La diversità segno dell’alleanza con Dio
Paolo Cugini
È stato Isaac Newton a scoprire
che il bianco, più che essere un colore, era l’insieme dei colori
dell’arcobaleno. Lo Ha scoperto quando, giovane studente, leggendo e
riflettendo sulle teorie di Boyle, si rese conto che c’era ancora qualcosa da
capire. Lo studioso italiano Maurizio Mamiani, leggendo i
taccuini del giovane Newton, ha scoperto come procedeva nella ricerca. Mentre
leggeva le pagine di Boyle si domandava se era proprio così come lui diceva,
poneva nel suo taccuino delle domande che divenivano delle indicazioni di
ricerca. Fu così che un giorno decise di andare al mercato per
comprare un prisma. Tornato a casa fece in modo di orientare un raggio di luce
che, ponendolo dinanzi al prisma scoprì, con sua grande meraviglia, che la luce
bianca veniva rifratta nei colori dell’arcobaleno. Non soddisfatto del tutto
dell’esperienza, tornò al mercato la settimana seguente per comprare un altro
prisma, che mise dinanzi alla luce rifratta, che si ricompose nel fascio unico
di luce. Fu in questo modo che Newton scoprì che il bianco, in realtà era
l’insieme dei colori dell’arcobaleno. Fece questa scoperta non fidandosi delle
idee di un grande scienziato come Boyle, ma volle provare nella realtà quello
che i libri dicevano e scoprì che non sempre i libri ci prendono, che non
sempre le idee coincidono con la realtà, anzi.
Come ci ha ricordato il filosofo
tedesco Wilhelm Weischedel anche per quanto riguarda il problema di Dio
occorre procedere in modo scettico, vale a dire in modo riflessivo, “guardando
intorno scrutando”. Non si tratta di sfiducia nella ragione, ma di abituare
l’anima a non fidarsi troppo dell’apparenza, a non aderire in modo sconsiderato
a ciò che appare come ovvio, scontato. Un po' di scetticismo aiuta a prendere
per mano la ricerca su ciò che viene presentato alla nostra coscienza dal
pensiero comune come un dato immediato, per sviscerarlo e, soprattutto,
confrontarlo con la realtà. “Ciò che
nell’interrogare si raggiunge come conoscenza ultima è che la realtà, che si
dimostra problematica, si presenta come mistero”.
Come Newton che procedendo in modo
scettico sulle osservazioni scientifiche sulla teoria dei colori di Boyle
scoprì che il bianco più che essere un colore era dato dalla somma di tutti i
colori dell’iride, così anche l’uomo occidentale deve imparare a procedere in
modo scettico nei confronti del pensiero unico, di tutte le forme di pensiero
totalizzanti, che riducono la molteplicità del reale in un’idea fissa e
statica. Del resto il filosofo francese Charles Péguy già all’inizio del
secolo scorso ci ammoniva sull’abbaglio che la cultura Occidentale aveva preso
da secoli nel considerare la realtà in modo uniforme. Contro una tradizione di
pensiero ostinatamente attenta ad elaborazioni sintetiche ed uniformi della
realtà – i sistemi filosofici – Péguy afferma l’esigenza di accogliere il reale
per come esso si manifesta nella mobilità del presente, cioè nella sua
pluralità. “Il reale – afferma Péguy – ci presenta non solo delle dualità, ma
delle pluralità. La realtà ci appare e si presenta divisa in molte parti”.
La filosofia greca, culla dalla cultura Occidentale,
nasce come lo sforzo di cercare l’unità nella diversità, il principio unificatore
della realtà. I primi sistemi metafisici tentano di rispondere al problema considerato
cruciale nella filosofia, vale a dire: com’è possibile che dall’Uno si dia il
molteplice? Con lo sguardo di color che sono venuti dopo possiamo dire che la
cultura Occidentale nasce sin dall’inizio da un’aporia, da un errore d’impostazione,
che ha condizionato pesantemente lo sviluppo successivo. Sappiamo, infatti, con
il senno di poi, che il problema non sta tanto nel capire come dall’Uno si dia
il molteplice, ma come il molteplice possa darsi ed esprimersi come tale. Ogni
cammino verso l’uno, verso una sintesi, è la negazione della realtà, una
forzatura innaturale, che provoca sofferenza e, quando accade, la natura si
ribella. Solo nell’Uno come manifestazione e trasparenza delle diversità, la
realtà si sente rappresentata. Quando invece il cammino verso l’uno avviene con
la violenza, con la soppressione del diverso per imporre un modo unico di
essere, un pensiero unico, allora la natura si ribella, prima o poi.
In questa prospettiva ci viene
incontro anche la Parola di Dio. Infatti, in una delle prime pagine dell’Antico
Testamento, quando Dio rinnova l’alleanza con l’umanità tramite Noè, il segno
di questa alleanza è l’arcobaleno. “E Dio
disse: «Ecco il segno del patto che io faccio tra me e voi e tutti gli esseri
viventi che sono con voi, per tutte le generazioni a venire. Io pongo il mio
arco nella nuvola, e servirà di segno del patto fra me e la terra” (Genesi
9,12-13). Per ristabilire l’alleanza distrutta dall’uomo e dalla donna, Dio sceglie
un simbolo che indica una direzione, un modo di stare al mondo, un segno della
sua presenza nella storia. Ebbene, questo segno non è nella linea del pensiero
unico che la filosofia greca alcuni secoli dopo inizierà ad elaborare, ma è
nell’ottica della pluralità. In un certo modo attraverso quel simbolo è come se
Dio avesse voluto dire all’umanità che, per incontrarlo dovevano percorrere il
cammino della molteplicità.
Un mondo plurale rispecchia il sogno
di Dio, il suo
pensiero, ciò che lui ha voluto esprimere con il segno dell’alleanza: l’arcobaleno.
Molteplicità di colori, perché non può essere identificata con un colore la
stessa realtà che Dio ha creato che è a tanti colori. Arcobaleno dice naturalità
nell’abitare la pluralità, nel pensare la diversità, nell’accogliere la
molteplicità. Arcobaleno significa compresenza di elementi diversi senza la
necessità che tutto sia ridotto ad uno. Arcobaleno significa libertà di
espressione, libertà di coscienza, libertà di esprimere un modo di essere
diverso dall’altro senza paura di essere giudicato. Se la nuova alleanza è l’arcobaleno
allora il cammino che l’umanità è invitata a compiere consiste nell’apprendere
a convivere con le diversità perché la diversità è la cifra della realtà.
Gesù è l’esempio di questo cammino. Non a caso è presentato nel Nuovo
Testamento come colui che realizza la Nuova alleanza. In primo luogo, annuncia
il Vangelo facendosi accompagnare da uomini e donne e sino alla fine convive
con loro. Poi lo troviamo costantemente al fianco di coloro che soffrono, delle
persone discriminate dalla società, al lato degli esattori delle tasse, dei lebbrosi,
delle prostitute, di tutto ciò che la società non considera come degno di
attenzione. In Gesù tutti trovano riparo, tutti si sentono accolti, ascoltati,
protetti. “Venite a me voi tutti che
siete affaticati e oppressi, perché io vi ristorerò”. In Gesù tutti trovano
spazio, perché accostandosi a Lui tutti percepiscono che la differenza non è un
problema, ma un’esigenza, un arricchimento. Gesù muore come uno di loro,
crocefisso come un brigante, umiliato e malmenato come se fosse un ladro. In un
mondo incapace di abitare la diversità, Gesù annunciando l’Alleanza della
pluralità, della convivenza della molteplicità, è stato punito, ucciso
barbaramente. La sua morte è il segno di un’umanità incapace di accogliere la
diversità, modellata sul pensiero unico, sulla forza di coloro che stanno al
potere e che esigono che tutti la pensino allo stesso modo.
La chiesa che nasce sotto la croce è
la chiesa che sgorga dall’arcobaleno e porta il segno di un duplice significato: la continuazione
dell’annuncio della Nuova Alleanza rinnovata da Gesù e la sofferenza che questo
annuncio provoca nelle culture monotematiche. La chiesa maestra di umanità,
discepola del Signore è quella che permette alle diversità di esprimersi, che
rimane continuamente aperta a tutti, che si pone al fianco soprattutto di
quelle diversità che fanno più fatica a manifestarsi. La chiesa è maestra di
umanità, segno della Nuova Alleanza, testimone dell’Arcobaleno tutte le volte
che fa sì che la molteplicità del reale si realizzi. Quando invece la chiesa si
rinchiude per difendere una forma, un pensiero, una teologia, rischia di
forzare la realtà e di ferire chi rimane fuori dal sistema proposto. Aiutare la
chiesa ad essere spazio della diversità per essere fedele alla missione di Gesù
è il compito di ogni cristiano.
Com’è difficile questo cammino. C’è da disintossicarsi di tutto
quel fardello che si è accumulato nell’anima, fardello fatto di idee, di
teologie, di catechismi, di filosofie e metafisiche, di pensieri fissi che interpretano
la realtà e non la lasciano respirare. Che voglia di aria pura, di colori, di
relazioni autentiche non deformate dalle convenzioni culturali, sociali,
etiche. A volte mi chiedo se esiste un luogo così. Lo sognavo da giovane. L’ho
desiderato abbracciando il ministero. L’ho intravisto nella preghiera. L’ho
rincorso lottando contro i corrotti. Non riesco a vederlo nei volti duri di
coloro che sanno già tutto e, per questo, condannano coloro che non si
allineano. Quel sogno vagheggiato lo rivedo in Francesco. Speriamo il bene.
Grazie, bellissima riflessione.
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