PARROCCHIE DI BEVILACQUA, GALEAZZA, DODICI MORELLI e PALATA PEPOLI (BO)
CICLO DI INCONTRI: IL CREDO DELLE DONNE
Relatrice: Lidia Maggi
Sintesi: Paolo Cugini
Alcune
parole che hanno caratterizzato il nostro cammino si sono usurate. Occorre
cercare altre parole. A volte si è più fedeli alla tradizione quando si
ricercano parole in grado di dire nell’oggi della storia il mistero.
Il
generare rimanda all’attività che le donne conoscono attraverso l’esperienza
del generare. Nel linguaggio biblico non è una storia astratta, ma è storia
generata, partorita. Non a caso si parla di generazioni: toledot. I
nostri padri e madre della fede attraversano una sterilità che deve essere
liberata.
Per
generare la vita bisogna pensare che non tutto sia facile. Gen 1: si scopre che
l’immaginario ricevuto dalla tradizione ci permette di intuire qualcosa su Dio
e l’umanità. C’è un Dio che tratta la vita alla morte, che fa risorgere la
vita. Pensiamo che lì tutto abbia inizio, si parla di creazione dal nulla, ma
non è così. Dio sceglie la vita e a lottare per questa vita. Un Dio che genera
la vita è un Dio che sente la passione della vita da affrontare tutti i rischi
della morte.
C’è
il vuoto, le tenebre e c’è un vento fortissimo. Quando si parla di vuoto, di
tenebre e di abisso si descrive una crisi. Entra in scena un Dio che grida la
vita. Il primo atto di Dio è un sì alla vita di fronte ad una serie di segnali
di morte. C’è la preoccupazione di raccontare qualcosa sul senso dell’esistenza.
Nel linguaggio biblico quando non si vuole semplificare le cose si dice che
bisogna andare al principio, all’inizio. Bisogna andare a fondo. Smettere di
cercare la risposta facile, ma di andare a fondo, scavare. Andare a fondo sulla
nostra umanità e su Dio che sente una grande passione per la vita. Il sì di Dio
della vita si manifesta attraverso la Parola che dice relazione. Una Parola
capace di entrare in comunicazione, di creare relazioni. C’è un gesto che
separa, distingue. L’atto creativo di Dio chiama alla vita. La prima pagina
della genesi è un cantico che inneggia alla vita. Preservare la biodiversità è
un elemento importante per assicurare la vita. Dio dà spazio ad ogni elemento. Ci
sono elementi di morte che Dio non elimina, ma dà spazio ad ogni elemento. Dio
non elimina il buio. L’anti creazione è il diluvio. Dio separa, ma non elimina
il negativo: gli dà uno spazio. Cosa sarebbe la luce senza il buio? La
differenza diventa cifra che dà voce alla vita.
C’è
anche l’umanità. Nella prima creazione questa umanità creata alla fine riceve
una vocazione regale: poter non essere sottomesso. Questa creatura umana ha una
sua dignità, una creatura duale, uomo e donna, che rappresentano la cifra della
diversità. Dio crea mettendo ordine, dando spazio ad ogni elemento. Dio crea
chiamando. Dio nomina ed esprime un giudizio anche perché l’altro ha bisogno di
un riconoscimento. È l’abbraccio del neonato. L’umano nasce con una dignità
regale, “facciamo”: cosa significa? L’umanità è un progetto e non un prodotto
finito. Spesso abbiamo un immaginario che tutto è stato creato perfetto: la
cosa è più complessa. L’umanità è cosa buona, creata ad immagine di Dio, è un
progetto da costruire. La diversità maschile e femminile rappresenta la cifra
di tutte le diversità.
Seconda
narrazione, Gen 2. Gli elementi di morte sono rappresentati dal fatto che non c’è
acqua. Ci troviamo dinanzi al tema del senso della vita. La creatura umana è
presentata come una creatura al servizio ed è creata prima che il mondo fosse. Un
racconto spesso interpretato male. Il racconto prende inizio da elementi di
morte: Dio genera in condizioni pericolose. Non c’è un contadino che lavori la
terra: Dio crea l’uomo. Senza qualcuno che si prenda cura la creazione non ha
possibilità di svilupparsi. Dio crea la creatura umana dalla terra rossa. Dalla
terra Dio crea il terrestre. Queste storie non ci raccontano gli inizi, ma il
nostro presente. La vocazione originaria dell’umano è di custodire la terra. L’umano
è posto nel giardino con l’invito di nutrirsi di ogni albero eccetto uno. La
domanda è: che cosa ci nutre e che cosa ci è nocivo? Quali immagini di Dio ci
nutrano o ci fanno male?
Dio
si rende conto che l’umano è solo. Non è il maschio, ma è il terrestre. Non si
capisce se è maschio o femmina. Chi salverà il terrestre dalla sua solitudine. La
scena ci porta in una dimensione dove l’umano deve scegliere per capire chi
possa strapparlo dalla sua solitudine. Dio rimette le mani nella sua creazione.
Dio prende un lato di questo terrestre e con l’altro lato richiude questo
terrestre. Quando vede la donna il terrestre prende consapevolezza della sua
alterità e inizia a parlare: c’è un riconoscimento.
Il
narratore ha dato delle indicazioni per capire che è una storia che non andrà a
finire bene. L’uomo ha fatto qualcosa che spesso facciamo: dire all’altro la
sua funzione. Dare un nome significa dare l’identità. Il terrestre dà il nome
alla donna e gli dà un nome in sua funzione. L’inganno di questa storia è che
abbiamo preso per buono lo sguardo dell’uomo e non abbiamo ascoltato la
narrazione. Dio non ha tratto la donna dal maschio, ma dal terrestre. Questa
storia d’amore è incrinata. La diversità uomo-donna è la cifra di tutte le
diversità. La mia identità non è precostituita, ma si costruisce attraverso l’incontro
con l’altro. La parola di Dio ci viene consegnata come una parola plurale, perché
composta di tante narrazioni, non accostate le une accanto alle altre, ma
dialogano. Il codice della diversità permette a Dio di manifestarsi.
Nel
Nuovo Testamento nascono plurali. L’immaginario della Chiesa unica e omologata è
vicino all’immagine della torre di Babele. Anche l’Apocalisse per parlare di
Chiesa parla di sete chiese. Dio crea, genera la vita, che è sempre plurale. La
differenza è importante e custodita.
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