Il dialogo per una nuova sintesi
Paolo Cugini
In
un recente e corposo saggio interdisciplinare scritto a due mani dalla
psicologa e psicoterapeuta Beatrice Brogliato e dal giovane studioso e
ricercatore Damiano Migliorini[1], gli autori hanno provato
ad indicare cammini nuovi nella riflessione teologica sull’omosessualità.
Prenderò come riferimento la seconda parte del saggio, quella teologica, più
consona alla ricerca del seguente lavoro. Il tema della legge naturale è il
punto cruciale o perlomeno uno degli snodi teorici del dibattito teologico
sull’omosessualità. Capire che cosa s’intende quando si parla di natura
significa aprire o chiudere dei varchi nell’argomentazione. Se il bene supremo
è la persona umana allora occorre stare attenti a non assolutizzare la natura.
Come ricorda il documento della Commissione Teologia Internazionale sul tema in
questione: “La scienza morale e la Legge
morale naturale non possono fornire al soggetto agente una norma che si
applichi adeguatamente e autonomamente alla realtà concreta, eppure, essa non
abbandona mai del tutto la coscienza alla sola soggettività”[2]. Occorre allora, vedere la
Legge morale naturale come fonte d’ispirazione, mentre, per quanto riguarda i
mezzi per raggiungere i fini, tocca allo sforzo di ogni singola persona. Le
regole particolari per raggiungere i fini sono sempre ad appannaggio delle
persone che vivono nella concretezza del reale. Occorre, dunque, stare attenti
a non assolutizzare la natura, a non correre il rischio di farne un idolo e di
tirarla nel dibattito dove lei stessa non può andare. La legge naturale non è
un copro statico e non è una lista di precetti definiti e immutabili[3], ma è una fonte
d’ispirazione. Ciò significa che questa legge, come ricorda Migliorini, “nel passaggio dal generale al particolare,
richiede l’esercizio di un’ermeneutica infinita”[4]. Siccome l’omoerotismo si
riscontra in tutte le epoche storiche, in tutte le culture ed è un orientamento
che rientra nella media di un funzionamento psicologico sano, può entrare a
pieno titolo tra ciò che è definito naturale. Per giustificare una simile
affermazione Migliorini fa riferimento ad una serie di studi scientifici di
recente pubblicazione. Non si tratta, dunque, di una perversione, perché il
comportamento omosessuale produce un desiderio e un amore che riguarda l’intera
personalità dell’altro[5].
Dopo
aver analizzato alcuni studi nell’ambito dell’etologia e della genetica, il
nostro autore conclude che l’omoerotismo è un fenomeno culturale permanente e
universale, sebbene si presenti in forme diverse tra loro lungo la storia[6]. Verificata la naturalità
dell’omosessualità, occorre appurare la liceità dei comportamenti omogenitali.
Come per ogni organo del corpo umano, anche per i genitali non è possibile
stabilire una sola funzione. Per questo Migliorini ne individua almeno tre: una
fisiologica, una erotica e una riproduttiva.
Finalizzare la sessualità esclusivamente al fine procreativo significa
cadere nel biologismo. Seguendo gli studi di Peinado[7], Migliorini afferma che: “la sessualità umana può prestarsi alla possibilità
di essere procreativa, in determinati momenti. La procreazione non rappresenta
certo il destino della sessualità umana. Si tratta unicamente di una
possibilità offerta in determinati momenti alla maggior parte delle persone”. Il problema etico si pone, dunque, dove
manca il significato unitivo, dove l’atto sessuale è avvolto da un clima di violenza,
svuotato da un cammino relazionale. La teologia di San Tommaso, che ha esteso
il fine procreativo a tutti gli atti sessuali genitali, ha posto in campo un
finalismo di tipo organico, identificando natura e biologia. Certamente, la
posizione di san Tommaso è frutto del suo tempo, vale a dire l’alto medio evo,
epoca in cui il disprezzo per il piacere era sinonimo di virtù. Tutto ciò va
visto nel quadro della prospettiva ecclesiologica del tempo di San Tommaso,
periodo in cui il papato prende sempre più il sopravvento e la dicotomia tra
laici e chierici si radicalizza. L’ideale ascetico proposto come modello unico
di santità e il celibato come esigenza evangelica più alta che definisce il
vero cristiano, hanno gettato un’ombra profonda sul significato del piacere
sessuale, considerato come una devianza dal fine naturale. In questa
prospettiva, il fine unitivo e relazionale ha sempre faticato ad essere compreso
nella sua valenza etica e valoriale, perché contraddiceva con ciò che era
considerato in modo assoluto come il vero valore della sessualità, vale a dire
quello procreativo. Recuperare la positività del piacere sessuale come elemento
significativo della valenza relazionale dell’amore è, senza dubbio, uno dei
grandi compiti del cammino attuale della Chiesa. Come sostiene Erik Borgman,
solamente ricollocando al centro del dibattito etico il senso autentico della
felicità, considerandolo come fine generale dell’uomo, sarà possibile
distanziarsi da ogni tentazione di fissare e irrigidire la natura, per
mantenerla aperta al sentire concreto dell’uomo e della donna, per evitare di
farsi troppo male[8].
Per Migliorini, sia rimanendo nell’orizzonte delle categorie proposte dalla
Chiesa sulla sessualità, sia all’interno del paradigma della Legge morale
naturale, non è possibile escludere l’omosessualità dalle espressioni
moralmente valide della sessualità. Per dare pieno valore a questa affermazione
è necessario definire meglio il carattere oggettivo della sessualità e
comprendere meglio il concetto di normalità sessuale. Alcuni casi tragici della
storia, come ad esempio l’antisemitismo, c’insegnano che spesso i giudizi di
normalità dipendono dai modelli sociali predominanti e anche il senso comune di
tutto un popolo può, in alcune circostanze, sbagliare. Non solo il termine
normale è soggetto ai condizionamenti culturali, ma assume anche significati
diversi nelle diverse discipline. Da un punto di vista generale, si può
ritenere normale ciò che rispetta il bene della persona umana. C’è allora, un’idea
di normalità che è complessa, come d'altronde è complessa la persona umana.
Secondo Thévenot l’idea di normatività sessuale “si sposta un po’ alla volta verso un’idea di normatività relazionale”[9]. In questa prospettiva,
occorre integrare il discorso della sessualità all’interno della complessità
della personalità. La normalità considerata dal punto di vista personalista,
più che essere una definizione astratta, è un compito da realizzare.
Il problema dell’identità delle persone
omosessuali, problema evidenziato dal tema della natura degli atti omosessuali,
va di pari passo con l’altro importante e significativo problema del
riconoscimento. Misconoscere la persona omosessuale parlando di devianza o di
atti intrinsecamente cattivi, significa negarla sia sul piano dell’identità
personale, che di quello di un riconoscimento sociale. Il cammino del
riconoscimento delle differenze è sullo stesso sentiero del principio
dell’uguaglianza. Riconoscere il valore dell’unione di persone omosessuali
significa prendere sul serio il valore unitivo del matrimonio, vale a dire il
valore della responsabilità di prendersi cura dell’altro, in una relazione di
fedeltà. Secondo Migliorini, riconoscere le unioni di persone omosessuali
sarebbe anche un segnale positivo per i giovani adolescenti omosessuali, che
percepirebbero la possibilità di vivere seriamente una futura possibile
relazione con un partner, uscendo dai torbidi e negativi cammini delle forme
discriminatorie. L’autore si chiede se sarebbe possibile arrivare non solo a
celebrazioni civili di persone omosessuali, ma anche di matrimoni religiosi,
benedicendo davanti a Dio questo tipo di relazioni. “Riconoscere alcuni diritti civili alla coppia omosessuale (assistenza
reciproca, assegnazione di case, reversibilità della pensione, eredità, ecc.)
negando il vero e proprio matrimonio, dove condurrebbe?”[10]. Le coppie omosessuali
chiedono di potersi prendere pubblicamente e reciprocamente un impegno
consensuale. In questo modo, viene espresso il significato unitivo del matrimonio
cristiano, poiché dice dell’impegno reciproco tra due persone legate da un
sentimento d’amore, impegno dunque di fedeltà. L’unione omosessuale, che
riconosce il valore del fine unitivo e della responsabilità nella fedeltà del
patner, la rendono testimonianza dell’amore cristiano. Un suo riconoscimento,
sostiene Migliorini, conferma e rafforza l’antropologia cattolica, la quale non
può essere ridotta a un’antropologia fondata sulla perpetuazione della specie[11]. La coniugalità nei suoi
aspetti di fedeltà e indissolubilità può essere attribuita alla coppia
omosessuale che sceglie d’impegnarsi in un progetto di fedeltà. Migliorini,
nella sua argomentazione, insiste nell’evidenziare la positività dell’aspetto
relazionale dell’amore omosessuale che, per certi aspetti diventa feconda,
perché arricchisce i soggetti coinvolti, dando loro nuova vita, una prospettiva
futura, in altre parole una progettualità. In questa prospettiva, le persone
omosessuali escono dall’ambito in cui la società le ha collocate, vale a dire
nella sfera dei richiedenti diritti, ma potranno esercitare i loro carismi,
esprimendo la loro possibilità di amare con responsabilità e in piena libertà.
Anche se non verrà usato il termine matrimonio a livello sacramentale, ma la
benedizione di due persone omosessuali che si promettono amore fedele
reciproco, avrà il valore di riconoscimento del significato umanizzante di una
relazione omosessuale stabile. (Ricordarsi d’inserire la riflessione sulla
realtà alla fine del capitolo sull’interpretazione della bibbia)
[1]
BROGLIATO, B.-MIGLIORINI, D., L’amore
omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una
nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014
[2]
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE (CTI), Legge
naturale ed etica universale, in Il Regno 17 (2009), n 59
[3]
Cfr. CTI, Legge naturale ed etica
universale, cit., n 113
[4]
MIGLIORINI, L’amore omosessuale, cit. p. 228. La stessa idea è ripresa da papa
Francesco nell’Amoris Laetitia al
capitolo otto quando afferma: “E’ vero
che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né
trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente
tutte le situazioni particolari” (n. 304).
[5]
Ivi, p. 231.
[6]
Ivi, p. 235
[7]
PEINADO, V., Liberazione sessuale,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2004
[8] Cfr.
BORGMAN, E., Non “fissare” la natura in
termini statici. Omosessualità e innovazione della legge naturale, in
Concilium 1 (2008), p. 92-104. “Vanno bene il dovere, la responsabilità, le
virtù e anche la rinuncia, ma se manca il riferimento ultimo alla felicità, un
sistema etico non sta in piedi” (ivi., p. 100).
[9]
THEVENOT, X., Omosessualità maschile e
morale cristiana, Leumann-LDC Torino 1991, p. 104
[10]
MIGLIORINI, L’amore omosessuale, cit.
p. 324
[11]
MIGLIORINI, L’amore omosessuale,
cit., p. 327
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