martedì 4 ottobre 2022

I PARROCCHIONI

 


 

Paolo Cugini

 

Una delle scelte che diverse diocesi stanno attuando per far fronte alla scarsità dei preti è quella di accorpare alcune parrocchie con uno o due preti alla guida. In questo modo si ritiene di garantire un minimo di organizzazione e, soprattutto, la messa domenicale. Per agevolare il lavoro pastorale queste nuove realtà pastorali stanno centralizzando alcuni momenti formativi e aggregativi. Incontri di giovani, catechesi, formazione per adulti vengono realizzati nella parrocchia più grande, lasciando le piccole parrocchie sguarnite di attività pastorali e garantite, al massimo, della messa domenicale. Questo modo di procedere è la conferma di quanto dicevamo poco sopra: il mondo, il contesto culturale cambia, ma il modello pastorale assolutamente no, viene riproposto su scala maggiore. La strategia pastorale delle unità pastorali, che poi si trasformano nei “parrocchioni”, rivela il modello ecclesiologico di fondo che identifica la parrocchia con il prete: dove c’è il prete, c’è la comunità. In questo modo, quello che sta avvenendo da varie parti, è la lenta scomparsa delle comunità parrocchiali più piccole, che vengono, per così dire, sacrificate in favore di quelle più grosse. Parrocchie con secoli di tradizione ecclesiale stanno seriamente rischiando di scomparire, anzi, alcune sono già scomparse. Eppure, basterebbe guardarsi intorno e confrontarsi con modelli ecclesiali messi in atto in zone del mondo in cui il cammino pastorale è sorto in un contesto segnato dalla scarsità del clero locale. America Latina, Asia e Africa sono già passati per questa situazione. Parlando di ciò che conosco, in Brasile le parrocchie sono organizzate come reti di comunità, in cui il parroco, oltre a visitare periodicamente le comunità per i sacramenti, anima i percorsi formativi per mettere i laici in grado di servire la comunità. Riportare questo modello nella nostra realtà, significherebbe dare più spazio ai laici e laiche, dare loro fiducia, affidando la celebrazione della Parola domenicale quando è necessario, la celebrazione di esequie, oltre ad altri servizi. È nella comunità e dai membri della comunità che dovrebbe avvenire la trasmissione della fede. Qui si giunge a toccare il cuore del problema. Se è vero, come la Chiesa sostiene sin dal primo secolo, che è l’eucarestia che fa la Chiesa, occorre una proposta che metta in condizione i fedeli di cibarsi dell’eucarestia. Se ci sono sempre meno preti, si potrebbe proporre, come del resto è già stato proposto durante il Sinodo per l’Amazzonia[1], di ordinare viri probati, persone stimate della comunità per poter garantire l’alimento eucaristico. Sappiamo com’è andata finire. In ogni modo, mentre aspettiamo che la Chiesa maturi questa proposta, si può prendere spunto dal cammino delle Comunità Ecclesiali di Base per garantire alla domenica una celebrazione della Parola con la distribuzione dell’eucarestia. In diversi luoghi questo modello è già attuato anche in Italia, anche se trova ancora notevoli resistenze.



[1] Questo è il passaggio del testo del Documento Finale in cui viene fatta la proposta: Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen Gentium 26,  l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all'argomento (Documento Finale del Sinodo per l’Amazzonia, 111).

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