Paolo
Cugini
Il
dato immediato per cui diviene identificabile la religione come struttura
culturale è, senza dubbio, il sacro. C’è tutto un materiale culturale che viene
declinato come rito e simbolo, che si è venuto strutturando nel tempo per
descrivere la relazione dell’uomo con l’ignoto, al quale si è trasferita la
causa degli eventi razionalmente indescrivibili. Come ci ha sapientemente
illustrato Mircea Eliade nei sui
studi di fenomenologia della religione, nella maggior parte dei gruppi sociali
da lui studiati, che vanno dall’India all’America Latina, è possibile
riscontare sempre persone specifiche che nel gruppo assumono la competenza per
mediare con il sacro. Esiste tutta una sfera di fenomeni che richiedono
competenze e conoscenze specifiche e, senza di queste, è possibile provocare
reazioni nocive non solo per l’individuo, ma anche per l’intera comunità. Il
sacro, dunque, non è mai solamente un fenomeno che chiama in causa il singolo
soggetto, ma soprattutto il gruppo, la comunità. C’è qualcuno in mezzo alla
comunità che, o per dinastia, o per selezione, viene collocato per mediare tra
il fenomeno sacrale e il gruppo sociale. C’è tutta un’arte che viene tramandata
oralmente o, raramente, in forma scritta, tra coloro che avranno il compito di
svolgere questo delicato compito di relazionarsi con il sacro. Non tutti, nella
comunità, possono avvicinarsi al sacro e, soprattutto, possono comprendere le
sue manifestazioni. Occorre sempre far riferimento a colui che nel gruppo è
stato indicato e che possiede le conoscenze tramandate nel tempo per compiere
questo delicato e fondamentale compito. Questo fenomeno sacrale fatto di
sacerdoti, di riti e di simboli che è passato sotto il nome di religione,
rivela un’intuizione arcaica di come l’uomo e la donna si percepiscono nel
cammino della storia: non siamo soli. Ci sono forze ignote che interagiscono
con gli uomini e le donne e che vanno gestite, per certi aspetti controllate,
incanalate. Gesù, con la sua venuta, ha distrutto questo principio di
differenziazione. Attraverso di Lui, d’ora innanzi, tutti possono accedere al
sacro, perché il suo Spirito ci ha resi sacerdoti, profeti, re.
Le
strutture culturali si formano nel tempo e passano attraverso i secoli.
Germinano dall'istinto di sopravvivenza e, di conseguenza, rispondono non a
logiche razionali, ma istintuali. L’istinto di sopravvivenza è il legame più
forte con la vita. Qualsiasi forma culturale si struttura su basi istintuali.
Ce lo insegna l’antropologia culturale che i meccanismi messi in atto a tutte
le latitudini della terra e in tutte le epoche della storia, funzionano in
questo modo. Levis Strauss, il grande
antropologo francese, in uno dei suoi famosi studi, dimostrava come la
proibizione dell’incesto, sorto per salvare la comunità dall’estinzione,
promovendo un meccanismo di uscita dalla comunità per riprodurre la specie, si
trova in tutti i popoli, nonostante non ci sia stato contatto tra essi. Ci sono
strutture culturali che contraddistinguono la specie umana, perché riflettono
il bisogno di sopravvivere e di difendersi dagli attacchi, qualsiasi essi
siano, della morte. La religione è una di queste strutture culturali sorte
dall’istinto di sopravvivenza, costruitasi attorno alla paura dell’ignoto.
Essendo una struttura si definisce nel tempo. Ciò significa che le sue
caratteristiche, che la specificano e che la rendono identificabile rispetto ad
altre, dipendono dall’elaborazione che avviene nel tempo e dal conseguente
processo di adattamento. Sono questi i motivi che rendono una struttura così
solida e difficilmente deperibile nel breve periodo. Al massimo, una struttura
culturale può modificare elementi costitutivi del suo sistema in un determinato
periodo storico di crisi, rimanendo, in ogni modo, identificabile nelle sue
peculiarità. È questo, credo, il grande insegnamento di Thomas Khun quando,
analizzando le rivoluzioni culturali, in modo particolare, la rivoluzione
copernicana, ha dimostrato come il cambiamento di una struttura formatasi e
consolidatasi nel tempo, avviene solamente quando sono disponibili al
cambiamento una serie di elementi che costituiscono la medesima struttura.
In
qualsiasi religione e, dunque, anche nel cristianesimo, permangono come
detriti, le forme pagane del sacro, vale a dire quelle forme culturali sorte
dalla rielaborazione dell’istinto di sopravvivenza nei confronti dell’ignoto,
attraverso gli strumenti culturali a disposizione nel momento dell’elaborazione.
Il processo d’inculturazione che il
cristianesimo ha vissuto nei primi secoli della sua era, ha prodotto
l’assimilazione di alcuni elementi presenti nelle religioni misteriche attive a
quell’epoca. Certamente si è trattato di un processo di assimilazione non
passiva, ma creativa, un processo di elaborazione degli elementi assimilati che
ne ha caratterizzato la specificità. Questo fenomeno di assimilazione e
trasformazione, come sappiamo, non ha solo riguardato alcuni elementi delle
religioni misteriche, ma anche della cultura filosofica. I concetti di essere,
essenza, persona – solo per citarne alcuni – sono concetti della filosofia
greca, assimilati nelle argomentazioni teologiche. Questo processo di
assimilazione di concetti della filosofia greca è ben visibile, ad esempio, nel
Credo niceno-costantinopolitano. Assimilazione e trasformazione sono momenti
del cammino d’inculturazione del cristianesimo che, da un lato ha saputo
valorizzare i contenuti della cultura del tempo, mostrando un’attenzione e una
capacità di penetrazione significativa; dall’altra ha mostrato la novità e,
allo stesso tempo la forza, del proprio apparato concettuale nei confronti
della cultura pagana. La capacità d’inculturarsi, vale a dire di valorizzare in
modo creativo ciò che si trova su di un territorio culturale, lo ha insegnato
lo stesso Gesù. Le parabole sono l’espressione più limpida della capacità di
Gesù di osservare con attenzione le situazioni esistenziali che
caratterizzavano il mondo circostante in cui si trovava a vivere, per
assorbirne i significati profondi trasformandoli nei significati che voleva
offrire alle persone che lo seguivano. Assimilazione e trasformazione creativa
sono, dunque, momenti fondamentali di qualsiasi processo d’inculturazione, che
permettono ad una struttura di mantenersi in vita sulle basi di ciò che
incontra, offrendo la novità dei propri contenuti.
Il
problema, a questo punto del discorso, non è constatare le forme dei detriti
del sacro, ma come nel cristianesimo si sia fatto di tutto per mantenerle in
vita, nonostante sia in una relazione di idiosincrasia con il centro del suo
messaggio che è il Vangelo. Come mai? Credo che la risposta immediata sia data
dal fatto che è più facile controllare il potere temporale con le forme
arcaiche del sacro, che con la spoliazione evangelica proposta da Gesù. Seguire
il maestro significa decidere ricercare solo ed esclusivamente la gloria del
Padre. Non è un caso che il fenomeno più eclatante e significativo dei primi
secoli della Chiesa, sia stato l’eremitaggio nel deserto e il monachesimo,
fenomeni che possono essere racchiusi nella spiritualità della fuga del mondo. In
questi ambienti di altissima spiritualità evangelica, ciò che davvero conta è
seguire le orme del maestro e, di conseguenza, non c’è il minimo spazio per
l’apparenza, la gloria, la ricerca del potere. Non a caso, in queste esperienze
religiose troviamo pochissime tracce dei detriti del sacro inteso in senso pagano,
ma un costante sforzo di elaborazione di rappresentazioni del nuovo volto del
sacro manifestato in Gesù Cristo. Un sacro che, nel cammino presentato da Gesù,
diviene umano, esageratamente umano, per dirla con Nietzsche. È questo che
confonde gli adoratori del sacro, gli avidi di potere che in ogni epoca e in
ogni società hanno fatto di tutto per andare a braccetto con i sacerdoti degli
idoli umani. Idolo diventa anche il cristianesimo tutte le volte che si presta
ai giochi di potere, dimenticandosi di essere nel cammino di Colui che è venuto
per servire e non per essere servito.
Buongiorno,
RispondiEliminagrazie per le riflessioni molto vere e vive.
Su questo tema del sacro sto riflettendo in questo periodo.
Mi pare che anche le nostre liturgie, preghiere, spesso siano forme di rifugio, che ci fanno sentire al sicuro e a posto senza metterci in discussione. A volte solo una ripetizione.
Forse bisognerebbe avere il coraggio di fare senza, di fare un digiuno serio da tutte le forme attuali e di riavvicinarci a Gesù, alla sua umanità, al suo modo umano di rapportarsi col Padre e con le persone e incontrare semplicemente le persone, ascoltarle per pensare parole nuove da dire, forme nuove.
A volte penso che è un cammino anche rischioso perchè vuol dire camminare al buio, senza sicurezze.
"Assimilazione e trasformazione creativa sono, dunque, momenti fondamentali di qualsiasi processo d’inculturazione, che permettono ad una struttura di mantenersi in vita sulle basi di ciò che incontra, offrendo la novità dei propri contenuti..."
Le chiedo se e come riesce a vivere queste cose nella sua esperienza pastorale, se ha fatto dei tentativi e se mi può fare qualche esempio.
Grazie
Elisabetta
se mi dici chi sei ne possiamo parlare a voce
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