lunedì 26 dicembre 2022

TRADIZIONE

 

 


Paolo Cugini

Agosto 1986

 

 

È l’eredità culturale, cioè la trasmissione da una generazione all’altra di credenze o di tecniche. Nel dominio della filosofia l’appello alla tradizione implica il riconoscimento della verità della tradizione stessa. La tradizione diventa, da questo punto di vista, una garanzia di verità e talvolta l’unica garanzia possibile. (U.T.E.T. voce curata da N. Abbagnano).

 

Ogni singolo uomo è situato all’interno di una tradizione che, nel suo senso etimologico significa consegnare, porgere. Il consegnare indica al contempo due elementi: un essere che porge e un contenuto che è posto da. Conseguenza immediata di ciò, è che lo studioso della tradizione deve porre l’attenzione speculativa su due direzioni diverse, una attenta ad analizzare i modi in cui il contenuto della tradizione viene consegnato, l’altra capace d’indagare sull’origine del contenuto che viene tramandato. Noi ci soffermeremo su questo secondo aspetto. Come nascono gli elementi che vengono a costituire il nucleo della tradizione? Quali sono i criteri che vengono adottati per selezionare il materiale? Di che natura sono questi criteri: razionali o qualcosa d’altro?

Prima di addentrarci all’interno del problema occorre fare ulteriori precisazioni. In primo luogo, dev’essere chiaro che un’epoca è costituita da un insieme di diverse tradizioni. Inoltre, queste ultime non sempre sono facilmente individuabili a causa della complessità della realtà in cui viviamo. Infatti, se per un verso ci è semplice comprendere la diversità tra la tradizione filosofica e quella scientifica, per un altro, a volte ci è difficile distinguere gli elementi dell’una e dell’altra tradizione. Questo lo affermiamo perché riteniamo la realtà, cioè il vissuto storico, non diviso in scomparti ben determinati, ma un tutt’uno cresciuto assieme.

È possibile affermare che la realtà in cui viviamo è tutta tradizione? Proporre l’identità tra realtà e tradizione può sembrare avventato e assai discutibile, in quanto anche il nostro senso comune interviene ad informarci che, il termine realtà, sta ad indicare un insieme di aspetti non completamente e totalmente riconducibili a quello di tradizione. Quando, infatti, noi parliamo di realtà ci possiamo trovare in vari universi di discorso: è reale la pianta, una montagna, il mare. Al contempo, però, è altresì reale Paolo o Pietro. In definitiva tutto ciò che appartiene al mondo materiale, sia esso minerale, vegetale o animale è reale.

Che ne è, allora, di tutto il resto? Per tutto il resto, vista la selezione previa, intendiamo il frutto della elaborazione intellettuale da parte dell’uomo. A questo punto, diventa estremamente interessante soffermarci sul procedimento conoscitivo elaborato dall’idealismo. Difatti, la distinzione sopra effettuata tra mondo materiale e mondo ideale, tipica di una certa tradizione filosofica, può essere messa in discussione proprio dall’idealismo. Quando discorriamo intorno al tavolo o alla sedia, non affermiamo solo realtà appartenenti al mondo materiale. Sedia o tavolo stanno, infatti, ad indicare anche una organizzazione e un ordine che solo un essere dotato d’intelletto poteva effettuare. Di conseguenza, il mondo che ci circonda possiamo a ragione considerarlo il frutto di una lunga e sofferta elaborazione concettuale prodottasi nell’arco del tempo: la tradizione. Occorre, però, precisare che affermare il mondo come il risultato di una lunga elaborazione concettuale non porta in sé l’esigenza di negare al mondo materiale una propria indipendenza rispetto al soggetto che la percepisce. Entità materiale e soggetto (che è materiale anch’esso) sono posti da altro. È il loro incontro e ciò che ne consegue, vale a dire il mondo umanizzato, che è frutto esclusivo dell’operazione intellettiva.

A questo livello, si può chiarire anche il discoro religioso. L’uomo è posto da Dio assieme alle cose. Il mondo che si formerà attraverso le capacità intellettive dell’uomo, porterà costantemente con sé l’impronta divina. Il cammino dell’uomo con Dio acquista, in questa prospettiva, nuovi significati depauperati da quei misticismi mantenuti per troppo tempo all’interno della tradizione. Ritorniamo, però, sui nostri passi. Stiamo cercando di delineare le caratteristiche che ci permettono di tematizzare ciò che intendiamo con il termine tradizione.

Ciò che viene tramandato deve avere come elemento peculiare, una certa durata nel tempo. Più un elemento dura alle “intemperie” del tempo più è tradizionale. Il tradendum ha, quindi, valore solo ed esclusivamente in quanto è antico.  L’elemento che in seguito diventerà tradizionale, ha, però, un momento iniziale nuovo. Problema: come fa questo elemento nuovo a diventare tradizionale? L’elemento che poi verrà a far parte di una tradizione non nasce nel nulla, ma da un contesto ben strutturato. In definitiva, ciò che in seguito si chiamerà tradendum nasce all’interno di una tradizione. Sembriamo in un circolo chiuso per cui per spiegare una parte abbiamo bisogno della definizione dell’altra e viceversa. La tradizione vive costantemente in un presente ed è il continuo procedere di quest’ultimo, il tempo, che ci permette di parlare di tradizione in modo non astratto. Infatti, la tradizione non è qualcosa di dato, bensì è una realtà posta costantemente dall’uomo. Questo è perlomeno il processo che avviene dal punto di vista teorico. Nel presente dove costantemente abbiamo visto formarsi la tradizione, quest’ultima è sentita dall’uomo come qualcosa di dato, di posto da altro. Il tradendum è sentito come una forza immateriale che incute timore e alla quale va riservata una incondizionata obbedienza. Tutto questo è disumano proprio perché è una chiara distorsione delle capacità dell’uomo. Il compito di quest’ultimo, da un punto di vista teorico, sarebbe quello di passare al setaccio del proprio intelletto tutte le informazioni che ogni giorno e ogni istante gli presentano. Che cosa in realtà avviene? Al posto della personalizzazione delle cose, subentra la passività di fronte ad esse. Invece di farsi promotore attivo del suo mondo, diventa succube di ciò che dovrebbe dominare. Va, comunque, specificato che la personalizzazione del mondo è posta sul piano esigenziale e, di conseguenza, trova non poche difficoltà ad affermarsi nella concretizzazione storica. In questa prospettiva, la tradizione arriva all’individuo come patrimonio genetico già dato e posto da altro. Quando il senso comune parla di tradizione si riferisce ad una realtà oggettiva già stabilita, che dev’essere assunta. Il rifiuto della tradizione da parte dell’individuo pone quest’ultimo ai margini del sociale, del mondo al quale appartiene.

I criteri per cui un nuovo elemento può diventare appartenente al patrimonio genetico della tradizione, sono contenuti nella stessa. Questo implica che, il nuovo elemento, per passare alla storia deve costantemente subire il giudizio della verità che viene attribuita ad essa. Infatti, dire tradizione significa implicitamente riferirsi ad un determinato concetto di verità. Che cos’è che è più vero? Che cosa del mondo nel quale ci troviamo vale di più? Vale di più ciò che corrisponde maggiormente agli elementi che la tradizione della cultura dominante possiede. Noi così affermiamo la maggiore o minore validità di una cosa rispetto ad un’altra in base a dei criteri oggettivi contenuti nella tradizione. Al soggetto non rimane altro che farsi portatore di un insieme di elementi mai posti o scelti da lui. Sembra un’affermazione paradossale, ma, a nostro avviso corrisponde alla realtà nella quale viviamo. Perché, infatti, affermiamo che una cosa è più bella di un’altra? Oppure, perché critichiamo alcune manifestazioni come non sensate o fuori luogo? Le nostre tanto decantate capacità di scelta, in questa prospettiva, vengono ridotte a ben poca cosa. Noi non siamo nient’altro che i fedeli portatori di un materiale non mai scelto da noi, e in base a questo giudichiamo, valutiamo, viviamo. A che cosa è dovuta questa nostra evidente passività? A questa importante domanda risponderemo in seguito. Ora ci interessa soffermarci più attentamente sulla forza che la tradizione esercita sul singolo.

La tradizione è diventata una potenza irresistibile. Non è assolutamente possibile pronunciare un giudizio senza riferirsi ad un contesto tradizionale. L’uomo è uomo solo in quanto è capace di farsi fedele portatore della tradizione. La forza di quest’ultima si è venuta a costituire gradualmente nel tempo. Occorre precisare che, ogni epoca e ogni società, ha avuto e ha una propria tradizione. La comunità degli uomini ha sempre posto in un nucleo di proposizioni i criteri di veridicità per la propria epoca. La tradizione filosofica ci dice che fa parte della struttura antropologica dell’uomo il bisogno di verità. È una esigenza irrinunciabile, pena la disintegrazione del sé. Possedere dei costanti punti di riferimento per vagliare qualsiasi esperienza umana è una condizione fondamentale. La tradizione è proprio questo schema di riferimento. Com’è possibile, però, che lo schema di riferimento di un’epoca possa valere anche per quelle successive? Come mai gli elementi di una tradizione resistono alla prova del tempo, rimanendo per parecchi secoli inalterati? Spesso, noi uomini del duemila, valutiamo situazioni o cose utilizzando gli stessi criteri che venivano presi in considerazione da persone e, quindi, società vissute parecchi secoli fa. Non sarebbe più opportuno formulare uno schema di riferimento per ogni epoca? Alla luce di questi interrogativi, possiamo considerare l’uomo piuttosto lento nel cambiare le proprie abitudini. Per certi versi, l’uomo di oggi è lo stesso di quello di ieri. Le capacità riflessive non servono che a confermare quello che gli avi avevano pensato.

Se la tradizione ha sempre avuto una tale potenza, come si è venuta a costituire? Come nasce, ad esempio, il criterio per cui una cosa è più bella di un’altra? Quando osserviamo un oggetto e intendiamo valutarlo con la categoria del bello, non facciamo un’invenzione, ma ci serviamo di strumenti già dati (occorre studiare la genealogia della formazione dei criteri valutativi: perché un quadro è più bello dell’altro? Che cosa mi spinge ad affermare ciò? Per rispondere a questa domanda occorre conoscere la tradizione artistica e più specificatamente quella pittorica): in fin dei conti che cosa vogliamo dimostrare con queste affermazioni sulla tradizione? Vogliamo soprattutto trovare due risposte: una riguardante il grado di libertà di scelta del singolo; l’altro la possibilità di riscoprire un cristianesimo essenziale, liberato, cioè, da tutti i residui ricevuti dalla tradizione.

Rispetto alla tradizione, la libertà del singolo si situa ad un secondo livello di complessità. Noi, infatti non creiamo mai nulla di nuovo, ma continuamente scegliamo in base a cose già date, già poste dalla tradizione. Alla mattina quando ci alziamo possiamo scegliere se metterci la camicia rossa o gialla, ma mai potremo optare per il kimono. Il nostro unico compito verso il quale indirizziamo il nostro bagaglio intellettivo è valutare gli elementi posti dalla tradizione. A questo punto, sarebbe estremamente interessante indagare sui motivi che hanno portato ad affermarsi un elemento anziché un altro, comprendere quali fattori sono intervenuti per far si che la nostra realtà sia strutturata in un modo anziché in un altro. In fin dei conti c’è molta soggettivismo nei contenuti della tradizione, che vengono spacciati come contenitori di valori oggettivi […].

 

 

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