Immagine che si trova nella cappella della UCA |
Paolo
Cugini
Il
nostro viaggio continua visitando i luoghi del martirio di una chiesa che ha
pagato un prezzo durissimo per aver abbracciato la croce di Cristo e vissuto
fin in fondo il Vangelo.
Abbiamo
visitato la parrocchia in cui il 20 gennaio 1979 padre
Octavio Ortiz, un giovane prete di 34 anni e quattro giovani che
partecipavano ad un ritiro spirituale, furono barbaramente uccisi da un grande
contingente della forza di sicurezza nazionale. Il costante lavoro nelle
Comunità Ecclesiali di base di padre Octavio è stato il motivo per accusarlo di
sovversivo e comunista. I regimi dittatoriali non tollerano qualsiasi tipo di
pensiero contrario e, di conseguenza, colpiscono ogni forma che possa indurre
il popolo a pensare e cioè ad aprire loro gli occhi. Ebbene, i quadri del
potere politico e militare, interpretarono le giornate di ritiro spiritale, che
padre Octavio stava realizzando con un gruppo di quaranta giovani dai 13 ai
vent’anni, come un momento di riunione sovversiva, comunista e, quindi, anti-governativa.
Nella sala parrocchiale sono affissi i quadri di padre Ottavio e dei quattro
giovani uccisi. L’obiettivo è mantenere viva la memoria, anche perché, uno
degli strumenti più forti della dittatura è la menzogna, il fare di tutto per
eliminare le prove dei loro misfatti. I tanti morti che il popolo salvadoregno
ha sofferto negli anni della guerra civile (1980-1992) sono dovuti anche al
tentativo costante di eliminare qualsiasi testimone.
Immagine di padre Octavio Ortiz nella parete del salone parrocchiale |
Poema in memoria di pe Octavio |
Pomeriggio
alla UCA (Università del Centro America, fondata dai gesuiti nel 1965) teatro
di uno dei più violenti e impressionanti massacri da parte della forza di
sicurezza nazionale. Come ci ha spiegato la prof.ssa Suyapa
si è trattato di un vero e proprio agguato studiato a tavolino e organizzato, affinché
non fuggisse nessuno di quelli che il potere aveva deciso di uccidere, di
togliere di mezzo. Da un settore ultra-conservatore dei comandanti militari
dell’esercito salvadoregno, i padri gesuiti, che detenevano l’alta direzione e
la cattedra all’interno dell’università, erano considerati sospetti di appoggiare
la Teologia della Liberazione e, di conseguenza, di appoggiare i guerriglieri
del FMNL (Fronte per la liberazione della Nazione) e per questo sovversivi. Il
16 novembre del 1989 in un attacco ben orchestrato dalle forze dell’esercito,
vengono uccisi sei sacerdoti della Compagnia di Gesù (gesuiti), assieme a due
impiegate domestiche. Gli autori del crimine, oltre ad aver bruciato il Centro
Oscar Romero, lasciarono prove false per accusare la guerriglia del misfatto. Le
vittime furono:
·
Ignacio Ellacuria (spagnolo, rettore dell’Università)
·
Ignacio Martin Barò (spagnolo, vicerettore
accademico)
·
Segundo Montes (spagnolo, direttore dell’istituto
dei Diritti Umani dell’UCA)
·
Juan Ramon Moreno (spagnolo, direttore
della biblioteca di teologia)
·
Armando Lopez (spagnolo, professore di
filosofia)
·
Joaquin Lopez y Lopez (salvadoregno,
fondatore dell’università e stretto collaboratore)
·
Elba Ramos (Salvadoregna, impiegata
domestica)
·
Celina Ramos (salvadoregna, impiegata
domestica)
Entrando
nella cappella dell’università sono ben visibili sulle pareti pitture
raffiguranti persone torturate. Sempre all’interno dell’UCA è stato riservato
uno spazio che mantiene viva la memoria del martirio dei gesuiti, dei massacri
e delle torture realizzate in quegli anni. C’è, infatti, un museo, non solo con
gli oggetti personali dei gesuiti, ma anche un archivio di foto terrificanti
delle persone uccise e torturate. E’ la testimonianza di una violenza
spaventosa con l’obiettivo unico di far tacere per sempre i testimoni della
verità, facendo di tutto per cancellare le prove. C’è un canto della liturgia
brasiliana che dice: “se fate tacere la
voce dei profeti, le pietre parleranno”. E’ proprio questo che è successo a
San Salvador. Il potere politico- militare non sopportava le accuse dei
gesuiti, che costantemente lo accusavano delle ingiustizie nei confronti dei
poveri e dei contadini.
La prof.ssa Puyapa ci spiega gli eventi avvenuti nella UCA |
Immagini che ritraggono i sei gesuiti e le due domestiche morte nell'agguato del novembre 1989 |
Cappella della UCA |
Diceva
Ignacio
Ellacuria, considerato la mente del gruppo dell’UCA: “Occorre fare tutto il possibile affinché la
libertà sia vincente sull’oppressione, la giustizia sull’ingiustizia, e l’amore
sull’odio”. Parole che sanno di Vangelo e che, per questo, davano fastidio
a chi aveva la coscienza sporca, per chi sfruttava i poveri contadini per il
proprio profitto. La prof.ssa Suyapa ci ricordava che Ignacio Ellacuria: “era uno stretto collaboratore di Monsignor Oscar
Romero; e quando fu assassinato, la sua voce di denuncia, la radicalizzazione
del suo impegno verso i più poveri, la critica dell'oligarchia, del potere
politico e militare, crebbero così tanto da divenire scomodi allo Stato e alla
classe dirigente che lo uccisero assieme ai suoi compagni di lotta. La sua
morte, lungi dall'affogare il suo pensiero, è diventata un'eco che ha
risuonato, non solo nel popolo salvadoregno, che non lo dimenticherà mai, ma in
tutto il mondo, diffondendo e studiando il suo lavoro, acquisendo nuove
dimensioni di rilevanza sociale, significato intellettuale e influenza
religiosa”.
Parete centrale della cappella della UCA |
Ascoltando
le testimonianze di questa chiesa martirizzata del Centro America,
testimonianze che fanno eco ai martiri della chiesa sudamericana, fa molto
pensare la piega carismatica che ha preso il cammino ecclesiale di questa
regione. Mi chiedo: com’è stato possibile? Com’è possibile passare da un cammino
di chiesa che si fa povera per camminare assieme ai poveri al punto di
rischiare la propria vita, cammino che incarna il Vangelo, denunciando senza
paura le ingiustizie dei potenti, ad una cammino ripiegato nel tempio,
riducendo il rapporto con Dio alla sfera intimistica, senza alcun rapporto con
la realtà circostante, anzi infischiandosene proprio? Per non parlare, poi,
dello stile ecclesiale che troviamo a casa nostra in Italia, che per esprime la
relazione con Dio abbiamo bisogno di liturgie sfarzose, i famosi pontificali.
Eppure, i martiri salvadoregni, c’insegnano che il cammino tracciato da Gesù e
da loro fedelmente incarnato e contestualizzato, si realizza non nel tempio, ma
sulla strada, non con liturgie e canti che parlano di un divino tutto schiacciato
sullo spirituale, ma di un Dio incarnato nella vita dei poveri. Il sangue dei
martiri salvadoregni ci richiama al Vangelo di Gesù, al suo amore per noi, all’amore
di Gesù per il Padre, un amore che, facendosi carne, diviene denuncia contro le
forme di oppressione e di sopruso. E’ di questo Vangelo che abbiamo bisogno. E’
la fede nel Dio che si è manifestato in Gesù Cristo che deve alimentare la
nostra anima, e non la religione alienante, che ci distoglie dai problemi che
esigono, invece tutta la nostra attenzione e la nostra capacità di
discernimento. E’ il sangue dei martiri che da sempre fa la chiesa, perché la
riporta alla sua origine, l’amore crocefisso di Cristo, alimento della nostra
vita che dà significato ai nostri giorni.
Concordo su tutto. Rifugiarsi in un rapporto intimistico e celebrare liturgie è più facile rispetto all'impegno pratico e coerente con Vangelo, fa tacere la cosciena e risacralizza Dio. Non Dio con noi ma Dio nei cieli. Come avevi detto tu in un commento domenicale al Vangelo.
RispondiEliminaO Deus do amor alimenta as almas dos humanos pela fé...Fé essa que manifestou em Jesus e estar no nosso meio.
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