Paolo Cugini
Una delle principali caratteristiche
delle comunità ecclesiali di base (d’ora in avanti CEBs) è l’opzione preferenziale per i poveri.
Per correttezza bisognerebbe dire che più che un’opzione, la scelta dei poveri
è divenuta nelle CEBs un’esigenza. Come ricorda, infatti il teologo José
Comblin in uno dei suoi numerosi saggi, le CEBs si organizzano soprattutto
nelle zone rurali del Nordest brasiliano, caratterizzato da un territorio semi
arido e con una presenza massiccia di famiglie povere. “Le CEBs sono comunità
di base impegnate per la liberazione, sono comunità di poveri impegnate nel
processo di liberazione. In questo le CEBs sono caratteristica specifica
dell’America Latina, non sono prodotto di esportazione […]. Quasi sempre i
poveri non furono riconosciuti nella loro cultura e dovettero accettare un
luogo subordinato e nascosto nelle istituzioni formate, mantenute e sviluppate
dentro i modelli di cultura superiore. Con le CEBS i poveri ricevono un luogo e
possono costituire una chiesa di poveri. Questa non rimane separata, isolata,
tagliata dalla chiesa universale, ma integrata, ricevendo anche una posizione
privilegiata, ricevendo anche una posizione privilegiata se la chiesa è fedele
allo spirito di Medellin e di Puebla, ma non esclusiva”[1].
Così come si sono strutturate sin dagli inizi le CEBs sono sorte nelle zone
agricole e povere nell’interno del Brasile, là ove non solo la chiesa faceva
fatica ad arrivare, ma lo stesso tessuto sociale e politico era scarso. Dopo il
Concilio Vaticano II l’episcopato latinoamericano riunito a Medellin, riconoscendo che spesso i poveri non sentono che i loro vescovi, parroci e
religiosi non s’identificano con essi[2]e
sentendo la necessità di ascoltare il grido dei poveri annuncia che la chiesa
dell’America Latina vuole guardare ai poveri: “Vogliamo che la Chiesa
dell’America Latina sia evangelizzatrice dei poveri e solidale con essi,
testimone del valore dei beni del Regno e umile serva di tutti gli uomini dei
nostri paesi. I suoi pastori e gli altri membri del Popolo di Dio devono dare
alla loro vita e alle loro parole, ai loro atteggiamenti e alla loro azione, la
necessaria coerenza con le esigenze evangeliche e le necessità degli uomini
latinoamericani”[3]. Sono
state parole come queste, assieme ad una riflessione che stava crescendo sempre
più nel camino della chiesa latinoamericana sullo stile di chiesa, che diede
impulso ad esperienze d’inserzione nei contesti di povertà. A partire da
Medellin sempre di più vescovi, presbiteri e religiosi abbracciarono la causa
dei poveri e, in modo particolare, lo stile di chiesa che stava emergendo nelle
CEBs. I poveri delle campagne brasiliane e, in modo speciale del Nordest arido,
trovarono non solo un appoggio nei documenti ufficiali della chiesa, ma
nell’azione concreta e costante di tanti agenti di pastorale, sia consacrati
che laici. Dieci anni dopo, vale a dire nella conferenza di Puebla,
l’atteggiamento della chiesa latinoamericana verso i poveri divenne ancora di
più significativa al punto di realizzare l’opzione preferenziale per i poveri.
“In totale fedeltà al Vangelo e senza perdere di vista il nostro carisma di
segno di unità e di pastori, far comprendere, far comprendere per mezzo della
vita e ei nostri atteggiamenti, la nostra preferenza per l’evangelizzazione e
il servizio dei poveri”[4].
Questa stessa presa di posizione a
favore dei poveri da parte dei vescovi latinoamericani, verrà fatta anche nei
paragrafi sui religiosi e sui presbiteri, mettendo in chiaro il cammino della
chiesa latinoamericana al lato dei poveri. La produzione teologica e pastorale
nel periodo che va da Medellin 1968 a Puebla 1979 approfondirà sempre di più il
legame stretto tra la chiesa e i poveri, mettendo soprattutto in evidenza come
questo connubio avvenga all’interno delle CEBs. La lettura della Bibbia
contestualizzata, il clima di tensione politico caratterizzato dalle dittature
militari in tutta l’America Latina, provocherà anche il tipo di riflessione che
nelle CEBs si delinea sul modo di vivere accanto ai poveri. E’ proprio in
questo decennio, gli anni ì70 del secolo scorso, che all’interno
dell’esperienza ecclesiale delle CEBs, rafforzata dalle scelte fatte
dall’episcopato latinoamericano, che il concetto di liberazione diviene la
categoria teologica fondamentale per interpretare la presenza e il compito dei poveri
nella storia. La teologia della liberazione nasce dalla riflessione sullo
specifico cammino di chiesa latinoamericano realizzato nelle CEBs, che legge il
proprio compito di stare nel mondo come cammino di liberazione dei poveri da
tutte le forme di oppressione politica ed economica.
Poveri e ceto medio nelle CEBs
Sin dalla fine egli anni ’60,
l’inserzione di presbiteri, religiosi e laici preparati nelle CEBs, hanno
condotto i poveri delle comunità ad interpretare in modo nuovo il loro vissuto,
a non viverlo più quindi, come un mero destino, una presunta volontà di Dio, ma
come frutto di una volontà ingiusta degli uomini. Nelle comunità di base, in
un’epoca segnata dall’oppressione del potere politico, la fede in Dio diviene
strumento per interpretare il presente, il cammino da compiere. I circoli
biblici, le celebrazioni domenicali vengono impregnate da queste riflessioni,
dal desiderio di essere liberati, dalla coscienza, poi, che in questo cammino
di librazione non ci si può affidare a Dio in modo superficiale, ma sono i
poveri ad essere i protagonisti della loro propria liberazione. L’opzione
preferenziale dei poveri fatta dalla chiesa latinoamericana vista a distanza di
alcune decadi, mostra chiaramente l’avvicinamento di alcuni settori del ceto
medio brasiliano cattolico, verso la periferia povera. E’ questo un dato
significativo, sul quale vale la pena riflettere. Difficilmente i poveri
sarebbero riusciti da soli a giungere ad un tale livello di coscientizzazione.
Chi ha lavorato a contatto con le CEBs nella decade degli anni ’70 e ’80,
rimane coinvolto dal tipo di lettura della storia fatta dai teologi della liberazione,
dal linguaggio e dai concetti veicolati da questa riflessione. Sfogliando
l’abbondante letteratura sia teologica che pastorale di quegli anni caldi, che
segnarono il cammino delle CEBs e l’impegno al lato dei poveri, sfogliando le
relazioni fatte al termine degli incontri inter ecclesiali pubblicate nella
rivista SEDOC, ci si accorge non solo di una lettura fortemente ideologica che
venne dato del cammino delle CEBs, ma soprattutto dell’influenza della classe
media nei confronti dei poveri delle CEBs. Sono pochi gli studi che hanno
affrontato il problema e, soprattutto, che l’hanno saputo indicare con
obiettività. Tra questi segnalo il lavoro di Marcello Azevedo[5]
e quello di fra Michel[6],
che vanno nella stessa direzione, analizzando l’influenza della classe media
brasiliana nel camino delle CEBs. E’ questo un lavoro di analisi che oggi è
possibile fare con più serenità, considerato il fatto che la distanza temporale
aiuta nell’analisi obiettiva degli eventi. Quando si parla di base delle CEBs si
fa riferimento esclusivamente ai poveri, dimenticandosi del contributo di tutti
quegli agenti di pastorale che derivano dalla classe medie, come presbiteri,
religiosi o laici salariati dalle diocesi per il lavoro pastorale all’interno
delle CEBs. Azevedo mostra che nel linguaggio utilizzato dai teologi sul tema
del delicato rapporto delle CEBs con i poveri, quando si parla di “base”
vengono lasciate di fuori molte categorie di persone, come gli operai che
ricevono un salario, la totalità della classe media bassa costituita da piccoli
funzionari pubblici, commercianti e ogni tipo di impiegati in servizio. “Dal
gran numero di testi che sono stati prodotti in questi anni sul tema delle CEBs
sembra che solo attraverso la base la chiesa sarà trasformata, trasformatrice e
liberatrice. Le forme di essere chiesa che non sono della base sono considerate
elitarie e allineate con i postulati e gli interessi del sistema oppressore”[7].
Azevedo pone il dito su un problema importante, vale a dire la differenza tra
le CEBs sognate dai teologi della liberazione, e quelle vere e autentiche che
s’incontrano non nei libri, ma nella realtà. Nella realtà brasiliana delle
decadi ’70 e ’80 del secolo scorso c’è una grane differenza tra i poveri che
vivono in città e quelli nelle zona rurale. Mentre, infatti, questi ultimi
hanno tempo a disposizione per le attività delle comunità, vivendo di
agricoltura in zone aride nelle quali il lavoro è molto scarso, ben differente
è il tempo a disposizione dei poveri che vivono in città. Infatti, anche quelli
che lavorano, sono tutti i giorni alle prese con il traffico cittadino, gli
orari dei mezzi pubblici, la stanchezza di una giornata di lavoro spesso
realizzata in condizioni disumane. Tutto questo per dire che le CEBs sono da
sempre state orientate e continuano ad esserlo da persone di un’altra classe
sociale che non si trova nella base. Chi sono queste persone? Sono i vescovi, i
presbiteri, i religiosi. Teologi e giovani universitari laici. Significative in
questa prospettiva sono state le esperienze chiamate di “Chiese sorelle”, dove
agenti di pastorale di diocesi del Sud del Brasile si gemellava con diocesi del
Nordest povero per assicurare un’assistenza pastorale e spesso e volentieri
anche sociale. Le CEBs sono sorte per
iniziativa dell’autorità ecclesiastica e sono stimolate, dunque, da persone
della classe media, in termini di cultura e di visione del mondo. Sono queste
persone che scrivono i bollettini e il materiale formativo destinato alle CEBs,
che non avrebbero potuto aver inizio, considerato l’alto tasso di analfabetismo
dei poveri delle zone rurali del Brasile.
Frate Michel nella sua ricerca
sottolinea il fatto fondamentale che tutto il lavoro di formazione e di
coscientizzazione svolto costantemente nelle diocesi in favore dei leaders
delle CEBs è svolto da persone della classe media[8].
Sono i leaders diocesani – vescovi, presbiteri, religiosi, laici liberati – che
preparano il materiale formativo e guidano il cammino pastorale. “Le CEBs in Brasile – sostiene fra Michel –
sono integrate nell’istituzione ecclesiale e il povero sa che questa è la
condizione della sua sopravvivenza come membro della chiesa. Il dinamismo
ecclesiale svegliato dalle CEBs produce leaders laici o li fa emergere, ma non
potranno andare la collaborazione con gli agenti, quando si tratta di tutta la
chiesa locale o regionale”[9].
Tutto ciò che Michel scriveva nel 1982 non è solo la realtà di quella decada,
ma corrisponde anche a quella attuale. Ancora oggi nella diocesi gli incontri
formativi sono gestiti da persone della classe media, che hanno studiato nelle
facoltà teologiche o statali. Il materiale che arriva al leader delle CEBs è un
materiale elaborato da un gruppo di persone culturalmente preparate. Michel
sottolinea la trasformazione che vivono queste persone provenienti dalla classe
media al contatto con i poveri e nell’esperienza concreta della loro fede. Mostra
anche come la loro presenza e la loro azione sia un reale contributo per i
poveri, che si aprono sia alla dimensione ecclesiale che alla coscienza attiva
della loro situazione nella società e alla necessità di trasformarla. Tutto
questo è molto positivo. La domanda che a questo punto l’autore pone è
fondamentale: “Perché questa
collaborazione non viene discussa naturalmente? Perché viene tante volte negata
o fatta tacere? Perché molti studiosi delle CEBs insistono tanto che queste
sono in grado di pensare per se stesse e non hanno bisogno di persone di altre
classi socio-ecclesiali per situarsi, per decidere?”[10].
Sono domande che possono apparire strane ad un lettore che non conosce bene la
realtà delle CEBs, soprattutto se proviene da una lettura dei testi di autori
classici su questa realtà ecclesiale. Sembra strano operare o sottolineare
queste distinzioni tra poveri e classe media nelle CEBs. A mio avviso è in vece
un punto fondamentale, che aiuterà a comprendere soprattutto gli sviluppi
futuri del cammino delle CEBs in Brasile. La risposta che Azevedo si diede nel
1986 alle domande di frate Michel è che la realtà della collaborazione positiva
della classe media con il cammino delle CEBs mette in discussione e relativizza
il modello della lotta di classe messo in atto dai teologi della liberazione di
questo periodo, e del presupposto che dove ha collaborazione tra le classi
esiste un patto con coloro che dominano la società[11].
Sulla stessa linea di riflessione troviamo anche lo storico Hoornaert quando,
di ritorno dal quarto incontro inter ecclesiale delle CEBs, annotava: “per ciò che ho pensato di vedere in Itaici –
sede dell’evento - il buon cammino delle
comunità dipende in gran parte dal modo con il quale gli agenti di pastorale
(vescovi, presbiteri, religiosi e laici) riescono a comunicarsi con le persone
della base”[12].
L’opzione preferenziale per i poveri fatta
dalla chiesa latinoamericana e ben presente nel cammino delle CEBs, si realizza
storicamente nell’impegno di persone della classe media che lavorano
pastoralmente assieme ai poveri della base delle zone rurali e delle periferie
delle grandi città brasiliane. Il coinvolgimento della base nei processi di
liberazione operati dalle CEBs negli anni ’70 e ’80 è dovuto principalmente
allo sforzo di tante persone di buona volontà che in nome del Vangelo e animati
d un grande amore alla chiesa dei poveri, hanno realizzato lo stesso cammino
compiuto da Gesù, che da ricco che era si è fatto povero[13].
E’ stata questa inserzione progressiva degli agenti pastorali provenienti dalle
classe media, che ha permesso uno stile di chiesa attenta ai poveri, dando voce
alle loro esigenze, provocando un movimento di liberazione dalle forme di
oppressione politica così forti nel periodo in questione. Dimenticare questo o
silenziarlo significa entrare nell’ideologia, in quello spazio culturale, cioè,
che distorce la realtà a favore di precomprensioni molto spesso di tipo
politico-partitico. Come vedremo nel cammino delle CEBs la linea di
demarcazione tra impegno ecclesiale e lotta partitica è stato molto sottile e
spesso si è confuso, provocando lo svuotamento del messaggio evangelico e il
travisamento dell’annuncio del Kerigma.
[1] J.COMBLIN, Algumas questoes a
partir da pratica das CEBs no Nordeste, in REB/50 (1990), p. 343-344
[2]
Documento di Medellin, in Documenti della chiesa latinoamericana, EMI, Bologna
1995, n. 306
[3] Ivi, n.
500
[4] Ivi, Puebla,
n. 1330.
[6] F: MICHEL, Comunidades
catolicas de base sao o fruto de colaboraçao entre duas classe socias, a pobre
e a media, in REB/42 (1982), p. 120-128.
[7] M. AZEVEDO, Comundades
eclesiais de base e a inculturaçao da fè, Sao Paulo Loyola 1986 p. 115
[8]
Cfr. F. MICHEL, cit, p. 123-124
[9] Ibidem.
[10] Ivi p.
126
[11] Cfr.
AZEVEDO, op. Cit. P. 121
[12] E. HOORNAERT, As comunidades de base e a
religiao popular, in REB 41 (1981), p. 677.
[13] Cfr. 2 Cor 8,9.
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