ALLA RICERCA DI UN SENSO DELLA VITA
Paolo
Cugini
Non
c’è bisogno di ricorrere alle statistiche per capire la difficoltà che oggi la
Chiesa incontra nel tentativo di evangelizzare i giovani. Sono tante le cause
di questo allontanamento dei giovani dalla fede. Senza dubbio, il processo di
scristianizzazione dell’Occidente ha creato quel clima sempre più secolarizzato
che non permette alle giovani generazioni di identificarsi immediatamente con i
valori del Vangelo. C’è uno scollamento progressivo tra la proposta cristiana e
il mondo Occidentale, che sta sempre di più andando verso una deriva
materialista. Il consumismo esasperato degli ultimi decenni diffusosi nel mondo
Occidentale, è divenuto lentamente la vera religione, il nuovo culto con i suoi
adepti e i suoi sacerdoti. Culto materialista che, facendo leva
sull’immediatezza dei sensi crea, alla distanza, un vuoto di riflessione e di
pensiero. È all’interno di questo vuoto che occorre spingere la nostra
riflessione, per tentare di comprendere gli spazi che restano per una proposta
plausibile di fede. Questo vuoto, infatti, che è allo stesso tempo culturale e
spirituale, era per certi aspetti stato profetizzato da coloro che annunciavano
il nichilismo. Nietzsche, già alla fine dell’’800, annunciava la morte di Do,
vale a dire, la fine del mondo dei valori prodotti dal cristianesimo. Sulla
stessa linea si era mosso qualche decennio dopo Martin Heidegger, quando
preconizzava l’Occidente come storia della fine della metafisica. Recentemente
Gianni Vattimo, prendendo spunto dai due filosofi tedeschi sopra citati, ha
affermato che la croce di Cristo è il simbolo dell’annuncio del nichilismo
nell’Occidente. La croce, infatti, simbolizza la morte di quell’Essere che la
filosofia Occidentale, in altre parole la metafisica classica, aveva indicato
come fondamento della realtà sensibile. Ebbene, proprio in quell’atto supremo
che i cristiani indicano come completamento della vita terrena di Gesù, diviene
nient’altro che l’annuncio definitivo della fine di ogni significato
dell’esistenza, vale a dire l’annuncio del nichilismo. Secondo Vattimo,
paradossalmente è stato proprio il cristianesimo, e cioè la religione che per
antonomasia ha inventato il senso della vita, a divenire la fine di ogni
significato dell’esistenza.
Quel
grido disperato che usciva alle pagine di Nietzsche e, in modo particolare, dal
famoso aforisma 625 della Gaia Scienza, oggi, nel contesto di un mondo
secolarizzato, quel grido non fa più nessuno scalpore. Non esiste più una
cultura cristiana nel senso stretto del termine, ovvero un mondo cristiano nel
quale le persone s’identificano. È vero che ancora oggi molte persone chiedono
di battezzare i loro figli e di ammetterli ai sacramenti. È altrettanto vero,
però, che questa richiesta non è per nulla accompagnata da un’appartenenza
ecclesiale. Si tratta, dunque, di un fatto culturale più che ecclesiale o
addirittura spirituale. La poca aderenza ai valori religiosi, spesso e
volentieri triturati dal materialismo consumista, che ne stravolge il senso
trasformandoli in situazioni di folclore spesso di cattivo gusto, non permette
alle giovani generazioni di percepire l’autenticità del messaggio evangelico.
Dall’altra parte, poi, a peggiorare la situazione, c’è anche quella fetta di
Chiesa tradizionalista che non riuscendo ad accompagnare l’evoluzione della
storia, vive trincerata nel passato, non permettendo alcuna forma di
attualizzazione. Sena dubbio, la cristianità in Occidente non è più il
riferimento valoriale della cultura dominante. I giovani non nascono più in
famiglie praticanti, in un contesto quasi totalmente religioso. Lentamente e
progressivamente l’essere cristiani e l’appartenere ad una comunità cristiana
sta divenendo sempre di più una scelta. Questo non è male, anzi. Il processo di
secolarizzazione in atto, se in apparenza può sembrare deleterio per la
religione, in realtà permette al cristianesimo di recuperare la propria
identità. Il cristianesimo, non è infatti nato per essere la religione di un
impero, ma una proposta di vita. Il Vangelo presenta delle proposte esigenti e
radicali, che esigono ponderazione e, soprattutto, un lento cammino di
conversione e di adeguamento al progetto proposto. In questa prospettiva, la
comunità cristiana deve sempre di più abituarsi a vivere nel modo come una
minoranza, il cui valore non stara più quindi nel numero, ma nella qualità
della sua proposta e del suo stile di vita. Quando il battesimo dei bambini e
la sacramentalizzazione smetterà di essere un fenomeno obbligatorio e di massa,
sarà il segno evidente che il processo di secolarizzazione e di
scristianizzazione della cultura Occidentale, è arrivato al termine.
Questa
nuova situazione culturale ha prodotto una nuova visone del mondo. Più che
prospettive future, valgono le situazioni che nel presente l’individuo può
sfruttare. L’identità non si forma più per poter vivere per sempre i valori
scelti, ma per poter usufruire il massimo del presente. Visione del mondo che
attinge tutti gli aspetti della vita, dalla politica alla religione, dalla
società alla vita quotidiana. Questa nuova visone del mondo non ha più al
centro Dio o i valori metafisici come in quella precedente, ma la materia, le
cose che consumiamo. Al centro c’è dunque, il soggetto e i suoi bisogni
immediati, che dipendono dalla cultura in cui una persona vive. Se i valori
erano assoluti, i bisogni, al contrario, sono relativi al luogo e alla cultura
di appartenenza. C’è una grande mobilità di situazioni in cui l’individuo si
trova immerso, per cui accanto alla rapidità dei cambiamenti culturali in atto,
l’individuo è sollecitato alla capacità di adattamento alle nuove situazioni.
Ancora una volta mi preme sottolineare che in questa nuova visione del mondo
venutasi a formare negli ultimi decenni e che è ancora in formazione, i valori
assoluti non sono determinanti, anzi spesso costituiscono un ostacolo per
l’adattamento alle nuove situazioni che è richiesto. Un dato che può essere
considerato segno specifico di questo nuovo culturale è il movimento costante
di milioni di persone. Le migrazioni sono ormai un fenomeno che non avviene
solamente nei paesi poveri verso i paesi ricchi, ma questo movimento avviene
anche all’interno degli stessi paesi cosiddetti ricchi. Se l’antica visione del
mondo era caratterizzata dalla stabilità delle persone nel loro territorio,
stabilità che generava tradizioni e valori locali percepiti come assoluti e
inviolabili, ben diversamente è la percezione dei valori in un simile contesto
di continuo movimento. Lo sradicamento sociale, culturale e religioso è uno dei
fattori che dicono della condizione umana in questo nuovo quadro culturale. Le
nuove generazioni nascono e si muovono in questo contesto in continuo
movimento, nel quale non ci sono valori e tradizioni che fondano la cultura, ma
una pluralità, che spesso è discordante e dissonante, di elementi che divengono
significativi nella misura che rispondono ai bisogni del presente.
All’interno
di questa nuova visione del mondo la Chiesa fa fatica a trovare il passo giusto
nel cammino della nuova evangelizzazione. Paga lo scotto di secoli di
pesantezza secolare, secoli duranti i quali ha cercato più la presenza politica
che lo stile evangelico. Ha assaporato così a lungo l’ebrezza di essere la
maggioranza e di contare qualcosa, che non riesce a prendere le distanze da
questa ubriacatura. In realtà, da diversi parti ci sono esperienze
significative di comunità cristiane che tentano di vivere il Vangelo, incarnandolo
nel loro vissuto quotidiano. Sono esperienze che non fanno rumore e notizia, ma
che dicono della possibilità di vivere la proposta di Gesù. Segnale positivo è
anche la figura di Papa Francesco: i suoi gesti e le sue parole rimettono la
Chiesa nel cammino di un Concilio troppo alla svelta messo nel dimenticatoio.
Il problema è come aiutare i giovani a percepire nel Vangelo una proposta reale
di vita diversa da quella che offre il mondo. Come presentare un cammino che
conduce a scelte definitive in un contesto culturale nel quale il per sempre e
il definitivo sono percepiti come disvalori? Più che ad eventi eclatanti, anche
se esperienze simili possono essere positive, quello che una comunità cristiana
può fare consiste nell’aiutare i ragazzi a mantenere i piedi per terra, a
rimanere a contatto con la realtà in tutte le sue forme, comprese il dolore, il
sacrificio, la sofferenza. Se, infatti, la cultura postmoderna tende a proporre
continui e vari modelli, spingendo le persone a decisione rapide che non
richiedono una riflessone molto profonda, il Vangelo, al contrario, per essere
assimilato ha bisogno di tempo e di un contatto costante con la realtà. Forse è
questa la sfida maggiore, vale a dire quella di non perdere di vista la realtà,
per non finire intrappolati nella rete virtuale di proposte allettanti, ma che
non permettono alle persone d’incontrare se stesse e di vivere in autenticità.
Nessun commento:
Posta un commento