giovedì 18 ottobre 2018

NEL SILENZIO DEL PADRE. INDICAZIONI PER USCIRE DALLA RELIGIONE MALATA






Paolo Cugini

Me lo chiedo spesso ultimamente e non riesco a trovare una risposta, una qualsivoglia ragione plausibile, perché molto probabilmente ragione non c’è. Ci saranno delle motivazioni estetiche, erotiche, pansessuali, ma di evangelico non si vede nulla all'orizzonte. Mi chiedo, allora, come mai ci sono cristiani che hanno bisogno di eventi miracolosi per sentire la presenza di Dio? Come mai, ci sono persone che si dicono cristiane e che cercano costantemente l’apparenza pomposa, le manifestazioni eclatanti, lo sfarzo liturgico come segno del sacro? Pensavo che tutta questa roba, dopo il Concilio Vaticano II, fosse finita ammuffita in soffitta. E invece no, ci sono i nostalgici di turno che la ritirano fuori, la ripuliscono e se la mettono anche addosso, dimostrando un cattivo gusto demodé ma, soprattutto, manifestando un’incapacità cronica di accompagnare i tempi, di leggere dentro la storia i segni dei tempi, di una presenza di Dio che esige altro per essere identificata e, quindi, incontrata. Come si fa a pensare che per essere cristiani occorre tenere le manine giunte, il capo chino, vestire una cotta con dei pizzi inamidati, inginocchiarsi nel modo giusto? Pensavo, ripeto, che la storia di Gesù che viene nel mondo non in un palazzo regale, ma in una mangiatoia, fosse servita a qualcosa, fosse stato chiaro come d’ora innanzi Dio avesse deciso di farsi incontrare che, tra l’altro, è il modo che da sempre il Dio biblico desidera essere incontrato: e invece no. Ci sono strutture culturali formatesi nei secoli che sono durissime a morire, anzi per certi aspetti non muoiono mai, ma riappaiono sotto forme diverse nelle nuove strutture. Una di queste è il sacro, che sopravvive al cristianesimo e riappare nelle sue forme più pagane soprattutto nei momenti di crisi della civiltà, momenti in cui la paura dell’ignoto e dell’imprevedibile esige delle rappresentazioni sacrali che il cristianesimo ha cancellato per sempre, ma che la dimensione istintuale dell’uomo esige. Il sacro è, per certi aspetti, la pancia della religione.

Se c’è bisogno di pontificali per dimostrare la trascendenza di Dio nella storia, significa che abbiamo abbandonato il cammino del mistero. Se per mostrare che Dio esiste c’è bisogno di pizzi e merletti, di sontuose processioni con tanto di candelabri e crocefissi d’oro e una pompa sfarzosa per far vedere qualcosa di differente da ciò che è umano, allora siamo arrivati alla frutta della religione. Anzi siamo arrivati proprio al cuore della religione, a quella religione che non è cristianesimo; a quella religione che Gesù ha combattuto durante la sua attività pubblica e, per causa di questa lotta è finito in croce. E’, difatti, la religione dell’uomo, costruita dalle sue mani, elaborata dalla sua fantasia, voluta da lui. È la religione pagana, una manifestazione dell’ateismo o dell’antropomorfismo mascherato per qualcosa di sacro, quando di sacro non vi è nulla. È la religione che l’uomo si costruisce per sentirsi bene, per calmare i sensi di colpa. Si tratta dunque, di un farmaco e, nella fattispecie, un analgesico, che si prende in dosi costanti, sotto forma di riti, quindi, per mantenere sotto controllo il mal di testa. Riti e feste così dette religiose, elementi di quella cultura pagana retaggio dell’ancestrale bisogno di protezione dalle forze oscure del cosmo che, nonostante la tecnologia e la scienza, ancora oggi sono necessarie per una salutare presenza serena nel mondo. Lo sappiamo molto bene che chi vive sotto prescrizioni farmacologiche significa che proprio bene non sta. C’è tutta una religione che serve per tranquillizzare l’angoscia del vuoto prodotto dall'insoddisfazione della vita, dalle carenze affettive, che bruciano dentro di noi e non ci lasciano dormire. Abbiamo bisogno di riempirci la pancia di qualcosa per sentirci pieni e non soffrire troppo. Abbiamo bisogno di sballare la mente, quando non abbiamo avuto la pazienza di ricucire le ferite della vita con il balsamo dell’amore, cadendo in quella disperazione profonda che sembra senza fine. E allora, corriamo alla ricerca di qualcosa che possa lenire il dolore, anche solo per un po'. Sento una profonda pena per quell'umanità disperata che si riversa nelle chiese alla ricerca di quella cura miracolosa, che possa produrre un po' di quella pace che sarebbe dovuta venire se avessimo curato maggiormente la nostra interiorità, dedicando un po' più del nostro tempo a noi stessi, ad ascoltarci, a cercare risposte profonde e non analgesici immediati. Provo una grande tristezza quando vedo le chiese traboccanti di gente accorsa da tutte le parti per ascoltare l’ultimo ciarlatano di turno, pronto ad offrire esorcismi, a scacciare demoni, in altre parole, ad offrire l’ennesima scorciatoia della vita per chi questa bellissima vita dono di Dio, l’ha riempita di cose, svuotandosi l’anima. Quando la religione serve per silenziare i sensi di colpa, significa che Dio è sparito dall'orizzonte della nostra esistenza.

Guardare a Gesù, a come Lui ha affrontato la vita, a come si è messo in relazione con il Padre: è il nostro compito attuale per uscire dalla religione come analgesico e riscoprire l’autentico cammino della fede. Guardare a Gesù, al tempo che ha dedicato alla meditazione, al silenzio, alla riflessione, alla solitudine, per uscire dai cammini disperati delle masse anonime, che vogliono a tutti i costi riempirsi la pancia del divino. Guardare a Gesù, per imitarlo nel suo modo di mettersi in silenzioso ascolto del Padre, per assimilare quella Parola capace di comprendere il cammino da compiere in ogni momento dell’esistenza. Guardare a Gesù, per imparare da Lui a gustare l’amore del Padre che viene al nostro incontro senza che noi ce ne accorgiamo. Perché Lui sa di che cosa abbiamo bisogno: basta solo cercarlo e trascorrere del tempo con Lui. In silenzio.

4 commenti:

  1. Iqmportante è voler donare l amore che Dio ci ha dato e ci dona tuttora, senza giudicare, il bello è come riuscire a donare agli altri... quali scelte fare ... per riuscire.
    Tu e don Eugenio mi avete fatto vedere nei vostri occhi e nelle vostre parole l amore di Dio. Voglio provarci anche io. Buona giornata! Cristina

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  2. Non è facile trovare il Silenzio,anche quando lo si cerca,non è facile abbandonare la fretta per fermarsi e ascoltare di cosa ha bisogno la nostra anima,occorre molta pazienza e attendere che Lui parli al cuore e attendere che comprendiamo il significato della nostra sofferenza per renderci sempre più fini e sensibili all'altrui sofferenza e riempirci di Dio.Occorre allenarsi alla preghiera,alla pace e alla condivisione col prossimo.Tu don Paolo spesso ci ricordavi e ci ricordi che Gesù spesso si ritirava in preghiera,solo,in disparte,per rigenerarsi e invitava i suoi discepoli a farlo,quante volte ci hai detto di amarci,di curarci ritirandoci in preghiera e di visitare le Chiese che sono aperte e dove c'è il Tabernacolo che ci attende.
    Credo di essere fortunata perchè ,se nel cammino ho incontrato formalismi (pizzi e merletti e modi specifici per inginocchiarsi,ciarlatani di turno,devozioni malate,ecc) non me ne sono accorta o comunque credo di non averli fatti miei.O forse ho visto e vedo solo il buono delle cose.Luce e Ombra sono in tutte le cose.
    Ho avuto buoni maestri,ma la strada è lunga e non tutta diritta o piana,la strada è lunga tutta la vita.
    Profonde come sempre le tue riflessioni.
    Teresa

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  3. Suggerisco agli amanti del sacro di prendete in mano il piccolo libro Ruth nella Bibbia dove il pane che sazia viene Donato dagli stranieri e dai diseredato e cresce nel duro lavoro delle spigolatrici e nelle relazioni umane e quotidiane....qui si trova il vero (ben diverso dal sacro)...nello spezzare le gioie e le gioie e le fatiche di chi vive con noi...anzi nel lasciarsi spezzare per Dio e per gli altri...questo quanto mi fa risuonare dentro il tuo scritto....ciao Pablo e grazie...anto

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  4. “Oggi”, scrive il cardinale Robert Sarah ne ‘La forza del silenzio’, “si moltiplicano le immense celebrazioni eucaristiche composte da migliaia e migliaia di partecipanti” che altro non fanno se non favorire il pericolo di “trasformare l’eucaristia, il grande mistero della fede, in una banale kermesse”. Aggiunge il cardinale: “I preti che distribuiscono le sacre specie non conoscono nessuno e danno il corpo di Gesù a tutti, senza discernimento tra i cristiani e i non cristiani, partecipano alla profanazione del santo sacrificio eucaristico”. Il risultato di queste “gigantesche e ridicole autocelebrazioni” è che “davvero pochi comprendono che ‘voi annunciate la morte del Signore affinché egli venga’”. Di nuovo, serve silenzio. “Non illudiamoci. Questa è la cosa veramente urgente: riscoprire il senso di Dio”. Ha aggiunto ancora: “Il Padre si lascia avvicinare solo nel silenzio. Ciò di cui la chiesa ha più bisogno oggi non è una riforma amministrativa, un altro programma pastorale, un cambiamento strutturale. Il programma c’è già: è quello che abbiamo sempre avuto, tratto dal Vangelo. È centrato su Cristo stesso, che dobbiamo conoscere, amare e imitare, per vivere in Lui e per Lui, per trasformare il nostro mondo che è degradato, perché gli esseri umani vivono come se Dio non esistesse”. Grazie, don Paolo, per le tue profonde riflessioni.

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