A un anno dalla scoppio della guerra in Ucraina ci troviamo tutti in chiesa a Renazzo per chiedere il dono della pace.
A un anno dalla scoppio della guerra in Ucraina ci troviamo tutti in chiesa a Renazzo per chiedere il dono della pace.
Relatore:
Amedeo Balbi
Sintesi:
Paolo Cugini
È
un’idea che circola da decenni.
Antropico:
deriva dal greco, è qualcosa che ha che fare con gli esseri umani.
Caratteristiche dell’universo legato agli esseri umani.
Il
PA non è un principio esatto, Il primo a chiamarlo così è stato Carter nel
1973. Secondo lui quando guardiamo l’universo dobbiamo tener conto del fatto
che c’è qualcuno che l’osserva.
Il
nome antropico non è una scelta felice. Sarebbe più giusto chiamarlo: effetto
di selezione. Il PA non è una grande idea, perché non spiega molte cose. A
partire da questa formulazione le cose hanno preso una piega un po' confusa.
La
vita si adatta alle condizioni che trova.
PA
forte: le caratteristiche dell’universo devono essere tali da produrre un
osservatore. L’universo è fatto apposta perché ci sia alcuno ad osservarlo.
Secondo Balbi questa più che essere un’osservazione fisica è un’analisi di tipo
filosofico-metafisico.
Il
PA forte non è un’ipotesi scientifica perché non può essere verificato e non
spiega nulla del modo in cui è fatto l’universo e perché contiene la vita.
PA
debole: osservatori possono esistere nell’universo là dove si verificano
determinati requisiti fisici
Paolo
Cugini
Da
quello che mi sembra di aver capito nella mia esperienza di pastore di comunità
è che il problema dei ministeri è nella testa dei preti. Per come è impostata
la parrocchia in Italia è molto difficile stimolare il laicato, perché la
parrocchia è da sempre identificata con il parroco che, di conseguenza, fa
fatica a delegare, perché quando lo fa sente di perdere il controllo. Questo
problema ecclesiale lo si nota anche nelle così dette unità pastorali, in cui,
invece di accompagnare le singole comunità parrocchiali, le si gestisce come
un’unica parrocchia. Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato che nella Chiesa
popolo di Dio tutti i fedeli sono chiamati a partecipare attivamente. Anche
nelle prime comunità, così come sono descritte negli Atti degli Apostoli e
nelle lettere di Paolo, i cristiani sono attivi e partecipi nelle comunità. I
ministeri, quindi, dovrebbero essere una logica conseguenza della vita della
comunità dei battezzati in Gesù Cristo.
Il
problema è che non trovano spazio, perché nonostante la scarsità del clero, è
già tutto occupato da loro e non c’è verso di farsi da parte: non ci riescono,
è insito nel loro DNA occupare tutti gli spazi della comunità. Il cambiamento,
ancora una volta, non verrà dall’alto, da delle decisioni magisteriali, ma dal
basso, dallo spazio che i laici e le laiche sapranno prendersi. Papa Francesco
lo ha ricordato nel primo documento che ha scritto Evangelii Gaudium: prendete
l’iniziativa. Coraggio sorelle e fratelli: la comunità vi aspetta.
PARROCCHIE DI: BEVILACQUA,
DODICI MORELLI, GALEAZZA, PALATA PEPOLI
CICLO
DI INCONTRI: IL CREDO DELLE DONNE
Venerdì
17 febbraio 2023
Relatrice:
Lidia Maggi
Sintesi: Paolo Cugini
Proviamo
a ridire le parole della fede. C’è un Dio che continua a prendersi cura di un
Dio della vita, della storia.
La
storia è abbandonata a se stessa? Oppure è accompagnata da un progetto? Dio si
prende cura con la Parola che ci viene consegnata. Siamo stati creati con una
voce che ci ha riconosciuto. Siamo affidati ad una Parola che per noi è di Dio.
È una parola che ci strappa al nostro monologo ed è una parola che dice di
tante voci, ci consegna delle narrazioni. Una Parola che ci circonda. Il canone
biblico mette in scena una Parola dove Dio parla direttamente, dall’alto. Una
Parola altra, che non ci appartiene, ma che comunica un messaggio per noi.
Poi
c’è la parola dei profeti, che sono la bocca di Dio. Cercano di ridire la
Parola nelle faccende storiche dove Israele s’incarta, per provare a trovare
senso. Spesso i profeti usano un linguaggio del corpo. Poi ci sono i
Sapienziali, in cui Dio parla attraverso la vita laica.
Tutte
le volte che assolutizziamo un’immagine di Dio, rischiamo di farci un idolo. Rischio
di fissarci su di un’immagine. Nella Bibbia troviamo mille modi di dire Dio.
Occorrono tanti sguardi per dire Dio. Per troppo tempo Dio è stato detto in
modo univoco, al maschile. Siamo diventati tutti un po' più ricchi quando
abbiamo scoperto voci nuove, parole nuove. Una Parola che è un discorso
complesso, non è Babele, non è un pensiero unico.
Dio
che si prende cura: ci sono tante immagini. Alcune di queste sono legate alla
genitorialità: Is 49: può una madre dimenticarsi del figlio? Dio viene
raffigurato dal profeta come una madre che non può dimenticarsi dei figli.
Dio
Padre. Gesù quando mette in scena il Dio che si prende cura
lo fa per rialzare quelli che si sentono inutili. Uno sguardo diverso del
potere capovolto. Gesù utilizza l’immagine della paternità per liberare dall’ansia
di sopravvivere. Pensare che la vita è bella e Dio, come Padre, se ne prende
cura. Si può entrare nella vita con fiducia.
Gesù
vede la donna e la chiama a sé e le dice parole che le offrono
visibilità. Attraverso il tocco che la confermano come donna liberata e diventa
una predicatrice. Il gesto di cura di Gesù è un gesto di liberazione.
Esodo:
è una grande storia di cura, perché è una storia di liberazione. Dio chiede
aiuto a Mosè per liberare il suo popolo. A Mosè viene affiancato suo fratello
Aronne. Prima di questo c’è un preambolo che mette in scena un pasto. Ci sono due
donne che hanno ricevuto l’ordine di uccidere i bambini, ma non obbediscono all’ordine
del faraone, e ascoltano la loro vocazione e custodiscono la vita. Quando Dio entra in scena al capitolo tre di
Esodo sembra richiamare i gesti che hanno fatto le donne nel capitolo
precedente. È un Dio che sembra avere appreso la grammatica della liberazione
attraverso le donne. C’è un’epopea di liberazione con un Dio vigoroso,
condottiero. Dall’altra parte, c’è un Dio che si prende cura attraverso le
braccia di levatrici. Il Dio della libertà: occorre mettere in atto una
molteplicità diverse. In questa narrazione troviamo lo sguardo maschile e femminile.
Anche Gesù fa lo stesso.
Lo
si coglie quando Gesù cita il salmo 22 sulla croce: mio Dio perché
mi hai abbandonato? Per ritrovare fiducia non basta la memoria collettiva,
ma è necessaria la memoria personale dove l’immagine del divino è l’immagine di
una levatrice: Cfr. Sal 22,9. Dio che si prende cura; Sal 91. Gesù riprende
questa immagine del salmo come un lamento verso Gerusalemme. C’è una volontà di
cura, che non sempre sono antropomorfiche.
C’è
l’immagine della responsabilità nel gesto di cura c’è
Dio. Il libro di Rut c’è l’esperienza di un Esodo laico. C’è una
comunità che agisce e si assume la responsabilità di nutrire.
Sal
22: il pastore è un’immagine maschile. Però, Gesù accosta l’immagine della
moneta, un’immagine femminile.
Dio
ci consegna narrazioni, che ci risollevano dal sentirci impotenti. Dio custodisce
il mondo con la cura.
Nei
primi 11 capitoli della Bibbia c’è un Dio che continuamente ricrea il mondo. Dio
riapre continuamente una possibilità. Quando l’umanità si perde, Dio la
ricerca. Quando il mondo sembra implodere nel diluvio, Dio chiama un uomo per
far riprendere la vita.
Fatica
di una comunicazione che non sia semplicemente eco della mia voce. È in scena
un Dio che offre continuamente una possibilità. È il Dio delle seconde volte
più radicale. La vita risorge quando il peccato è perdonato, quando ci
scambiamo misericordia, quando ci riconciliamo. Il Dio che si prende cura è il
Dio che mi chiama. Dio riapre continuamente la vita. È il Dio delle seconde volte.
È un Dio che riapre il giardino. Il Dio della cura è un Dio che non esclude.
Il
Dio che continuamente ricrea e non si rassegna a tutte le chiusure.
Il
tema del Dio personale, della relazione e del luogo privilegiato della Parola,
non esclusivo. La Parola è umana e ci apre all’altro. Ci sono due opportunità
per non farci delle immagini di Dio. Dove moltipliche le immagini crei delle
possibilità di linguaggio.
Vota anche tu il versetto biblico che unirà anche
quest'anno le veglie di preghiera e i culti domenicali che ricorderanno le
tante vittime della violenza dell’omo-transfobia in occasione del 17 maggio
(Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, IDAHOT) che
leveranno insieme la loro voce per dire “no” alla violenza dell’omo-transfobia.
Si potrà votare sino alla mezzanotte di domenica 26 febbraio 2023 cliccando on
line sul link https://forms.gle/FyCWfxcG8J1YcJZH9 Aiutaci a dare voce alla speranza @ tendadigionata @
Commissione fede Genere e Sessualità delle chiese Battiste , Metodiste e Valdesi
PARROCCHIE DI BEVILACQUA, GALEAZZA, DODICI MORELLI e PALATA PEPOLI (BO)
CICLO DI INCONTRI: IL CREDO DELLE DONNE
Relatrice: Lidia Maggi
Sintesi: Paolo Cugini
Alcune
parole che hanno caratterizzato il nostro cammino si sono usurate. Occorre
cercare altre parole. A volte si è più fedeli alla tradizione quando si
ricercano parole in grado di dire nell’oggi della storia il mistero.
Il
generare rimanda all’attività che le donne conoscono attraverso l’esperienza
del generare. Nel linguaggio biblico non è una storia astratta, ma è storia
generata, partorita. Non a caso si parla di generazioni: toledot. I
nostri padri e madre della fede attraversano una sterilità che deve essere
liberata.
Per
generare la vita bisogna pensare che non tutto sia facile. Gen 1: si scopre che
l’immaginario ricevuto dalla tradizione ci permette di intuire qualcosa su Dio
e l’umanità. C’è un Dio che tratta la vita alla morte, che fa risorgere la
vita. Pensiamo che lì tutto abbia inizio, si parla di creazione dal nulla, ma
non è così. Dio sceglie la vita e a lottare per questa vita. Un Dio che genera
la vita è un Dio che sente la passione della vita da affrontare tutti i rischi
della morte.
C’è
il vuoto, le tenebre e c’è un vento fortissimo. Quando si parla di vuoto, di
tenebre e di abisso si descrive una crisi. Entra in scena un Dio che grida la
vita. Il primo atto di Dio è un sì alla vita di fronte ad una serie di segnali
di morte. C’è la preoccupazione di raccontare qualcosa sul senso dell’esistenza.
Nel linguaggio biblico quando non si vuole semplificare le cose si dice che
bisogna andare al principio, all’inizio. Bisogna andare a fondo. Smettere di
cercare la risposta facile, ma di andare a fondo, scavare. Andare a fondo sulla
nostra umanità e su Dio che sente una grande passione per la vita. Il sì di Dio
della vita si manifesta attraverso la Parola che dice relazione. Una Parola
capace di entrare in comunicazione, di creare relazioni. C’è un gesto che
separa, distingue. L’atto creativo di Dio chiama alla vita. La prima pagina
della genesi è un cantico che inneggia alla vita. Preservare la biodiversità è
un elemento importante per assicurare la vita. Dio dà spazio ad ogni elemento. Ci
sono elementi di morte che Dio non elimina, ma dà spazio ad ogni elemento. Dio
non elimina il buio. L’anti creazione è il diluvio. Dio separa, ma non elimina
il negativo: gli dà uno spazio. Cosa sarebbe la luce senza il buio? La
differenza diventa cifra che dà voce alla vita.
C’è
anche l’umanità. Nella prima creazione questa umanità creata alla fine riceve
una vocazione regale: poter non essere sottomesso. Questa creatura umana ha una
sua dignità, una creatura duale, uomo e donna, che rappresentano la cifra della
diversità. Dio crea mettendo ordine, dando spazio ad ogni elemento. Dio crea
chiamando. Dio nomina ed esprime un giudizio anche perché l’altro ha bisogno di
un riconoscimento. È l’abbraccio del neonato. L’umano nasce con una dignità
regale, “facciamo”: cosa significa? L’umanità è un progetto e non un prodotto
finito. Spesso abbiamo un immaginario che tutto è stato creato perfetto: la
cosa è più complessa. L’umanità è cosa buona, creata ad immagine di Dio, è un
progetto da costruire. La diversità maschile e femminile rappresenta la cifra
di tutte le diversità.
Seconda
narrazione, Gen 2. Gli elementi di morte sono rappresentati dal fatto che non c’è
acqua. Ci troviamo dinanzi al tema del senso della vita. La creatura umana è
presentata come una creatura al servizio ed è creata prima che il mondo fosse. Un
racconto spesso interpretato male. Il racconto prende inizio da elementi di
morte: Dio genera in condizioni pericolose. Non c’è un contadino che lavori la
terra: Dio crea l’uomo. Senza qualcuno che si prenda cura la creazione non ha
possibilità di svilupparsi. Dio crea la creatura umana dalla terra rossa. Dalla
terra Dio crea il terrestre. Queste storie non ci raccontano gli inizi, ma il
nostro presente. La vocazione originaria dell’umano è di custodire la terra. L’umano
è posto nel giardino con l’invito di nutrirsi di ogni albero eccetto uno. La
domanda è: che cosa ci nutre e che cosa ci è nocivo? Quali immagini di Dio ci
nutrano o ci fanno male?
Dio
si rende conto che l’umano è solo. Non è il maschio, ma è il terrestre. Non si
capisce se è maschio o femmina. Chi salverà il terrestre dalla sua solitudine. La
scena ci porta in una dimensione dove l’umano deve scegliere per capire chi
possa strapparlo dalla sua solitudine. Dio rimette le mani nella sua creazione.
Dio prende un lato di questo terrestre e con l’altro lato richiude questo
terrestre. Quando vede la donna il terrestre prende consapevolezza della sua
alterità e inizia a parlare: c’è un riconoscimento.
Il
narratore ha dato delle indicazioni per capire che è una storia che non andrà a
finire bene. L’uomo ha fatto qualcosa che spesso facciamo: dire all’altro la
sua funzione. Dare un nome significa dare l’identità. Il terrestre dà il nome
alla donna e gli dà un nome in sua funzione. L’inganno di questa storia è che
abbiamo preso per buono lo sguardo dell’uomo e non abbiamo ascoltato la
narrazione. Dio non ha tratto la donna dal maschio, ma dal terrestre. Questa
storia d’amore è incrinata. La diversità uomo-donna è la cifra di tutte le
diversità. La mia identità non è precostituita, ma si costruisce attraverso l’incontro
con l’altro. La parola di Dio ci viene consegnata come una parola plurale, perché
composta di tante narrazioni, non accostate le une accanto alle altre, ma
dialogano. Il codice della diversità permette a Dio di manifestarsi.
Nel
Nuovo Testamento nascono plurali. L’immaginario della Chiesa unica e omologata è
vicino all’immagine della torre di Babele. Anche l’Apocalisse per parlare di
Chiesa parla di sete chiese. Dio crea, genera la vita, che è sempre plurale. La
differenza è importante e custodita.