Paolo Cugini
L’onnipotenza di dio nei concetti dei
filosofi
Mi trovo sempre in grande difficoltà
quando devo rispondere alle domande dei giovani sull’onnipotenza di Dio o sulla
sua prescienza. Certamente, so benissimo che nel credo si dice: “Credo in Dio
Padre Onnipotente”. Nonostante ciò provo imbarazzo, un certo senso di fastidio
dinanzi a questo aggettivo, del quale non capisco il significato, non del senso
etimologico, ma esistenziale e spirituale, soprattutto all’interno dell’attuale
cultura postmoderna. Ce lo hanno insegnato i Padri della chiesa dei primi
secoli che il messaggio di Gesù va sempre inculturato. Lo facevano loro nelle
predicazioni e nelle mistagogie, prendendo concetti da quella cultura greca
nella quale erano immersi e inseriti e restituivano parole e discorsi nei quali
gli stessi concetti dei filosofi greci venivano trasformati per dare corpo e
voce all’annuncio nuovo del Signore Risorto. Concetti filosofici che oggi all’interno
di un contesto culturale e sociale fanno davvero fatica ad esprimere ciò che
gli evangelizzatori vorrebbero annunciare. Ci appoggiamo, ci aggrappiamo quasi
disperatamente ancora a quell’apparato concettuale molto profondo, ma incapace
oggi di ire in modo convincente e coinvolgente il mistero di Dio manifestatosi
in Gesù Cristo. Tra questi concetti di sapore antico, che tanto strada hanno
fatto nel passato, ma che faticano ad imporsi nel nuovo contesto culturale c’è
appunto quello di onnipotenza.
Onnipotenza nella debolezza
Allora, mi chiedo: a cosa serve sapere che Dio
è onnipotente? A chi serve? Come mai si è arrivati ad una simile definizione?
Gli uomini e le donne di oggi per vivere hanno bisogno dell’onnipotenza di Dio
o di qualcos’altro? Sono domande che entrano nella mia mente quando incontro le
persone cariche dei loro problemi, che mi chiedono un consiglio, una mano per
andare avanti. In questi casi non riesco a tirar fuori dalle tasche il mio dio
onnipotente. Me ne viene in mente un altro, quello che della sua onnipotenza
non se n’è importato, non l’ha fatta vedere, perlomeno così come se l’aspettavano
le autorità, come se l’aspettava il mondo, come ce l’aspettiamo tutti noi, che
cerchiamo costantemente un dio che ci sostituisca nei problemi della vita, un
dio, come direbbe Bonhoeffer, tappabuchi. Mi viene in mente, invece, come Dio ha deciso
di manifestare la sua onnipotenza nel suo Figlio Gesù: facendosi servo,
mettendosi all’ultimo posto, lavando i piedi ai discepoli. E’ l’onnipotenza al
contrario, quella che ha manifestato Gesù, l’onnipotenza alla rovescia,
l’onnipotenza che non si trova nella forza, nella potenza che schiaccia gli
imperi, i nemici, ma nel dono gratuito di sé, nel morire al posto di, nel
donarsi per noi. Allora, se le cose stanno così, invece di chiamarlo
onnipotente, il Dio di Gesù Cristo lo so poteva chiamare amore, umiltà,
misericordia.
L’Onnipotenza di Dio nei poveri di
JHWH
“Allora – mi dicono alcuni – se Dio sa già
tutto, in che senso siamo liberi?”. Come si fa a rispondere ad una domanda
così? L’onnipotenza è il potere di fare tutto, senza alcun limite. A che cosa
serve un dio così, che fa tutto, che sa tutto in anticipo? Che cosa ce ne
facciamo dell’onnipotenza di Dio? Lo stesso San Tommaso riconobbe la difficoltà
nella comprensione del potere divino, riteneva difficile spiegare in che senso
consistesse l’onnipotenza di Dio. I medievali si sono sbizzarriti su questo
tema, nella ricerca di comprendere se Dio sia in grado di compiere qualsiasi
cosa decida di compiere o se Dio sia in gradi di fare qualsiasi cosa che sia
logicamente possibile per Lui. Mi chiedo: che problemi sono? Come si fa a
pensare a Dio in questi termini? Probabilmente simili riflessioni nascevano in
determinati contesti culturali, in monasteri lontani dalla realtà o tra gli
eremiti in mezzo al deserto. Un Dio pensato, più che incontrato, un dio logico,
più che sentimento; un dio ragione più che passione, un dio da pensare con la
pancia piena, più che con la pancia vuota. Se, infatti, hai la pancia vuota, se
non mangi da una giornata, non ti passa nemmeno per la testa di pensare ad un
Dio Onnipotente, lo pensi ma, soprattutto, lo cerchi in un altro modo. Se sei
debole, indebolito dalla fame, dalle ingiustizie del mondo, non hai le forze
per pensare, per elaborare definizioni profonde di Dio, ma solo per invocare
qualcosa che senti vicino, prossimo.
E allora il dio onnipotente assomiglia
terribilmente alle nostre case piene di tutto e pochissimo alle case dei
poveri, piene del nulla. Il dio onnipotente è la proiezione della forza di chi
sta bene, che non ha problemi, che vive spensierata, che quando si alza alla
mattina può aprire il frigorifero e trovare qualcosa da mangiare e da bere, che
ha energie nel corpo da vendere. Il dio onnipotente assomiglia moltissimo al
signore degli eserciti, al dio che distrugge i nemici, al dio dei potenti della
terra, che per creare la pace nel mondo lasciano strascichi di sangue e
distruzione dietro di sé. Molto differente è l’agire del Dio debole,
manifestato nella croce di Gesù. Lui, infatti, come ci ha insegnato l’apostolo
Paolo, ha creato la pace tra due popoli divisi, non distruggendone uno a favore
dell’altro, ma attirando il loro odio su di sé, sulla propria carne,
sconfiggendo l’odio con l’amore. Il Dio
di Gesù, che ci ha fatto conoscere con il suo stile di vita, con il suo modo di
Essere, è debole e non onnipotente, perché come c’insegna sempre san Paolo, è
nella debolezza che si manifesta la potenza di Dio. Gesù è l’Emmanuele, il Dio
con noi, che non vive sulle nubi dei cieli, ma è venuto ad abitare in mezzo a
noi e il suo Regno, che non è di questo mondo lo ha realizzato in mezzo a noi,
in noi. Sentiamo, allora l’Onnipotenza del Dio di Gesù Cristo non nei concetti
astratti dei filosofi, ma nei gesti semplici dei poveri, degli esclusi, di
tutti coloro che ogni giorno vengono depredati dall’economia ingiusta o, per
dirla con papa Francesco, con l’economia che uccide, che è l’economia generata
dagli adoratori del dio onnipotente.
L’Onnipotenza di Dio nell’ascolto e nel dialogo
Il Dio di Gesù Cristo, manifesta
anche la sua Onnipotenza tutte le volte che si mette in ascolto dei suoi
interlocutori, aiutandoli a comprendere il senso della realtà, aiutandoli
soprattutto ad uscire dalla confusione di un mondo che non fa altro che vivere
nelle illusioni. Non un’onnipotenza che si manifesta dall’alto al basso, che
mette in situazione di ascolto chi si rivolge a lei, una manifestazione ad una
direzione. L’Onnipotenza che esce dallo stile di Gesù capovolge la situazione,
perché è Lui che si mette in ascolto, è Lui che stimola l’interlocutore ad
aprirsi. Il modello di questo stile dialogico di Gesù è senza dubbio il dialogo
con i discepoli di Emmaus. E’ il Signore Risorto che si presenta ai due
discepoli tristi che fuggono da Gerusalemme senza capire bene cosa sia
successo. Gesù, il Risorto, manifesta la sua potenza a loro avvicinandosi con
discrezione, mettendosi in ascolto, facendosi consegnare le loro frustrazioni,
con pazienza e delicatezza. Nella risposta del Risorto non si trova nulla di
assertivo, nulla di Verità assolute che scendono dall’alto come una colata di
cemento che asfalta tutto, i sentimenti, le emozioni, le esperienze soggettive.
Al contrario, La Parola del Risorto si appoggia su di loro come un balsamo,
Parola percepita come Vera dai due discepoli perché inserita nella loro
personale esperienza del Signore. Una Verità, dunque intuita, donata con
delicatezza, innestata nel vissuto degli interlocutori. E’ in questo senso che
la Parola del Risorto diviene Onnipotenza di un significato che ridà vita e forza
a vite sconfitte nelle loro frustrazioni esistenziali, a corpi morti perché
rinchiusi nei loro piccoli fallimenti spirituali.
Onnipotenza del Risorto, di colui che
prima di risorgere aveva camminato con gli uomini e le donne, vissuto con loro.
E’ di questa Onnipotenza Incarnata che abbiamo bisogno, di questa Onnipotenza
fatta storia, che non si riconosce per delle manifestazioni esterne, ma per il
suo porsi in modo differente nella compagnia degli uomini e delle donne. L’altra,
quell’onnipotenza da signori arroganti, seduti nei tavoli dei ristoranti a
cinque stelle a parlare della vita degli altri; quell’onnipotenza concettuale
per persone per bene, eticamente a posto, ve la lasciamo.
Grazie, riflessione molto bella, che fa pensare. Queste riflessioni saranno raccolte in un libro?
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