Paolo Cugini
In
alcuni scritti[1]
il teologo italiano Giannino Piana ha preso posizione non solo sul rapporto tra
Chiesa e persone omosessuali, ma anche sulle dichiarazioni contenute in alcuni
documenti ecclesiali. Secondo Giannino Piana, l’autorità ecclesiastica ha paura
che l’attuale contesto socio-culturale, favorevole alle persone omosessuali,
possa provocare delle rivendicazioni insostenibili da parte dei gruppi di
cristiani omosessuali e, per questo, ha irrigidito la dottrina. Eppure, sono
ormai diverse le discipline che orientano verso una comprensione più complessa
della realtà, capace d’integrare quelle diversità che sino ad ora sono rimaste
fuori dai rigidi schemi antropologici. L’autore fa riferimento sia alle scienze biologiche che a quelle psicologiche e sociali,
giungendo ad affermare che: “Ci hanno
aiutato a prendere coscienza che la diversità dei modelli comportamentali tra i
sessi non è dovuta prevalentemente a ragioni naturali, ma culturali,
riproducibili, in ultima analisi, al diverso instaurarsi di rapporti di potere”[2].
In
questa prospettiva, anche la riflessione filosofica ci ha aiutato a comprendere
che anche il “maschile” e il “femminile”, prima di essere due elementi separati
e contrapposti, sono invece dimensioni costitutive dell’umano, in quanto
presenti tanto nell’essere-uomo, quanto nell’essere-donna, con modalità
quantitative differenti, che danno origine a vere e proprie differenze
quantitative. I contributi della scienza e della filosofia hanno permesso,
secondo la riflessione di Giannino Piana, di superare le teorie naturalistiche,
dalle quali scaturiva la condanna dell’omosessualità da parte della Chiesa, ma
anche le teorie culturali incapaci di andare al di là del semplice riduzionismo
della differenza sessuale come prodotto della cultura. “E’ venuto sempre più sviluppandosi una teoria interpretativa della
differenza uomo-donna di carattere “relazionale”, tesa cioè a privilegiare come
dato fondante la relazione”[3]. Dire relazione significa
collocare la realtà della differenza sessuale nel quadro più ampio del contesto
socio-culturale, tenendo anche conto della connotazione biologica. La
prospettiva relazionale permette di cogliere anche che, il rapporto uomo-donna,
pur essendo fondante, non esaurisce in sé tutte le possibili modalità
espressive della relazionalità “anzi,
diventa la radice di cui si dipartono tutte le altre relazioni e il paradigma
cui esse devono ispirarsi se intendono conservare il loro carattere pienamente
umano”[4].
A
questo punto l’autore prende come punto di riferimento la riflessione biblica,
la rivelazione ebraico-cristiana, per dimostrare come il primato della
relazione s’incontri sia nelle pagine dell’Antico che del Nuovo Testamento. Senza
dubbio, troviamo il discorso del primato della relazione nelle pagine della
Genesi, dove l’uomo è definito come immagine di Dio. Il tema dell’immagine non
è riferito alla singola persona, ma alla realtà della relazione che, anche se
trova nel rapporto uomo-donna il principale referente, si estende tuttavia ad
ogni altra forma di rapporto interumano. “Da
tali racconti – sostiene Piana – si
evince che la differenza viene dopo (non solo cronologicamente) l’unità e che è
a quest’ultima del tutto subordinata, al punto che l’umano si presenta fin da
principio – si pensi alla figura dell’Adam collettivo – come un’unità che si
esprime e si realizza in una differenza”[5].
Secondo
Gianni Piana il discorso sulla relazione e il riconoscimento dell’unità
originaria dell’umano, pur non sminuendo l’importanza del significato della
differenza sessuale, mette in luce il carattere secondario e dipendente che
essa riveste di fronte all’attuazione dell’esperienza relazionale. Il Nuovo
Testamento accentua tale impostazione in due direzioni. In primo luogo,
interpretando in chiave trinitaria la categoria dell’immagine, che rende sempre
più trasparente la priorità della relazione rispetto alle modalità secondo le
quali si realizza. In secondo luogo, proponendo di fatto una modalità
asessuata, al punto da ridimensionare l’importanza della differenza, attraverso
la demitizzazione degli istituti tradizionali quali il matrimonio e la famiglia.
L’autore, prendendo come riferimento alcuni testi del Vangelo di Luca[6],sostiene che Gesù ha
relativizzato le istituzioni tradizionali dinanzi all’evento del Regno di Dio e
alla radicalità delle esigenze evangeliche, che spingono l’uomo e la donna
verso un cammino di conversione, di cambiamento radicale. Ancora più
significativo, a detta di Piana, è il brano di Paolo della lettera ai Galati,
in cui sottolinea la radicale caduta di ogni differenza dinanzi all’unità di
tutti gli uomini in Cristo: “Non c’è più
n’è giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna”[7]. La prospettiva che Paolo
propone è senza dubbio sconvolgente, nel senso che, dinanzi al mistero di
Cristo, ogni differenza non trova più alcuna giustificazione. “L’avvento della salvezza spinge l’uomo a
vincere la tentazione di chiudersi entro modelli tradizionali per aprirsi a
forme nuove, dove ciò che conta è la percezione di ogni soggetto umano come
persona redenta dal Signore”[8].
Immediate
sono le conseguenze sul terreno etico, che questa riflessione comporta,
soprattutto a riguardo dell’omosessualità. Secondo Piana, adottare il modello
relazionale, più in linea con il pensiero ebraico-cristiano che il modello
naturalistico di matrice filosofico-aristotelica, significa apprendere a
valutare i comportamenti interpersonali osservando prima di tutto il livello di
relazionalità conseguito. Ciò significa che la bontà morale di un rapporto è
dato dalla capacità che ha di esprimere il mondo interiore di due persone in
modo autentico e profondo, prima di qualsiasi altra considerazione anche di
ordine sessuale. Solo in questo modo si creano le condizioni per una autentica
interpersonalità, “che si realizza nella
misura in cui si abbandona la tentazione di trattare l’altro (l’altra) come oggetto
e si riconosce invece la sua unicità irripetibile e la sua inestimabile dignità”[9].
Giannino
Piana è consapevole del rischio di idealizzare la relazione. Sappiamo, infatti,
che la comunione e la comunicazione tra persone non sono mai totali e si sviluppano
gradualmente. L’incontro tra persone va pensato come esperienza di vicinanza
che lascia intatta la distanza o, dicendolo con la Forcades, che fa spazio
all’altro. Senza dubbio, la relazione eterosessuale rimane il momento più alto
di attuazione delle possibilità di comunione, come è senz’altro chiaro che la
relazione omosessuale è segnata da limiti intrinseci, come l’assenza della
fecondità procreativa. “Questo non
significa tuttavia – sostiene Piana –
che si debba a priori negare a quest’ultima la possibilità dello sviluppo di
una vera reciprocità, talvolta soggettivamente maggiore di quella che ha luogo
in alcune forme di rapporto uomo-donna connotate da dinamiche strumentalizzanti
e alienanti”[10].
Occorre allora più che mai sottolineare il valore di ogni relazione autentica,
che per potersi sviluppare deve prendere coscienza della propria identità, il
riconoscimento della propria condizione, in un clima di superamento dei
sentimenti di colpa paralizzanti. E’ a queste condizioni che è possibile giungere
ad una piena maturità sessuale, che conduce a vivere nel segno del rispetto e
della donazione di sé, uscendo in questo modo, dai percorsi oscuri della
strumentalizzazione dell’altro.
[1]
Cfr in modo particolare: PIANA,G., La
condizione omosessuale in una prospettiva teologica, in AA.VV, Il posto dell’altro. Le persone omosessuali
nelle chiese cristiane, Meridiana, Bari 2000, p 13-18: ID., Ipotesi per un’interpretazione
antropologica-etica dell’omosessualità, in Credere Oggi, 116 (2000), p47-56;
ID., Omosessualità, una proposta etica,
Cittadella, Assisi 2010
[2]
PIANA, La condizione omosessuale in una
prospettiva teologica, cit. p.14
[3] Ivi, p.
14
[4] PIANA, Ipotesi per una reinterpretazione
antropologica-etica dell’omosessualità, cit. p. 51
[5] Ibidem
[6] Cfr. Lc
11,27-28; 8,20-21
[7] Gal 3,28
[8] PIANA, La condizione omosessuale in una prospettiva
teologica, cit. p. 16
[9] Ivi. p.
16
[10] Ivi p.
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