giovedì 30 agosto 2018

UNA CHIESA BAGNATA DAL SANGUE DEI MARTIRI

Immagine che si trova nella cappella della UCA




Paolo Cugini

Il nostro viaggio continua visitando i luoghi del martirio di una chiesa che ha pagato un prezzo durissimo per aver abbracciato la croce di Cristo e vissuto fin in fondo il Vangelo.

Abbiamo visitato la parrocchia in cui il 20 gennaio 1979 padre Octavio Ortiz, un giovane prete di 34 anni e quattro giovani che partecipavano ad un ritiro spirituale, furono barbaramente uccisi da un grande contingente della forza di sicurezza nazionale. Il costante lavoro nelle Comunità Ecclesiali di base di padre Octavio è stato il motivo per accusarlo di sovversivo e comunista. I regimi dittatoriali non tollerano qualsiasi tipo di pensiero contrario e, di conseguenza, colpiscono ogni forma che possa indurre il popolo a pensare e cioè ad aprire loro gli occhi. Ebbene, i quadri del potere politico e militare, interpretarono le giornate di ritiro spiritale, che padre Octavio stava realizzando con un gruppo di quaranta giovani dai 13 ai vent’anni, come un momento di riunione sovversiva, comunista e, quindi, anti-governativa. Nella sala parrocchiale sono affissi i quadri di padre Ottavio e dei quattro giovani uccisi. L’obiettivo è mantenere viva la memoria, anche perché, uno degli strumenti più forti della dittatura è la menzogna, il fare di tutto per eliminare le prove dei loro misfatti. I tanti morti che il popolo salvadoregno ha sofferto negli anni della guerra civile (1980-1992) sono dovuti anche al tentativo costante di eliminare qualsiasi testimone.

Immagine di padre Octavio Ortiz nella parete del salone parrocchiale

Poema in memoria di pe Octavio

Pomeriggio alla UCA (Università del Centro America, fondata dai gesuiti nel 1965) teatro di uno dei più violenti e impressionanti massacri da parte della forza di sicurezza nazionale. Come ci ha spiegato la prof.ssa Suyapa si è trattato di un vero e proprio agguato studiato a tavolino e organizzato, affinché non fuggisse nessuno di quelli che il potere aveva deciso di uccidere, di togliere di mezzo. Da un settore ultra-conservatore dei comandanti militari dell’esercito salvadoregno, i padri gesuiti, che detenevano l’alta direzione e la cattedra all’interno dell’università, erano considerati sospetti di appoggiare la Teologia della Liberazione e, di conseguenza, di appoggiare i guerriglieri del FMNL (Fronte per la liberazione della Nazione) e per questo sovversivi. Il 16 novembre del 1989 in un attacco ben orchestrato dalle forze dell’esercito, vengono uccisi sei sacerdoti della Compagnia di Gesù (gesuiti), assieme a due impiegate domestiche. Gli autori del crimine, oltre ad aver bruciato il Centro Oscar Romero, lasciarono prove false per accusare la guerriglia del misfatto. Le vittime furono:

·         Ignacio Ellacuria (spagnolo, rettore dell’Università)
·         Ignacio Martin Barò (spagnolo, vicerettore accademico)
·         Segundo Montes (spagnolo, direttore dell’istituto dei Diritti Umani dell’UCA)
·         Juan Ramon Moreno (spagnolo, direttore della biblioteca di teologia)
·         Armando Lopez (spagnolo, professore di filosofia)
·         Joaquin Lopez y Lopez (salvadoregno, fondatore dell’università e stretto collaboratore)
·         Elba Ramos (Salvadoregna, impiegata domestica)
·         Celina Ramos (salvadoregna, impiegata domestica)

Entrando nella cappella dell’università sono ben visibili sulle pareti pitture raffiguranti persone torturate. Sempre all’interno dell’UCA è stato riservato uno spazio che mantiene viva la memoria del martirio dei gesuiti, dei massacri e delle torture realizzate in quegli anni. C’è, infatti, un museo, non solo con gli oggetti personali dei gesuiti, ma anche un archivio di foto terrificanti delle persone uccise e torturate. E’ la testimonianza di una violenza spaventosa con l’obiettivo unico di far tacere per sempre i testimoni della verità, facendo di tutto per cancellare le prove. C’è un canto della liturgia brasiliana che dice: “se fate tacere la voce dei profeti, le pietre parleranno”. E’ proprio questo che è successo a San Salvador. Il potere politico- militare non sopportava le accuse dei gesuiti, che costantemente lo accusavano delle ingiustizie nei confronti dei poveri e dei contadini.

La prof.ssa Puyapa ci spiega gli eventi avvenuti nella UCA

Immagini che ritraggono i sei gesuiti e le due domestiche morte nell'agguato del novembre 1989

Cappella della UCA

Diceva Ignacio Ellacuria, considerato la mente del gruppo dell’UCA: “Occorre fare tutto il possibile affinché la libertà sia vincente sull’oppressione, la giustizia sull’ingiustizia, e l’amore sull’odio”. Parole che sanno di Vangelo e che, per questo, davano fastidio a chi aveva la coscienza sporca, per chi sfruttava i poveri contadini per il proprio profitto. La prof.ssa Suyapa ci ricordava che Ignacio Ellacuria: “era uno stretto collaboratore di Monsignor Oscar Romero; e quando fu assassinato, la sua voce di denuncia, la radicalizzazione del suo impegno verso i più poveri, la critica dell'oligarchia, del potere politico e militare, crebbero così tanto da divenire scomodi allo Stato e alla classe dirigente che lo uccisero assieme ai suoi compagni di lotta. La sua morte, lungi dall'affogare il suo pensiero, è diventata un'eco che ha risuonato, non solo nel popolo salvadoregno, che non lo dimenticherà mai, ma in tutto il mondo, diffondendo e studiando il suo lavoro, acquisendo nuove dimensioni di rilevanza sociale, significato intellettuale e influenza religiosa”.

Parete centrale della cappella della UCA

Ascoltando le testimonianze di questa chiesa martirizzata del Centro America, testimonianze che fanno eco ai martiri della chiesa sudamericana, fa molto pensare la piega carismatica che ha preso il cammino ecclesiale di questa regione. Mi chiedo: com’è stato possibile? Com’è possibile passare da un cammino di chiesa che si fa povera per camminare assieme ai poveri al punto di rischiare la propria vita, cammino che incarna il Vangelo, denunciando senza paura le ingiustizie dei potenti, ad una cammino ripiegato nel tempio, riducendo il rapporto con Dio alla sfera intimistica, senza alcun rapporto con la realtà circostante, anzi infischiandosene proprio? Per non parlare, poi, dello stile ecclesiale che troviamo a casa nostra in Italia, che per esprime la relazione con Dio abbiamo bisogno di liturgie sfarzose, i famosi pontificali. Eppure, i martiri salvadoregni, c’insegnano che il cammino tracciato da Gesù e da loro fedelmente incarnato e contestualizzato, si realizza non nel tempio, ma sulla strada, non con liturgie e canti che parlano di un divino tutto schiacciato sullo spirituale, ma di un Dio incarnato nella vita dei poveri. Il sangue dei martiri salvadoregni ci richiama al Vangelo di Gesù, al suo amore per noi, all’amore di Gesù per il Padre, un amore che, facendosi carne, diviene denuncia contro le forme di oppressione e di sopruso. E’ di questo Vangelo che abbiamo bisogno. E’ la fede nel Dio che si è manifestato in Gesù Cristo che deve alimentare la nostra anima, e non la religione alienante, che ci distoglie dai problemi che esigono, invece tutta la nostra attenzione e la nostra capacità di discernimento. E’ il sangue dei martiri che da sempre fa la chiesa, perché la riporta alla sua origine, l’amore crocefisso di Cristo, alimento della nostra vita che dà significato ai nostri giorni.



2 commenti:

  1. Concordo su tutto. Rifugiarsi in un rapporto intimistico e celebrare liturgie è più facile rispetto all'impegno pratico e coerente con Vangelo, fa tacere la cosciena e risacralizza Dio. Non Dio con noi ma Dio nei cieli. Come avevi detto tu in un commento domenicale al Vangelo.

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  2. O Deus do amor alimenta as almas dos humanos pela fé...Fé essa que manifestou em Jesus e estar no nosso meio.

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