SABATO 11 NOVEMBRE 2017
I POVERI NON SONO UN PROBLEMA
Sintesi:
Paolo Cugini
Come
l’esperienza della Caritas parrocchiale può contaminare positivamente la
comunità.
Tavola
rotonda:
Domanda:
si tratta di valorizzare la vota delle persone fragili come soggetti attivi
dell’azione apostolica. Non si può considerare i poveri solo oggetto della
Carità. Abib, quando sei entrata in Casa di Carità ti sei sentita accolta?
Abib: vengo
dall’Albania. Subito ho avuto paura. Un ospite mi è venuto a dare un bacio e
questo mi ha sorpreso. Non ho fatto fatica ad inserirmi nella casa. Il parroco
è divenuto per Nicola un punto di riferimento, un papà per mio figlio. Significativi
sono stati certi incontri. Ad esempio Marina, una mamma ucraina con un tumore.
Mi sono sentita ospite tra gli ospiti; le persone della casa sono divenute miei
fratelli e sorelle. Ho trovato una nuova famiglia. Chi mi ha ascoltato ha
capito i motivi della nostra fuga. Ho chiesto per me e mio figlio il cammino
per ricevere il Battesimo. Nella Casa di Carità ho capito cosa vuole dire
essere Chiesa.
Domanda:
Non pensiamo ai poveri solo come qualcosa che ci permette di fare volontariato.
Deve nascere una condivisione. Che cosa ha fatto la comunità con i profughi che
sono arrivati?
Alfredo: un
anno fa è arrivato un gruppo di ragazzi del Mali, tra i 17 e i 20 anni. Questi
ragazzi alloggiano in una casa della parrocchia. Abbiamo cominciato a
conoscerli nei campi estivi. E’ divenuta un’opportunità. L’arricchimento umano
è stato reciproco. Ci hanno aiutato a crescere.
Domanda: da
persona ospitata sei diventata ospitante. Cosa ne pensi che cosa ha detto il
Papa?
Anonimo: sono
stato accolto dalla Caritas e ho trovato persone molto umane. Poi mi sono prodigato
ad aiutare gli altri e adesso gestisco il dormitorio Caritas. Il dono genera
reciprocità.
Passare
dall’assistenza alla relazione.
Calcaterra:
dobbiamo uscire dal paradigma dell’io, per arrivare al paradigma del noi, e
cioè facciamo assieme. Dobbiamo pensare ad arricchirci umanamente insieme.
DON ADOLFO MACCHIOLI
Direttore
Caritas diocesana di Savona.
1 Gv
1, 1-4a; Lc 10, 21-22. Due quadri per incominciare. Queste due immagini
c’introducono al tema della gioia. Non possiamo essere cristiani tristi. La
gioia innanzi tutto la riceviamo. Nella relazione esiste la diversità. E’ la
gioia che rende possibile la condivisione. La Carità non è una prestazione, non
è l’eccellenza. Finché la gioia non è condivisa, la gioia è mancante. Con Papa
Francesco la profezia è lui, è lui che ci anticipa. In ogni modo anche noi
abbiamo un compito di profezia, dobbiamo dire l’esigenza di Dio oggi. L’unica
profezia significativa è l’amore, perché dice di Dio. L’essere prossimo a chi è
nella solitudine, perché è questa la povertà più grande. E’ possibile ancora
vivere fidandosi: è questa la grande missione. Madre Teresa non faceva dire dei
rosari i poveri, ma lo lavava e li asciugava. E’ il gesto che parla. Dio si fa
prossimo e cammina con noi. Il nostro servizio è rendere possibile la
reciprocità. Non è un problema di metodo la carità, ma di contenuto e di
relazione. Il servizio non può essere misurato dal bisogno, ma della relazione
che abbiamo attivato. Il servizio ha senso nella misura che abbiamo attivato
relazioni. Ascoltare le fragilità della vita.
Jean Vanier: la comunità luogo del perdono e della festa. Non esiste la comunità
ideale. La comunità è fatta di persone con le loro ricchezze e povertà. Amare
significa diventare deboli e vulnerabili, lasciare entrare gli altri dentro di
sé.
Henri Nuven: il guaritore ferito, Queriniana.
Guarisci gli altri se scopri la tua ferita. Dentro alla relazione o ci si
scopre vulnerabili, o si fallisce la relazione. Essere e stessi vuole dire
scoprire la propria fragilità. L’altro deve poter vedere la mia fragilità.
Essere
amati: se non sei amato il cuore s’indurisce. Nella relazione
scopriamo che l’amore esiste perché qualcuno ci ha amato, altrimenti scopriamo
la durezza. L’amore è una questione dell’esserci. Chi dorme in strada la
famiglia non ce l’ha più.
Criteri
dell’Evangeli Gaudium nella prospettiva di costruire una comunità:
1.
Il tempo è superiore allo spazio: non
dobbiamo privilegiare gli spazi di potere. Perché uno che è nel bisogno non può
scegliere? Dove parte lo spazio di potere? Dal fatto che facendo un servizio ho
un potere. Dipende come lo vivo. Ci vogliono le regole. Se diventa uno spazio
che devo difendere, diviene uno spazio di dittatura. Occorre preferire i
processi. La Caritas avvia dei processi o tende a conservare la nostra idea. In
certi posti i poveri non ci vanno. Privilegiare i processi: oltre il pacco che
porto devo bussare alla porta del vicino. Chiedere la carità è umiliante.
Coinvolgo il quartiere e le persone. Avviare processi che tolgono la paura.
2.
L’unità è superiore al conflitto,
anche se il conflitto va accolto. Accogliere l’altro significa lavorare sulla
paura che genera conflitto, resistenze. Occorre evitare di essere giudicanti. E’
un lavoro difficile che può iniziare se siamo capaci di abitare le nostre
paure.
3.
La realtà è superiore all’idea.
Dobbiamo lavorare con il reale. E’ il bisogno a guidare il progetto. Non ha
senso fare dei progetti su realtà inesistenti. Osservatorio delle povertà.
Occorre mettersi a ragionare sulla realtà che ci circonda.
4.
Il tutto è superiore alla parte. La
parte deve contribuire a far crescere il tutto, la comunità. Lavoriamo nel
piccolo dentro ad un’animazione più grande: quartiere, parrocchia, condominio. E’
il tutto nel quale inserisco la persona. Tenere presente il tutto significa
condurre le persone verso la comunità, relazioni nuove e non solo di aiuto.
Indicazioni:
·
Abbiamo il compito di comunicare il bene senza
cercare di affermare noi stessi. Il dono crea relazione. Anche il povero deve
avere questa possibilità.
·
Il poco che abbiamo, basta e avanza se lo
mettiamo nelle mani di Dio.
·
Costruire è saper rinunciare alla perfezione.
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