Paolo
Cugini
Molto
bella e pieno di significato ecclesiale e spirituale è stata la visita che papa
Francesco ha realizzato nello stesso giorno a Bozzolo e a Barbiana, per rendere
omaggio a due grandi preti: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Due preti
scomodi per il loro stile di vita così aderente al Vangelo da mettere in
difficoltà chi il Vangelo lo prende un po' alla leggera. In comune don
Mazzolari e don Milani hanno molte cose ma, allo stesso tempo, ci sono anche differenze. La visita del Papa nello stesso giorno nei paesi di
questi due preti, mentre ne sottolineava le sintonie, ha avuto anche il sapore
di una riabilitazione. Purtroppo, infatti, come succede spesso nella Chiesa,
quando qualcuno vive il Vangelo in modo radicale, dalla gerarchia che dovrebbe
riconoscerne il valore, viene invece preso di mira. Sia don Milani che don
Mazzolari sono stati trattati male dai loro rispettivi vescovi oltre ad essere
finiti sotto gli artigli dal Sant’Uffizio che ha censurato alcuni dei loro
libri.
Che
cosa ha detto Papa Francesco a Barbiana e a Bozzolo?
In
primo luogo, c’è stato un forte richiamo al valore della libertà di coscienza.
Parlando del ruolo educativo di don Milani e del compito di ogni educatore,
Francesco ha sottolineato che: “Quella
degli educatori è una missione d’amore. La cosa essenziale da insegnare è la
crescita di una coscienza libera capace di confrontarsi con la realtà e di
orientarsi in essa guidata dall’amore e dall’amore di compromettersi con gli
altri e servire il bene comune […] Noi adulti chiamati a vivere la libertà di
coscienza in modo autentico come ricerca del vero del bello e del bene pronti a
pagare il prezzo che ciò comporta e questo senza compromessi”.
La Chiesa
cattolica ha educato per molti secoli i fedeli ad obbedire ciecamente al Papa,
ai vescovi e ai loro sacerdoti. Accanto a questi accorati appelli per molti
secoli la Chiesa nei suoi documenti ufficiali si è espressa negativamente
contro la libertà di coscienza. Non c’è bisogno di andare troppo indietro nel
tempo per verificare queste affermazioni. La Mirari Vos del 1832 e il Sillabo
della fine Ottocento contenevano anatemi sia contro la libertà di coscienza che
contro la libertà di stampa. Appello accorato all’obbedienza ai superiori e sfiducia
nella libertà di coscienza hanno prodotto come logica conseguenza
l’infantilismo nei fedeli, e l’arroganza autoritaria e prepotente dei
superiori, atteggiamenti molto diversi da quelli proposti da Gesù nel cammino
di discepolato. Nella Dignitatis Humanae
il Concilio Vaticano II ha provato a dare una sterzata rivalutando il valore
della libertà di coscienza come cammino fondamentale per maturare una coscienza
critica nelle persone. Sia Don Milani che don Mazzolari sono state senza dubbio
delle persone libere, che hanno aiutato i fedeli a maturare un proprio giudizio
critico nei confronti della realtà. Lo ha fatto don Lorenzo nella scuola di
Barbiana. Lo si comprende bene sfogliando le pagine di Lettera ad una
professoressa, scritto con il metodo di scrittura collettiva. Don Lorenzo era
abituato a sollecitare i suoi alunni ad analizzare insieme i contenuti di ciò
che leggevano sui giornali, per giungere ad esprimere un pensiero personale
capace di accettare il confronto positivo con gli altri. Si giunge a pensare
insieme in modo libero e critico solamente se ci si è educati alla maturazione
di una coscienza libera, capace di cogliere la presenza del trascendente nella
storia e dentro di sé. Sia don Lorenzo che don Primo ci hanno insegnato che
l’obbedienza è autentica quando passa al vaglio della libertà di coscienza, di
una coscienza educata nella relazione d’amore con qualcuno.
La storia ci ha
purtroppo insegnato che, quando la coscienza non viene accompagnata nella
formazione del riconoscimento del bene, ma viene sollecitata solo
all’obbedienza passiva, diviene facile preda dei più turpi comandi. Affidare in modo radicale la propria capacità
di decidere ad un’entità esterna, significa abdicare alla propria dignità di
persona. Un vero educatore, come lo sono stati don Lorenzo e don Primo,
accompagna le persone a maturare un pensiero critico personale. Come ha
ricordato Papa Francesco a Bozzolo, i preti non sono dei meri ripetitori di
affermazioni oggettive, ma trasmettitori di contenuti che sono chiamati a
vivere e interpretare con la loro vita. Queste indicazioni hanno un risvolto
ecclesiale immediato. Infatti, non c’è possibilità di sinodalità senza un’educazione
alla libertà di coscienza. Chi è abituato a delegare il sacrosanto diritto di
formulare un proprio parere, difficilmente si sentirà coinvolto a mettere in
comune un proprio pensiero nella costruzione di un percorso. Le difficoltà che
incontriamo nelle comunità parrocchiali nel coinvolgimento dei laici non solo
nella gestione dei servizi della comunità, ma soprattutto nello sforzo
dell’elaborazione di un pensiero che sappia leggere i segni dei tempi e operare
le scelte necessarie per la comunità, è dovuta anche alla carente educazione di
coscienze libere. Si è insistito all’esaurimento sulla necessità di obbedire ai
superiori non curanti dello scotto che si sarebbe pagato più avanti.
Un
secondo punto significativo che Papa Francesco ha evidenziato nella vita di don
Milani e don Mazzolari è il loro modo di essere sacerdoti. A Barbiana
Francesco ha affermato che: “La
dimensione sacerdotale di don Lorenzo è alla radice di tutta la sua vita. Tutto
nasce dal suo essere prete, la sua fede. Una fede totalizzante che diventa un
donarsi completamente al Signore e che nel ministero diventa donazione totale”.
Lo stesso concetto, anche se con sfumature diverse Papa Francesco l’ha ripetuto
a Bozzolo. “I parroci sono la forza della
chiesa in Italia. Quando sono i volti di un clero non clericale danno vita ad
un vero e proprio magistero dei parroci. Mazzolari è stato definito il parroco
d’Italia”.
In diverse circostanze Francesco ha messo in guardia la Chiesa
dal pericolo del clericalismo. Con questo termine il Papa indica un modo
sbagliato d’intendere il proprio ruolo di pastori e di guide del popolo, non
come servitori, ma come persone arroganti che si sentono superiori e così si
allontanano dalla gente. Al contrario, don Lorenzo e don Primo sono esempi di
pastori che si sono immersi nei problemi delle persone loro affidate, divenendo
parte di loro. Erano preti, come suole spesso dire Francesco, che avevano
l’odore delle pecore. Come Gesù che aveva condotto i suoi discepoli in mezzo
alla folla, immersi nei problemi della gente, così hanno fatto don Primo e don
Lorenzo a contatto con i problemi dei loro parrocchiani. Entrambi i sacerdoti
erano persone molto attente ai problemi del tempo. Conosciamo le prese di
posizioni di don Primo nei confronti del fascismo. Sappiamo anche delle lotte
che don Lorenzo, assieme ai suoi ragazzi di Barbiana, ha portato avanti sui
temi dell’obiezione di coscienza e della scuola. Preti immersi nei problemi del
loro tempo e, quindi, non distanti. Don Lorenzo e don Primo hanno insegnato che
il ministro di Dio non è colui che vive il suo ministero esclusivamente
nell’ambito del sacro, di quel sacro che si manifesta esclusivamente
nell’ambito liturgico, come se la liturgia potesse essere qualcosa di distante
della vita. Se Francesco reiteratamente allerta la Chiesa sulle forme del neo
pelagianesimo di ritorno sempre in agguato, che tende a separare la vita dal
sacro, inculcando nelle menti dei fedeli un Dio totalmente distante dal mondo,
contraddicendo il principio dell’Incarnazione manifestato dal Figlio Gesù
Cristo, è perché il pericolo è reale. Del resto, un Dio distante, totalmente
distaccato dalla realtà che esige per l’appunto sacerdoti del sacro che siano
il più possibile distanti dalla realtà per essere puri dinanzi al sacro, fa
comodo. Più Dio è qualcosa di distante, più l’uomo e la donna sono liberi di
fare e vivere come vogliono. Gesù Cristo, venendo al mondo ha rappresentato la
critica più radicale a questo modo d’intendere la religione come distanza tra
Dio e gli uomini, che esige un personale specializzato per entrare in contatto
con Lui.
L’incarnazione del Verbo ha
rotto questo schema idolatrico, mostrando il vero volto di Dio, non pensiero
astratto alieno dagli uomini e dalle donne, ma totalmente immerso nella realtà
per poterla trasformare dal di dentro. Sia don Primo che don Lorenzo hanno vissuto il
loro rapporto con il Signore incarnati nel pezzetto di mondo nel quale
vivevano, offrendo a Dio l’umanità che loro stessi incontravano. Questa
incarnazione ha permesso loro di fuggire la tentazione del clericalismo,
dell’atteggiamento di superiorità che spesso vediamo in quella porzione di
clero che gioca il proprio ministero dentro a quattro pareti o nell’esclusivo
ambito liturgico. “Non è mai il pastore
a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di
noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei
diversi ambiti”.
Solamente camminando insieme, immersi nella realtà presente, a contatto con i
problemi veri incontrati a contatto con la gente vera, si potrà evitare il
rischio di caricare la gente di pesi assurdi. Francesco ha visto in don Primo e
in don Lorenzo sacerdoti capaci di accompagnare la propria gente nelle loro ricerche e stimolando
quell’immaginazione capace di rispondere alle problematiche attuali.
Un
ultimo aspetto che possiamo evidenziare nei discorsi che Papa Francesco ha
realizzato a Bozzolo e a Barbiana è la povertà. Sia per don Mazzolari che
per don Milani è evidente lo stile essenziale e povero di questi due sacerdoti.
Di Mazzolari Francesco ha detto che ha vissuto da prete povero e non da povero
prete. Lo stesso si può dire di don Milani che ha dedicato tutto il suo
ministero ad un piccolo gruppetto di bambini e ragazzi poveri. Don Lorenzo e
don Primo sono quindi il segno di quella Chiesa povera e dei poveri così
vagheggiata nel Concilio Vaticano II e che Papa Francesco tenta di riprende nel
suo pontificato. “Possiamo diventare
chiesa povera e dei poveri – ha detto Francesco a Bozzolo-. I poveri sono una presenza scomodante.
[…]. I poveri vanno amati come poveri, come sono, senza far calcoli”. Ridare
ai poveri la parola perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche
libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Nella scuola di Barbiana don
Lorenzo ha insegnato tutta la vita e tutti i giorni dell’anno ai bambini poveri
della sua piccola parrocchia. È la Parola che apre la cittadinanza alla
società. Il possesso della parola come strumento di libertà: è questo che
sapeva fare don Primo, non solo per le sue famose doti di predicatore e di
scrittore, ma anche per il modo con cui utilizzava questi strumenti per aiutare
i lontani. Don Primo e don Lorenzo sono stati, a loro modo e anche nella loro
esperienza di presbiteri, dei modelli di quella chiesa povera e dei poveri che
sta così profondamente segnando il pontificato di Papa Francesco. Povertà come
segno di una vita evangelica, che annuncia il Vangelo non solo con la Parola,
ma anche e soprattutto attraverso la testimonianza. La povertà evangelica
vissuta da don Lorenzo e da don Primo sono un tutt’uno con il loro ministero,
segno di una sequela autentica al Signore che è venuto in mezzo a noi povero
tra i poveri. A Bozzolo Papa Francesco ha ricordato che don Primo: “nel suo testamento scriveva: intorno al mio
altare non ci fu mai denaro. Il poco che è passato nelle mie mani è andato dove
doveva andare. Dio con niente fa tutto. La credibilità dell’annuncio passa
attraverso la semplicità e la povertà della chiesa. Don Primo ricorda che la
carità è questione di sguardo”. Mettere al centro i poveri per fare in modo
che siano loro stessi i protagonisti della loro rinascita. Sia per don Lorenzo
che per don Primo la cultura è stato uno strumento privilegiato per questo
cammino che ha permesso loro anche di uscire dalla sterile palude di una carità
che non serve a nulla, ma che mantiene in vita il sistema che produce povertà.
Offrire ai poveri gli strumenti per un loro riscatto esistenziale e sociale è
stato lo sforzo costante di questi due preti.
Finalmente Francesco sta aprendo le finestre e ci sta ossigenando...
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