’ascoltano e l’accolgono. 

Chi accompagna le comunità cristiane, si accorge che l’esempio del profeta Isaia è illuminante. Infatti, l’ascolto personale della Parola di Dio, che aiuta a maturare una mistica e una comprensione sempre più profonda del Mistero che ci circonda e del quale facciamo parte, è importante che sia accompagnato dall’ascolto della realtà. La Parola di Dio che si è manifesta in Gesù Cristo è come una lampada che illumina il nostro mondo e ne svela il senso autentico. L’evangelista Giovanni, proprio nei primi versetti del Prologo, ci ricorda che: “Il Verbo era la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). È la vita di Gesù che è luce per noi (cfr. Gv 1, 4), che illumina il vissuto quotidiano e permette di togliere dalle tenebre il nostro cammino. 

Storia e Parola, dunque, si illuminano a vicenda in un duplice percorso che può essere complementare. C’è infatti, chi inizia dall’ascolto della Parola per illuminare la propria vita e il cammino della comunità di appartenenza: è questo il metodo che incontriamo nelle nostre comunità parrocchiali. C’è, invece, che inizia dal proprio vissuto, dalla vita come criterio per comprendere la Parola. Quest’ultimo metodo, conosciuto come lettura popolare della Bibbia, è in uso soprattutto nelle comunità di base in America Latina. Percorsi che hanno diversi punti di partenza, ma che tendono allo stesso obiettivo, che consiste nel permettere alla Parola di illuminare la vita. 

La predicazione domenicale s’inserisce proprio a questo livello, tentando di offrire delle chiavi di lettura alle comunità riunite a celebrare il giorno del Signore e in ascolto della Parola per comprendere meglio gli eventi della storia quotidiana in cui siamo inseriti. Per questo motivo, come lo scorso anno, le omelie che presento, più che essere un prodotto ben definito, sono una specie di canovaccio, che ha l’intento di orientare coloro che hanno una funzione di guida della comunità e può essere utilizzato in vari contesti. 

L’anno liturgico C ha, come punto di riferimento, il Vangelo di Luca. Le omelie che presento sono più che altro delle riflessioni sul Vangelo della domenica, che offre il tema delle letture ascoltate. L’evangelista Luca presenta la propria opera come un cammino, una salita verso Gerusalemme, che si radicalizza a partire da 9,51, quando il testo afferma che: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme “. In questo cammino, incontriamo alcuni testi che sono specifici di Luca, che manifestano la sua sensibilità su alcuni temi, come la misericordia e il perdono. Non a casa la parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32) e il buon samaritano (Lc 10, 29-37) sono proprio di Luca. Forse, però, l’aspetto più interessante e originale è l’attenzione che Luca dà alla presenza delle donne nella comunità di Gesù. Solamente nel Terzo Vangelo incontriamo passaggi significativi che mostrano come, nel progetto di Gesù, la comunità non era formata solamente da uomini, ma anche da parecchie donne (Lc 8,1-3).

È con queste sensibilità specifiche di Luca, che diventa interessante il tipo di Luce che dal suo Vangelo promana per illuminare il cammino delle nostre comunità. Come sempre, è la disponibilità al cambiamento, a lasciarsi contaminare positivamente dalla novità che il Verbo incarnato porta dentro la storia, che dipende la possibilità del Regno di Dio realizzarsi tra di noi. In ogni modo, nonostante le nostre resistenze e le nostre paure, possiamo stare tranquilli, perché: “Come la pioggia e la neve… così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto” (Is 55, 10s). Buona lettura e buon cammino. 


Lo puoi acquistare qui:

https://www.dehoniane.it/9788810986554-come-la-pioggia-e-la-neve 


mercoledì 6 novembre 2024

Il Forum dell'acqua consegna all'IBAMA la Lettera sulla siccità

 





Paolo Cugini

Il 5 novembre, i rappresentanti del Forum dell'Acqua hanno consegnato ufficialmente all'Istituto Brasiliano dell'Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili (IBAMA) la Lettera del Forum dell'Acqua dell'Amazzonia alla società e ai responsabili politici locali. Il documento è stato consegnato al sovrintendente dell'istituzione, Joel Bentes de Araújo, che ha ricevuto il Collettivo presso la sede dell'istituzione, situata a Manaus. 

Nel corso dell'evento, il sovrintendente ha presentato al gruppo le strutture dell'IBAMA e il team di agenti interni, spiegando il ruolo dell'istituzione nel territorio amazzonico. Nel corso della mostra ha anche risposto alle domande poste dai rappresentanti del Forum dell'Acqua. La Carta è stata consegnata presso la sede ufficiale, dove sono stati brevemente presentati i punti salienti del documento. L’inizio della Carta esprime preoccupazione per la preservazione dei biomi dell’Amazzonia e del Pantanal, essenziali per la vita sul pianeta, ma che sono sull’orlo del collasso. Le regioni subiscono impatti devastanti sulla biodiversità, sui servizi ecosistemici e sulle popolazioni umane, in particolare sui gruppi sociali più vulnerabili.

Tra le principali richieste c'è quella di chiusura dell'autostrada BR 319 e la revoca della Progetto di Legge (PL) 2168/2021. Gli studi dimostrano che l’autostrada BR 319, che collega Manaus a Porto Velho, intensificherà la devastazione della regione, aprendo la strada alla deforestazione, agli incendi, all’accaparramento di terre, alla criminalità organizzata e alla distruzione delle sorgenti. Il PL 2168/21 danneggerà le Zone di Protezione Permanente, APP. Con il disegno di legge le grandi imprese agroalimentari e zootecniche potranno insediarsi in queste aree, indebolendo le foreste già protette dalla legge.

Un altro punto rilevante del documento è l'urgenza di realizzare la rimunicipalizzazione dei servizi di approvvigionamento e fognatura nella città di Manaus. La concessione dei servizi al settore privato è avvenuta nel 2000, ma il rendimento delle società che ne hanno assunto la gestione è stato deludente, non rispondendo ai bisogni della popolazione di Manaus. Il concessionario Águas de Manaus, di proprietà del gruppo imprenditoriale Aegea Saneamento, è oggetto di continue critiche popolari e deve affrontare centinaia di cause legali in tribunale. La mancanza di acqua potabile e l’assenza di servizi fognari non solo violano i diritti fondamentali dei cittadini, ma nuocciono anche alla salute della popolazione e deteriorano l’ambiente.

Il sovrintendente dell'IBAMA ha promesso di analizzare le richieste del Water Forum e di lavorare secondo le sue possibilità per garantire che vengano soddisfatte. La consegna della Carta all'istituzione rappresenta uno sforzo da parte del Collettivo per influenzare le politiche pubbliche di portata federale. Sono previste diverse visite dell'organizzazione ad altri organismi federali con sede a Manaus, con l'obiettivo di sensibilizzare le autorità pubbliche sulla devastazione dell'ambiente in Brasile e in Amazzonia.

Fonte: Fórum das Águas - Amazonas 


lunedì 4 novembre 2024

Dal caos al cosmo, ossia: della durezza

 





Paolo Cugini


Come descrivere il cammino della cultura occidentale se non come un cammino di semplificazione e di progressivo irrigidimento? C’è stata come un’intuizione originaria che ha percepito la possibilità di vivere in modo tranquillo organizzando l’universo, ordinandolo, toglierlo, cioè dal caos apparente. Potremmo leggere la nascita della filosofia greca proprio in questa prospettiva: l’esigenza di mettere ordine al caos apparente. Anche se Eraclito aveva mostrato nei suoi aforismi di sapore mistico che era difficile porre ordine ad una realtà in continuo movimento e che sfugge alla possibilità organizzativa della mente, la direzione presa è stata tutta verso la ricerca di punti fermi e chiarificatori. 

In primo luogo, c’è stata la ricerca di un principio primo, che fosse riferimento di tutta la realtà, un principio come sforzo razionale capace di porre un fondamento nel mondo. Anche questo è un dato interessante. La cultura occidentale si struttura a partire dalla ragione e non sul sentimento, sui calcoli e non sull’arte, sull’apollineo e non sul dionisiaco. Sono contrapposizioni che escludono una sintesi, una possibilità di convivenza, contrapposizioni che, dunque, indicano una scelta ben precisa mossa dall’istinto di sopravvivenza, che evita complicazioni, perdite di energia e punta all’evidenza immediata. 

Lo sforzo ordinatore della realtà ha prodotto con il tempo, un modo rigido di vedere il mondo. Se ogni effetto ha una causa, così pensano i filosofi, allora il centro di questo processo razionale non può che produrre una serie di principi chiarificatori la cui evidenza costringe il pensiero a riconoscerne la validità. Il principio di non contraddizione è nella direzione del principio d’identità: una cosa non può che essere quella cosa. È tutto molto semplice e chiaro, è tutto molto logico. Se piove significa che ci sono le nubi e quando sorge il sole significa che è terminata la notte e che ogni giorno sarà così. Sono le conclusioni che si deducono dalle cause, che permettono la certezza delle affermazioni. C’è una verità che viene verso di noi attraverso le sensazioni, che ci permettono di astrarre dalla realtà idee certe e sicure per sempre. Le argomentazioni di tipo apodittico hanno strutturato la c conoscenza occidentale, da qualsiasi parti si osservi il fenomeno. Infatti, sia la conoscenza induttiva che deduttiva forniscono lo stesso tipo di materiale conoscitivo, vale a dire verità necessarie per la vita. 

Con il tempo, la grammatica, la logica, la matematica sono le materie che vengono insegnate nelle scuole, che si sviluppano nel medioevo e che formano le prime generazioni di studenti universitari. Apprendere le regole di come si osserva in un determinato modo il mondo è fondamentale per imparare a difendersi e a proteggersi dalla realtà. 

Ordinare la realtà, dividerla in scomparti, determinare ciò che è maggiore e minore, importante e meno importante, spingere la ragione sino a comprendere il mondo con categorie razionali precostituite. È questo il cammino del pensiero Occidentale, che per secoli ha perfezionato una modalità specifica di relazionarsi con il mondo, mettendo da parte i sentimenti, promovendo percorsi di semplificazione e organizzazione. La cultura moderna ha prodotto sistemi di pensiero così sofisticati da pensare di credere di essere riuscita a comprendere tutto il reale. Quando si leggono questi tentativi viene un sorriso e, allo stesso tempo, un sentimento di tristezza perché si coglie la boria di un pensiero arrogante che ha pretesa di capire il mondo, di dire in che direzione deve andare e, soprattutto, l’arrogante pretesa di definirlo nei minimi dettagli. Colpisce la sfacciataggine di un metodo strutturato non sul desiderio di conoscere l’universo, ma d’interpretarlo.

Questo modo di pensare il mondo e le cose produce un materiale rigido, duro, statico e, allo stesso tempo, persone rigide, intolleranti, incapaci di accettare il pensiero diverso. Si può leggere in questa prospettiva l’incontro del mondo Occidentale con le altre culture. La presunzione di possedere la narrazione giusta e vera ha fatto cadere nel giudizio di ignoranza tutti quei popoli che nei secoli avevano elaborato una narrazione differente, considerata meno razionale e, dunque, ingenua, non all’altezza. Questo giudizio negativo ha giustificato percorsi d’imposizione, di violenze efferate e, soprattutto, la distruzione della cultura dell’altro. Il pensiero rigido non riesce a porsi in un atteggiamento di ascolto, di accettazione della verità dell’altro: è intollerante. Quando la cultura non viene distrutta, viene manipolata. È ciò che la ricercatrice aborigena Linda Tuhiwai Smith ci ha recentemente descritto su ciò che è avvenuto con la narrazione culturale del proprio popolo. Non solo non è stata accettata, ma addirittura, trasformata. Gli invasori si sono impossessati della narrazione culturale incontrata, modificandola, trasformandola, in una parola: deturpandola. I problemi si complicano quando la narrazione forte diventa un sistema politico in cui le leggi hanno lo stesso spessore del sistema culturale dominante. Quando, poi, il sistema politico forte si allea ad una religione, la miscela di potere e violenza diviene inarrestabile. È ciò che l’Occidente ha potuto accompagnare nel periodo del Sacro Romano Impero, che in nome di Dio ha costretto popoli a convertirsi all’unica religione e a prostrarsi all’unico imperatore, naturalmente cristiano.